Intervista a Alice Bassoli




A tu per tu con l’autore


Qual è stata la tua principale fonte di ispirazione per scrivere “La ninnananna degli alberi”?

Lessi qualche anno fa una storia ambientata negli anni Novanta, un libro che amai alla follia e il cui ricordo serbo ancora oggi nel cuore come un cimelio. Da lì l’idea di creare un romanzo che attraversasse due epoche storiche: gli anni Novanta (a me molto cari) e i giorni nostri. I libri che leggo e alcuni personaggi che ho la fortuna di incontrare in certe storie sono spesso per me illuminanti. Me li porto dentro, li preservo gelosamente nel tempo e faccio fatica a staccarmi da loro. Mi continuano a parlare anche a distanza di anni. Prendo spunto anche da quello, dall’immaginazione di qualcun altro, ma anche dai racconti di un amico, da un’immagine che ti passa davanti per caso. A volte si ha la fortuna di godere di certe benedizioni in grado di innescare idee che è bene conservare. 

Ma c’è di più: la villa abbandonata che confina con casa mia si è rivelata un’autentica fonte di ispirazione, un luogo affascinante e decadente che ha catturato la mia immaginazione fin da subito. La sua bellezza in rovina ha dato vita all’idea di creare una storia in cui una dimora disabitata diventasse un elemento scenico di rilievo.

Il fascino dell’abbandono, le stanze deserte, i mobili coperti di polvere e le tracce di una vita passata: chi, da ragazzino, non ha mai vissuto l’esperienza di addentrarsi tra le mura di una villa disabitata per lasciarsi investire dal mistero seduttivo dell’incuria? 

Come ti sei preparata per entrare nella mente dei personaggi e rendere autentici i loro sentimenti e le loro esperienze?

Quando scrivevo mi sintonizzavo sulle frequenze dei miei personaggi. Tentavo di mettermi in contatto con la loro mente, come se esistessero, come se fossero reali e vivessero in un altro mondo parallelo al nostro. È per me fondamentale riuscire ad infilare un cuore che batte in ciascuno dei protagonisti delle mie storie. Solo così diventano tangibili, esseri umani in carne ed ossa. Mi metto nei loro panni, infilo le loro scarpe e cammino osservando il mondo coi loro occhi. Per questo poi per me è davvero difficile dire loro addio al termine della stesura di un libro.

Qual è stato il motivo che ti ha spinta ad ambientare la storia nell’Appennino tosco-emiliano?

Ho preferito scegliere elementi scenici famigliari, luoghi a me cari o in cui sono semplicemente stata anche solo una volta. Io abito in Emilia, ma in pianura. Le montagne o le colline che fanno da cornice alla zona in cui vivo sono da sempre per me un richiamo lontano.   

Il nostro appennino è ricco di elementi suggestivi: boschi, curve, paesini isolati che a volte possono trasmettere un certo senso di solitudine, borghetti medievali… Ho sempre ritenuto che contribuissero a creare un’atmosfera avvolgente, ideale per delle storie misteriose. Non ci dimentichiamo che sono luoghi in cui le tradizioni sono ancora ben radicate. Lì c’è tanta profondità emotiva da cui attingere e trovare ispirazione per delle belle storie. 

Hai fatto delle ricerche particolari sulla vita nei piccoli paesi di montagna per dare più realismo alla narrazione?

Il paese di Cadelbove in realtà non esiste. Ho preso spunto dai tanti borghi o paesini che colorano le nostre colline e le nostre montagne. Desideravo raccontare la vita delle minuscole realtà di provincia, fatta di piccole grandi cose, che durante l’adolescenza sembrano in realtà gigantesche. Quando sei giovane il tempo è dilatato, e ogni cosa ha un peso specifico maggiore. 

Qual è stato il momento più emozionante o difficile durante il processo di scrittura del romanzo?

Il momento più emozionante è stato senza dubbio l’inizio, perché in quella fase l’energia è a mille. Ci si affaccia su di un mondo che aspetta ancora di essere descritto e che si trova solo nella propria immaginazione e si combatte contro l’impazienza di mettere tutto nero su bianco quanto prima, quando in realtà serve pazienza e disciplina per farlo in modo maturo e costruttivo. Il momento più difficile l’ho vissuto durante la stesura dell’ultimo capitolo, perché capivo che stavo per lasciare i miei personaggi, a cui mi ero profondamente legata emotivamente.  

Hai qualche esperienza personale o eventi reali che ti hanno influenzato nella creazione di questa storia?

Le storie nascono da una fonte di ispirazione primaria, ma poi prendo spunto da un’immagine, le parole di un amico, la scena specifica di un film, da una canzone. Mescolo tutto e cerco di stendere una trama che sia coerente. Nello specifico, in questo romanzo uno dei pochi elementi autobiografici che si possono contare è la musica: ci sono le canzoni dei Radiohead e dei Pearl Jam, per esempio, gruppi storici, colonne portanti dello scenario musicale anni Novanta che io amo moltissimo. 

C’è un messaggio o un tema principale che speri che i lettori colgano leggendo il tuo romanzo?

In realtà, non ho inseguito un messaggio o un tema specifico. Ho voluto mettere in scena il vissuto quotidiano di un gruppo di ragazzi adolescenti, affidandomi ad uno stile trasparente e realistico in cui il lettore possa immedesimarsi. È tutto a misura d’uomo. La storia e i personaggi navigano a vista basandosi concretamente sui fatti. E io mi auguro candidamente che il lettore si affezioni ai protagonisti di questo romanzo. Sarebbe un grande regalo, per me. Il regalo più grande. 

Grazie mille per questa splendida opportunità!

Alice 

A cura di Giusy Ranzini

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