Recensione di Francesco Morra
Autore: Salvatore Scibona
Traduzione: Michele Martino
Editore: 66th and 2nd
Genere: Narrativa
Pagine: 439
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Amburgo, 2010. Un bambino che parla una lingua incomprensibile si aggira da solo per l’aeroporto internazionale con un giaccone rattoppato e qualche centinaio di dollari infilati in una tasca. Per capire perché suo padre lo ha abbandonato lì, bisogna tornare indietro di qualche decennio, all’adolescenza di Vollie Frade, un ragazzo dell’Iowa che un giorno decide di arruolarsi nei marine per combattere in Vietnam, illudendosi di poter recidere ogni legame con il passato. La sua scelta metterà in moto una inimmaginabile catena di eventi che lo porteranno, dopo una missione fantasma nella giungla cambogiana e una lunga prigionia, a unirsi alle fila di una cellula clandestina dei servizi segreti. E poi a tentare di rifarsi una vita con una donna e un bambino in un ranch fatiscente nel deserto del New Mexico, dove il suo ex compagno d’armi Bobby Heflin ha creato una comune fondata sul libero amore. Ma anche questi nuovi, fragili legami saranno destinati a spezzarsi, generando un rosario di sconvolgenti violenze e lasciando i figli ad affrontare le colpe mai espiate dei padri. A dieci anni dal debutto con “La fine”, Salvatore Scibona ripercorre l’odissea di quattro generazioni, dal Midwest rurale alla New York poliglotta degli anni Settanta ai lunari paesaggi intorno a Los Alamos, guidando il lettore in un nuovo viaggio ai margini dell’America e rivelando, nell’intreccio fra Storia e scelte individuali, la logica ineluttabile del potere, l’anima di un continente lacerato dalla sua stessa insondabile superbia, oltre al talento degli esseri umani nel riscoprire e reinventare le proprie radici.
Recensione
La lezione era questa: qualsiasi cosa amassi così tanto, che ovunque ti giravi vedevi il modo in cui l’avresti persa, prima o poi ti sarebbe stata tolta. Perfino la vita.
Salvatore Scibona pubblica il suo secondo romanzo “Il volontario” dieci anni dopo “La fine”, editi in Italia dalla 66th and 2nd. Una attesa pienamente giustificata.
Autore americano di ascendenza italiana, talento puro ci regala un libro emozionante e che il suo ottimo traduttore, Michele Martino riesce a donarci in tutta la sua eleganza e dirompente bellezza. Emozione e commozione leggendo queste pagine sono i sentimenti predominanti.
Una global novel, la definisce lo scrittore, e si è concordi con tale definizione. Questo volume entra di diritto nel canone letterario americano contemporaneo, andando a toccare argomenti quali: la guerra e nello specifico la sconfitta militare in Vietnam; la solitudine; la disgregazione e ritratto della socialità; la vita nella sua fase finale: la vecchiaia tout court. Global a parer nostro, inteso non meramente nell’essere il libro ambientato in più punti del pianeta, elemento presente, ma appunto del voler abbracciare svariati temi oltre a quelli precedenti citati. L’artista, perché chi scrive lo è, ci fa immergere in un mondo e in alcuni tratti ci devasta e turba senza alcuna pietà.
Quante cose non siamo riusciti a vedere perché dovevamo stare lì a guardare?
Tutto ciò animano e caratterizzano soprattutto il Volontario, il sergente Tilly. Uomo che di pagina in pagina si forma decostruendosi attanagliato da una spasmodica ricerca della padronanza di sé, intimità, relazionarsi con il proprio Io e il mondo.
Fugge e si arruola; prono si sottomette ai Marines tanto da tatuarsene simboli e motti sulle braccia quasi inconsapevolmente. Trova nella guerra e nella realtà militare un precario equilibrio e dimensione. Lascia scorrere la sua vita. Poi tradito, de facto, da quella che ritiene la sua casa e famiglia si rifugia in un amore. Sì l’amore che rende schiavi e lui ne è felicemente succube. Uomo che non vuole aver debiti con nessuno ma che cede ai sentimenti come rifugio di una esistenza dove la solitudine da lui costruita non gli ha dato la serenità sperata. Non vuole dipendere da nessuno ma alla fine deve cedere.
Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole.
Romani 13, 8
La vita non fa sconti. Quindi Dwight, il volontario, cade e si rialza innumerevoli volte. Si rapporta con moltissimi personaggi e vive numerosi episodi che arricchiscono la sua esistenza. Portandolo a mutare e a riallinerarsi in parte con se stesso. Conquistando un equilibrio.
Scibona, gioca davvero con il lemma volontario. Il protagonista all’inizio pare in antitesi con il suo soprannome poi via via ne incarna tutti i suoi aspetti.
Ho imparato che la vanità ti corrompe solo se l’accumuli.
Dialoghi efficaci, descrizioni meravigliose e una caratterizzazione accurata dei molti personaggi.
Sì ma ci si innamora del sergente, senza alcun dubbio. Descrivere la guerra come già ho ricordato, la sconfitta per eccellenza di un popolo che con saccenza, si ritiene magister vitae e esportatore di libertà ma non solo. L’autore narra di quanto il suo peso abbia deflagrato nella generazione dei reduci e loro figli. L’essere anziani, qui, non è pennellato con retorica ma con fattività si dice che si vive momento per momento e seppure la società ci mette a riposo questo non vuol dire aspettare semplicemente la fine. Troppe riflessioni restano nella memoria e a malincuore si termina il libro di cui si vorrebbe prolungare sine die, l’esperienza di lettura. Un libro che contribuisce a saper vivere. Un tesoro e scrigno da cui attingere per il nostro quotidiano.
Si è davvero fortunati ad avere grandi scrittori che ci raccontano storie così che arrivano all’improvviso e sconquassano ,rimescolando, la mente e il cuore del lettore.
Sì ma il bambino abbandonato all’ aeroporto di Amburgo?
Vedrete sarà il riscatto, a lettura ultimata, che vi farà digerire l’asprezza del mondo e leva per ripartire di nuovo. Il bicchiere ,in fin dei conti, è pieno!
A cura di Francesco Morra
Salvatore Scibona
è nato a Cleveland, Ohio, nel 1975. Con il suo romanzo d’esordio, La fine (66thand2nd, 2011), è stato inserito nei 20 Under 40 del «New Yorker» e nella shortlist del National Book Award. Si è aggiudicato il Young Lions Fiction Award, il Pushcart Prize, l’O. Henry Award e il Whiting Award, oltre a ricevere un Guggenheim Fellowship. Attualmente dirige il Dorothy and Lewis B. Cullman Center for Scholars and Writers della New York Public Library.
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