A tu per tu con l’autore
In un mondo in cui spesso non riusciamo a utilizzare le parole per esprimere i nostri sentimenti e le nostre emozioni, il suo romanzo ha invece una peculiarità importante: le parole brillano, giocano, si sovrappongono, si incastrano, si specchiano, si rafforzano a vicenda e vanno dritte al cuore del lettore. Come nasce l’idea di utilizzare le parole quasi come un gioco?
Ho una profonda passione per la parola, e forse da questo nasce l’idea, prima di tutto. Il linguaggio ha un forte potere evocativo e di rappresentazione della realtà, compresa quella emotiva. Non è un caso che imparare nuove lingue non ampli solo le possibilità comunicative, ma modifichi proprio la forma mentis. Attraverso questa fascinazione per la parola ho voluto trovare un modo, nella mia storia, di renderla doppiamente significativa; oltre quindi al ruolo già intrinseco che ha fisiologicamente nella prosa, ho voluto attribuirgliene un secondo, che amplificasse il suo ruolo “chiave” all’interno della trama.
Personalmente non sono riuscita a catalogare “ E fuori vennero i lupi” in un unico genere letterario. Sicuramente stiamo parlando di un romanzo di formazione ma anche di un noir e se vogliamo ha anche qualche nota thriller perché si respirano alcuni momenti di forte tensione. Nasce come genere ben preciso? Ci sono stati dei cambiamenti in corso d’opera?
Credo che tu abbia ragione: è difficile inquadrare questo romanzo in un preciso genere letterario, cosa che forse può caratterizzarlo sia in termini positivi che non. La forma che ha trovato è stata frutto di un percorso che traeva origine da un’idea abbastanza precisa di trama e di ambiente emotivo (l’abbandono). In sostanza condivide gli elementi di suspense – e la dicotomia mistero-elementi rivelatori del thriller – e quelli di analisi psicologico/umana di un romanzo di formazione. E sì, “E fuori e vennero i lupi” ha subito alcuni adattamenti e rivisitazioni in corso d’opera, principalmente perché rappresentava un progetto per me ambizioso, sia in termini di architettura, che di proprietà letteraria nel costruirne lo stile e lo svolgimento. Ho quindi imparato diverse cose nello scriverlo, come succede con un mestiere, ma anche, e soprattutto, attraverso un viaggio.
Michele e Marta, due come noi. Ci sfugge sempre qualcosa? Quanto l’isolamento e il silenzio possono essere utili per guardarci dentro o guardare dentro chi ci sta vicino?
L’isolamento di Michele è una situazione estrema e, volendo trarne un messaggio personale, è probabilmente da vedersi nella sua valenza metaforica. Entrando nel merito credo che, la capacità di poter stare da soli, e di conoscersi – o affrontarsi – come individui, sia un presupposto fondamentale per l’incontro con l’altro (relazioni sentimentali comprese) e per avere un timone che ci rappresenti nelle nostre rotte.
Da cosa o da chi ha tratto ispirazione per questo romanzo?
Non direi di aver tratto ispirazione da qualcosa o da qualcuno in particolare, fatto salvo che, chiunque scrive o prova a farlo, credo sia in qualche modo influenzato da tutte le esperienze della propria vita. Questo libro senza parafrasare troppo è nato così: mi si è presentata in testa una storia, l’ho messa in un cassetto, e a un certo punto ho avuto la forza di scriverla.
Quali sono le sue letture preferite? Il libro che non può mai mancare sul comodino?
Mi chiedi uno sforzo di sintesi troppo impegnativo, visto quando mi piace leggere e cosa rappresenta per me quel momento. Ti posso però dire alcune cose che mi sono piaciute molto e che ho letto (o ri-letto) in questi mesi: “La misura del tempo” – Gianrico Carofiglio, “Sulla felicità a oltranza” – Ugo Cornia, “Memorie di un giovane medico” – Bulgakov, “Ninna nanna” – Palahniuk, “Grandi ustionati” – Paolo Nori e “Il re bianco” – Davide Toffolo, che in realtà è una graphic novel.
Andrea Marzocchi
Patrizia Argenziano
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