Intervista a Alex Michaelides




A tu per tu con l’autore


 

Alex, il tuo percorso artistico è strettamente connesso al mondo del cinema. Hai ottenuto un Master of Arts in sceneggiatura all’American Film Institute di Los Angeles, hai scritto il film Coppia diabolica (The Devil You Know – 2013) e hai co-scritto La truffa è servita (The Con is on – 2018) interpretato da Uma Thurman e Tim Roth. Ad oggi, “La paziente silenziosa”, è il tuo primo romanzo.

Quanto sono state importanti queste tue precedenti esperienze come sceneggiatore, nel permetterti di scrivere un romanzo incentrato sull’anima e sui moti interiori della psiche individuale, ma allo stesso tempo così stupefacentemente e sorprendentemente visivo?

Penso che, ai giorni nostri, tutti gli scrittori siano suggestionati dal cinema, anche se non vogliono ammetterlo. Fa parte della nostra psiche e del nostro modo di pensare. Io sono enormemente influenzato dai registi, in particolare da Hitchcock e Billy Wilder, che sono stati nella mia testa per tutto il tempo mentre scrivevo “La paziente silenziosa”. Ho anche una soglia dell’attenzione molto bassa, per cui mi piace che le cose siano dinamiche, che si muovano velocemente. Che è di nuovo qualcosa che ho imparato dai film. Ma scrivere per il cinema e scrivere libri sono due situazioni molto diverse. Di solito lo descrivo così: scrivere un libro riguarda l’espansione, scrivere una sceneggiatura riguarda la contrazione. Con ciò intendo che nella scrittura di un film devi mantenere velocità e movimento. Mentre in un libro puoi rallentare, entrare nella mente dei personaggi e passare la giornata con loro mentre fanno shopping o passeggiano al parco. E la possibilità di entrare nella testa di qualcuno è stata una rivelazione per me, mi ha cambiato totalmente come scrittore.

Il terapeuta Theo Faber è il personaggio principale del tuo romanzo. Affrontando il caso come una missione, cerca in ogni modo di scoprire le ragioni per cui la famosa pittrice Alicia Berenson, dalla vita apparentemente perfetta, abbia sparato improvvisamente al marito per cinque volte in pieno volto, e poi abbia smesso di parlare. Mi chiedo se il nome che hai scelto per lui – Theo, nome di origine greca che significa “dono divino”, Faber creatore o artefice- manifesti la tua intenzione di connotare il personaggio in termini di una sorta di onnipotenza, manifesta nell’ostinazione a riuscire dove tutti finora hanno fallito: cioè nel far parlare di nuovo Alicia.

Il tuo è un punto di vista molto interessante. Penso in effetti di aver voluto caratterizzare una sorta di onnipotenza, sì. Che poi è spesso la dinamica che si innesca tra medico e paziente. Specialmente gli psicoterapeuti, talvolta, manifestano una sorta di superbia nel credere di poter guarire la psiche danneggiata di qualcuno. Direi che sono stato attratto dalla terapia perché ero un adolescente complicato: depresso, ansioso, nevrotico. Così ho fatto molti anni di terapia, sia individuale che di gruppo. Ho anche studiato terapia in due luoghi diversi ma non ho terminato i miei studi, poiché ho deciso di essere uno scrittore, non un terapeuta. Il mio pensiero nei confronti della terapia è che tutto dipenda dall’abilità individuale del terapeuta. Quindi se hai un terapeuta meraviglioso, come è capitato a me, puoi fare grandi progressi. Sfortunatamente ho sentore che i terapeuti davvero validi siano pochi e lontani tra loro. Quindi immagino di avere un atteggiamento ambivalente nei confronti della terapia, cosa che sicuramente emerge nel romanzo.

Di fatto Alicia parla ai lettori. Lo fa attraverso le pagine del suo diario, di cui inserisci estratti tra un capitolo e l’altro. Grazie a questo espediente i punti di vista, tra passato e presente, si fronteggiano, garantendo una suspense crescente (anche se continua e serpeggiante). Ti è stato chiaro fin dalle prime stesure del romanzo che la voce di Alicia avrebbe avuto questa forma?

Sì. Volevo che lei tacesse, ma sapevo che dovevo far accedere i lettori alla sua mente, altrimenti non avrebbero mai empatizzato con lei. E’ stato difficile decidere quando e come intessere le voci del diario. Infatti lo ho scritto per ultima cosa perché, per essere onesti, avevo paura di scriverlo. E poi per tre mesi, un’estate, nella mia testa mi sono trasformato in Alicia, ho passeggiato al parco dove vivo e ho cercato di immaginare di essere lei.

Il mito di Alcesti, declinato nell’omonima tragedia greca di Euripide, è un elemento fondamentale nel plot de “La paziente silenziosa”. Hai scritto nel romanzo che ogni buon greco conosce le sue tragedie. Sono le tue origini greco-cipriote che stanno parlando in questo passo?

Ho incontrato per la prima volta la tragedia di Alcesti quando avevo circa 13 anni a Cipro. Non è una tragedia che viene rappresentata molto spesso perché è abbastanza problematica e stranamente insoddisfacente. Alcesti muore per salvare suo marito e quando torna in vita, alla fine del dramma, si rifiuta di parlare. È difficile capire e maneggiare il suo silenzio quando si ricongiunge al marito. È felice di vederlo? È arrabbiata perché l’ha lasciata morire? Qualcosa nel suo silenzio mi perseguitava e per molti anni ho continuato a pensare a come raccontare quella storia, prima come pièce teatrale, poi come cortometraggio, e poi, quando ho avuto l’idea di rappresentarla in un istituto psichiatrico, all’improvviso tutto ha preso vita in forma di romanzo.

“La paziente silenziosa” diventerà un film. Avrai un ruolo in questa produzione? Se sì, quale?

Quando il libro è stato oggetto di una guerra di offerte a Hollywood per i diritti cinematografici, non ho perso lo sguardo ironico su come vadano certe volte le cose. Erano molti i produttori con cui avevo cercato di ottenere incontri per 20 anni, senza successo, che ora mi chiamavano al cellulare alle 11 di sera a Londra, cercando di farmi firmare con loro. È stata una decisione difficile, ma penso che Plan B produca i migliori film di Hollywood ed è un vero privilegio lavorare con loro. Mi hanno chiesto di scrivere la sceneggiatura. Non ho un ego esagerato, quindi sarò molto felice di imparare il più possibile da questo progetto, smontare il libro e rimetterlo insieme in un modo diverso per un mezzo di comunicazione diverso. Sarà affascinante.

Alex Michaelide 

Una sola parola a definire Alex Michaelides: amazing!

Grazie per la disponibilità e la fiducia

Sabrina De Bastiani

 

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