Incontro in Egitto




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Penelope Lively

Editore: Guanda

Traduzione: Gaspare Bona

Introduzione di André Aciman (tradotta da Valeria Bastia)

Pagine: 216

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Claudia ha ormai gran parte della sua vita alle spalle, e lo sa. Non avrà altre occasioni per realizzare quella che, per una giornalista e storica come lei, è la più sfrenata delle ambizioni: una storia completa del mondo. Un racconto che cominci dalla notte dei tempi, dalle ammoniti che hanno impresso la propria forma su pietre antichissime bagnate dal mare. Quelle che Claudia, bambina, raccoglieva insieme al fratello Gordon a Charmouth, nel 1920. Anzi, non insieme, perché loro non hanno passato un solo minuto senza litigare, anche se nessuno dei due avrebbe potuto fare a meno dell’altro. Al punto che tutto quello che ciascuno di loro ha fatto nella vita è stato come un messaggio silenzioso rivolto all’altro, alla ricerca di un’approvazione lasciata solo all’intuito. Prima e dopo la guerra che ha incendiato il mondo e ha cambiato per sempre l’esistenza di Claudia. Sì, perché la vita, anche quella messa in scena a beneficio di un solo spettatore, a volte ha l’irruenza dell’imprevisto che scambia i ruoli di protagonisti e comparse. E Claudia non potrebbe scrivere la sua storia del mondo (che nella sua mente ormai si sovrappone alla storia della sua vita) senza parlare di Lisa, la figlia con cui è sempre stata impietosa e di cui sa così poco, di Jasper, che per lei non è mai stato altro che il padre di Lisa, e soprattutto di Tom, del loro indimenticabile incontro nell’Egitto conteso da tedeschi e Alleati, e dell’amore unico che hanno vissuto. Pubblicato nel 1987, Incontro in Egitto ha vinto nello stesso anno il Booker Prize.

Recensione

Claudia vuole scrivere una, anzi, la storia del mondo. Un’opera totale e totalizzante, che dalle ammoniti arrivi fino al presente e comprenda ogni singolo fatto, che faccia sentire i suoni della degli spagnoli da Tlacopan, il saettare delle frecce, lo sciabordio delle barche sull’acqua, gli odori, i colori.

E vuole farlo ora, proprio adesso che lei, il mondo, lo sta lasciando. Un progetto di cui non vedrà la luce e che è solo e tutto nella sua testa, una distrazione, una dilatazione (e una dilazione, forse), del momento contingente.

Ma come restituire il ritratto veritiero, completo, di un mollusco preistorico o di un condottiero, non filtrato dallo sguardo, dalla sensibilità, dalla visione di chi scrive? Un compito nient’affatto semplice, semplicemente impossibile se chi scrive è Claudia Hampton, bellissima, di carattere, intelligente, indipendente, immodesta, a tratti insopportabile, sempre incontenibile dalle righe come dalle convenzioni e le etichette.

Una figura che domina lo spazio, cattura le attenzioni, invade, monopolizza; pseudostorica, corrispondente di guerra, giornalista provocatoria e attaccabrighe. In una parola: troppo, troppo per essere la madre che forse Lisa avrebbe voluto, troppo per Jasper, che sempre entrerà, uscirà e tornerà nella sua vita, troppo per essere compresa dalla cognata Sylvia. Talmente abbagliante da non proiettare ombre e lasciare tutti gli altri al buio, a parte il fratello maggiore Gordon, riflesso e alter ego, altra metà di un mondo inaccessibile al resto dei comuni mortali.

Ma Claudia ha un segreto, perduto tra le sabbie d’Egitto, celato come un veleno nello scomparto nascosto di un anello, eppure sempre presente, come le tante Claudie che si sovrappongono e si intersecano delineando la Claudia che è diventata. E anche Gordon, l’apparentemente insipida Lisa, l’istrionico Laszlo dall’occhio attento hanno dei segreti. Misteri insospettabili, incomunicabili e taciuti, cosicché ognuno ha dell’altro un’immagine distorta e incompleta e di fatto non possiede nulla come se fosse possibile, in effetti, possedere l’altro, trattenerlo e presumere di conoscere ogni sua cellula, ogni strato.

Come il nostro rapporto con la storia, di cui abbiamo solo freddi dati, senza interpretazione, e comunque solo una porzione, talvolta quella che ci fa più comodo.

Una condizione che l’autrice Penelope Lively esprime non solo con uno stile magnifico e una profondissima psicologia dei personaggi, che è tanto difficile salutare arrivando all’ultima pagina, ma anche e soprattutto con l’alternanza del punto di vista, escamotage messo in luce anche dalla bella prefazione di André Aciman: la voce di Claudia, ovviamente, emerge prepotente come è giusto che sia, ma trovano un pertugio anche Tom e i suoi sogni intrappolati in un carro armato, si intrufolano i sentimenti di Lisa, i non-detti di Gordon; e dall’io si passa a una terza persona onnisciente.

Per fare la Storia, anche quella di un romanzo, ce ne vogliono tante, di storie, ci vogliono tutte le storie, anche quelle che nei libri e nei saggi accademici non compaiono, anche quelle che divampano e svaniscono altrettanto in fretta, quelle che si fossilizzano in un deserto che un tempo era oceano, che si polverizzano e restano solo nella memoria di qualcuno in un per semprerelativo, perché la nostra esistenza è limitata, ma questo non le rende meno preziose e dannatamente necessarie per far sentire qualcun altro che a quella piccola storia lega la propria vivo davvero.

A cura di Francesca Mogavero

https://www.buendiabooks.it

 

Penelope Lively


Penelope Lively è nata al Cairo nel 1933 e vive in Inghilterra dal 1945. È membro della Royal Society of Literature. In Italia sono usciti i romanzi La fotografia, Un’ondata di caldo, La sorella di Cleopatra, Tre vite, Appunti per uno studio del cuore umano, Un posto perfetto, Amori imprevisti di un rispettabile biografo, È iniziata così e L’estate in cui tutto cambiò (Whitbread Award), tutti pubblicati da Guanda, e i libri per ragazzi Il fantasma di Thomas Kempe e Alieni a lieto fine, editi da Salani.