Intervista a A. Bongiorni




A tu per tu con l’autore


Ciao Alessandro, ti ringrazio, anche a nome di ThrillerNord per aver ritagliato qualche minuto per rispondere a queste domande e ti faccio i complimenti per questo noir tagliante come un bisturi.

Grazie a te, è sempre un piacere tornare sulla vostra pagina. E grazie per le belle parole. 


Il titolo è un fattore importante per il successo di un libro e “Favola per rinnegati” è fulminante e resta impresso, sia per originalità sia per la sua forza comunicativa. Come è stato scelto?

Quando inizio a scrivere un libro, di solito non ho giù un titolo in testa. Il titolo mi viene a un certo punto della stesura, magari con una suggestione, altre volte invece è il risultato di una chiacchierata col mio editor. Qua devo dire che il titolo nasce da una mia idea, condivisa dalla casa editrice, ed è l’estratto di un dialogo tra il protagonista (Rudi Carrera) e uno dei due ragazzini autori della strage iniziale. 

Rudi Carrera è un uomo piegato e scaraventato al tappeto dai suoi errori. Cosa gli permette di andare avanti e di opporsi alla deriva autodistruttiva?

Rudi ha sempre ben chiara la distinzione tra giusto e sbagliato, tra bene e male, eppure è incapace di fermarsi. Quando si avvicina alla soglia, c’è qualcosa dentro di lui che lo spinge a oltrepassarla, anche se sa che potrà ferire qualcuno – sicuramente se stesso. Per il lavoro è disposto quasi a tutto. È il lavoro di poliziotto, con le sue derive, a dargli un posto nel mondo.

Dalla strage in piazza San Marco la trama del libro si espande e complica incorporando molteplici sottotrame di estremo interesse, dal traffico di armi destinate ai terroristi somali alle stragi di civili in Afghanistan. Quali sono gli elementi reali di questi riferimenti e quanto hai dovuto documentarti per avere i necessari riscontri?

Il traffico di armi è uno di quegli argomenti tabù. Spesso ha a che fare con quella zona grigia che separa legale da illegale. C’è il ruolo delle banche che garantiscono le transazioni, ci sono i governi che impostano il mercato, ci sono le triangolazioni attraverso cui si vendono armi agli Stati canaglia (vedi Yemen)… La documentazione a nostra disposizione per capire come funziona, però, è scarsissima. Ancora più difficile è capire come funziona il traffico illegale, di cui scrivo io. Per documentarmi ho avuto la fortuna di parlare col professor Parazzini dell’università Cattolica di Milano, membro dell’Osservatorio sul traffico di armi. È stato una fonte determinante. 

La Milano raccontata nel tuo noir è una metropoli allo sbando, territorio libero per malviventi, trafficanti, zingari e tutto il tessuto degenerativo nato da una pessima gestione dell’ordine pubblico. È veramente questa la realtà della “capitale morale” italiana?

Racconto quello che vedo. Quello che dicono le cronache. Una città bellissima che però ha perso la sua anima. Il costo della vita insostenibile unito a stipendi molto spesso inadeguati hanno generato un cortocircuito sociale di cui la politica sembra accorgersi soltanto ora. Comprare casa senza avere una base è estremamente difficile, gli affitti medi hanno prezzi ingiustificati. C’è molto amarezza, per le strade. Lusso sfrenato da una parte, difficoltà crescenti dall’altra. 

I personaggi del tuo romanzo sono uomini e donne spezzati, bruciati dal contatto con un mondo contaminato dal male ma lottano con tenacia per trovare un briciolo di speranza. Credi che sia possibile sperare oppure sei pessimista per il futuro?

A essere onesto, non sono né speranzoso né pessimista. Il male è nato con l’uomo, non esiste una fine. Ogni epoca è fatta a modo suo, ogni generazione fatica a comprendere quelle che le succedono. 

In “Favola per rinnegati” citi diverse volte Giorgio Scerbanenco rendendo esplicito chi ha ispirato il romanzo. Quali altri giallisti hanno influenzato la tua narrativa?

Mi reputo un allievo della grande tradizione americana. Ho fatto la tesi su Elmore Leonard, ho letto quai tutto Ellroy e ho non so nemmeno più quante copie ho regalato de Il potere del cane di Winslow. Poi Eddie Bunker, Lansdale, Dashiell Hammett, Chester Himes, Chandler, Jim Thompson. Negli ultimi, poi, anni mi sono avvicinato molto al western. Tra gli italiani, oltre a Scerbanenco, ho amato molto Renato Olivieri, Pinketts, diverse cose di Carlotto e Romanzo criminale. 

Alcuni mesi fa Loriano Macchiavelli sollevò un acceso dibattito sostenendo che il genere noir non disturba più il potere. Qual è la tua opinione in merito?

Credo che spesso si faccia confusione tra giallo e noir. Molti di quelli che vendono tanto, non fanno noir, ma gialli, e si finisce per attribuire loro “compiti” che nemmeno reclamano. Questo è un equivoco. Il pezzo di Macchiavelli è stimolante, più o meno condivisibile in certi passaggi, ma solleva una riflessione necessaria, se vogliamo uscire dalla mediocrità in cui troppo spesso ci troviamo impantanati. Loriano cita Jo Nesbo e ha ragione: un successo inspiegabile. 

Secondo te la funzione del noir è quella sostenuta da Derek Raymond, “impedire alle persone di dimenticare l’orrore che regna”?

Io uso il noir perché, tornando alla riflessione di prima, è lo strumento che mi sembra più adatto per raccontare le cose che ho da dire. Per tirare fuori le mie paure e provare a esorcizzarle. O anche solo per parlare di un problema sociale. Se mi chiedi il perché, però, non ti so rispondere: scrivo così e basta. È un istinto, non una fissazione. 

Secondo il giallista inglese Jake Arnott, “Il noir riflette la società come se fosse uno specchio rotto. Riflette a pezzi. Mostra la società attraverso frammenti. Perché è l’unico modo in cui si può descrivere la società”. Pensi anche tu che il noir sia un potente strumento per capire la realtà contemporanea?

L’immagine dello specchio in frantumi è interessante. Personalmente, penso che il noir non sia di per sé un mezzo per capire la realtà contemporanea. Tutto dipende da come lo fai, il noir. Ci sono libri e film non di genere che raccontano la società meglio di cento noir, mentre ci sono noir che passano come acqua fresca. Il genere è solo uno strumento. È per questo che certo snobismo, che ancora persiste anche se si fa finta di no, sulla narrativa di genere è francamente insopportabile. L’unica cosa che dovrebbe contare è il libro.   

Esiste per te una “scuola” italiana del noir? Quali sono i suoi punti di forza?

Più che una scuola, direi che ci sono tanti autori di noir, che però spesso si ispirano ad autori di altri paesi… All’estero i nostri noir, o gialli, non vanno sempre benissimo. 

Quali sono le letture nel genere giallo/noir e c’è un noir che avresti voluto scrivere tu?

Romanzi preferiti, uno per autore, sicuramente American Tabloid (Ellroy), Il potere del cane (Winslow), Corri uomo corri (Himes), Hot kid (Leonard), L’assassino che è in me (Thompson)… Ma davvero te ne potrei citare decine. Mentre invece, no, non c’è niente che avrei voluto scrivere io, per il semplice fatto che mi sarei privato della lettura di un grande romanzo, e per libri come quelli che ho appena citato sarebbe un vero peccato. 

Ti ringrazio per questa intervista, facendoti ancora i complimenti per “Favola per rinnegati” che mi ha fatto venire la voglia impellente di comprare i libri precedenti.

Grazie a te, è stato un piacere. 

A cura di Salvatore Argiolas

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