Recensione di Sara Zanferrari
Autore: Emanuela Canepa
Editore: Einaudi
Genere: narrativa
Pagine: 248
Pubblicazione: 18 febbraio 2020
Sinossi. C’è una donna ferma sulla soglia di un convento. Deve entrare, ma ha paura. Oltre quella soglia, lo sa, avverrà la resa dei conti. Perché è lì che si trova sua figlia, un’adolescente scappata di casa dopo l’ennesima lite con lei. Ed è lì che vive la persona che molti anni prima l’ha abbandonata senza una parola, per seguire la propria vocazione. Dopo il successo de L’animale femmina, Emanuela Canepa torna a scandagliare i conflitti sotterranei che si annidano in ogni rapporto. Stavolta, lo fa attraverso tre figure femminili indimenticabili. Una madre, alla quale la figlia rimprovera un’esistenza di rinunce. Una figlia, che la madre ha sempre sentito inaccessibile. E una suora, che ha lasciato tutto, anche la sua più grande amica, per abbracciare senza riserve il proprio destino. Tre donne profondamente legate tra loro, eppure in costante fuga l’una dall’altra. Perché ogni legame d’amore può diventare un cappio, e ogni distacco trasformarsi in battaglia.
Recensione
«Che figlio è quello immune dal bisogno? Le creature che hanno urgenza di noi non sono mai quelle che scegliamo. Ne vorremmo altre, che invece sfuggono come se traessero energia dalla nostra volontà di renderci insostituibili. Il bisogno è una dinamica squilibrata.» pag.144
“Non posso rimproverarle niente. Però vorrei capire perché non parla con me ed è ostile. Lo so che è un’adolescente, ma lo è anche per te, invece vi vedo sempre insieme. O l’adolescenza è una condanna che devono scontare solo le madri?” Pag. 16
In questi due stralci del romanzo, c’è tutta la sofferenza del complicato rapporto d’amore che lega Emma a Matilde, madre e figlia, due figure, che un tempo sono state una sola, volenti o nolenti, ma nel momento del concepimento sono state separate per sempre.
Distanza, vicinanza, quasi un gioco crudele di detti, non detti, sguardi, gesti, frasi sibilate, porte sbattute in faccia. La percezione di distanza è continua, nei discorsi di Emma, i silenzi e i tentativi di fuga fisica e metafisica di Matilde dai tentativi di “controllo” che percepisce nella madre, che colleziona errori su errori nel tentativo di saldare nuovamente il distacco compiutosi alla nascita.
Storia di come l’amore faccia fatica a volte a trovare l’espressione di sé e in sé, e la comprensione nell’altro, che racconta la fatica di trovare il giusto modo per esprimersi e l’accoglienza adeguata in coloro che si amano. Burrascoso è il rapporto fra genitori e figli adolescenti, ma ancor più lo è il rapporto fra madri e figlie, che spesso non si placa mai, nemmeno in vecchiaia.
Storia di una ferita mai guarita di una donna che è diventata madre troppo presto e senza il conforto di una vicinanza genitoriale affettiva, Emma sembra a sua volta riproporre, con inconsapevolezza, il modello alla figlia: travestito da cura, ma privato del contatto affettivo necessario, mantiene solo quell’aspetto di controllo, che Matilde mal digerisce e combatte già fin da piccolissima.
Storia di ricerca di libertà e autodeterminazione di Matilde, che dimostra un carattere determinato che le dona una tranquillità interiore che Emma al contrario non conosce, e sembra destinare la loro relazione a un conflitto perenne e irrisolto.
Ma ci sono altre figure rilevanti, che potranno pesare, e lo faranno, nell’equilibrio mai raggiunto e doloroso di questo rapporto:
Irene, la vecchia amica di Emma, il cui convento diventa il luogo “neutro” dove antichi conflitti e segreti possono sciogliersi.
Fausto, il padre, il marito, la figura maschile di cura silenziosa e calma nella tempesta delle relazioni al femminile.
Eugenio, quasi un giovane Fausto, così simile, seppur diverso.
I genitori di Emma, radice che l’ha generata e dai quali si percepisce la fonte di tutta la sua sofferta rigidità.
Personaggi vivi, reali, di cui colpisce a volte l’estrema lucidità, quasi crudele, dei loro pensieri e azioni. Niente sconti, niente sotterfugi, quando lo specchio ti rimanda la tua immagine, bisogna guardarla dritta negli occhi.
Un titolo evocativo, “Insegnami la tempesta”, che lascia aperte molte domande, probabilmente diverse a seconda di chi si avvicina a questo romanzo nell’apparenza semplice, eppure così complesso.
E quasi una conclusione nella frase di Irene:
“Non occorre pensarla allo stesso modo per aiutare qualcuno. Può esserci amore anche nella furia. Può esserci amore nella distanza”. Pag. 213
Si può essere molto diversi, sbagliare, cercare, ma amore e comprensione, forse, possono tutto.
A cura di Sara Zanferrari
Emanuela Canepa
Emanuela Canepa (Roma, 1967) vive a Padova, dove lavora come bibliotecaria. Il suo esordio L’animale femmina (Einaudi 2018 e 2019), vincitore all’unanimità del Premio Calvino 2017, ha avuto un’ottima accoglienza di critica e di pubblico e ha vinto il Premio Letterario Fondazione Megamark, il Premio Anima della Confindustria e il Premio per la Cultura Mediterranea – Fondazione Carical nella sezione Narrativa Giovani. Sempre per Einaudi ha pubblicato “Insegnami la tempesta” (2020).
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