A tu per tu con l’autore
Buongiorno Claudia! Leggendo la tua scheda biografica, scopriamo che hai una formazione piuttosto imponente in Storia, con una tesi incentrata su quella romana, completata poi da studi in Scienze Religiose e Antropologia Filosofica. Che cosa ti ha dato, ciascuna di esse?
Mi sono innamorata della storia all’Università di Lettere e Filosofia, grazie al mio professore che mi ha mostrato come la storia sia la traccia degli uomini. Studiare storia è studiare l’uomo, come era e come è. Ed è anche scoprire che certi aspetti dell’essere umano restano identici nei secoli. Gli studi di Scienze Religiose e di Antropologia Filosofica si inseriscono in questo stesso solco: cercare di penetrare il mistero dell’uomo, dal suo bisogno di trascendenza, al suo vivere tra i suoi simili e nel mondo. Nessuna creatura è come l’uomo, così grandiosa nel bene come nel male.
Quanto sono stati importanti i tuoi studi di formazione nella scrittura?
Sicuramente un approccio di tipo storico è per me imprescindibile. Studiare come si viveva in passato, come ci si vestiva, come si pensava credo serva a dare spessore alle vicende. In generale poi il mio percorso di studi mi ha aiutata a imparare a pensare, e quindi scrivere, secondo i criteri di ordine e logica, anche quando la scrittura inclina alle descrizioni della natura o dei sentimenti.
In Flavia’s End sono rimasta colpita dal tuo modo particolare di trattare la storia di Flavia e la sua interazione con la realtà di Estelle. Mi sarei aspettata un epilogo abbastanza veloce, dopo la conclusione di quella vicenda, ma hai scelto di guardare quello che succede dopo, un elemento che non molti romanzi dalla struttura simile, prendono in considerazione. Che cosa ti ha spinto a continuare a scriverne?
Proprio il fatto che in genere questo tipo di romanzo finisce bruscamente dopo la risoluzione della vicenda principale! Sto scherzando ovviamente, ma non del tutto: in realtà la vicenda stessa di “Flavia’s End” richiedeva un approfondimento sul “dopo.” Senza anticipare troppo, quello che capita ad Estelle ha conseguenze importanti per le persone coinvolte. Scoprire come fanno i conti con il passato è parte del progetto di insieme. È un modo di assicurare che quel che è stato non è stato né per caso, né invano.
Che cosa ti ha colpito maggiormente di Porto Flavia, il sito reale?
Oltre a una sincera ammirazione per il genio di Cesare Vecelli, che è riuscito a creare una struttura unica al mondo e che ha saputo sfruttare l’ambiente in modo molto moderno, è stato il luogo stesso a colpirmi. Prima ancora di visitarlo fisicamente, anche solo le foto mi avevano incuriosito, forse per il contrasto tra la struttura squadrata che emerge dalla parete e la roccia circostante, che porta i segni dell’azione di mare e vento. Cioè, di nuovo, l’opera dell’uomo sull’opera della natura. Infine mi ha colpito il fatto che, come ogni luogo dove l’uomo ha vissuto e faticato, anche Porto Flavia reca la traccia di questo passaggio. C’è come un’eco tra le pietre, sbiadita ma udibile se ci si mette in ascolto, e parla di passato. Perché non raccontarlo allora?
Ami moltissimo la Sardegna, come da tua nota biografica, e soprattutto da questo romanzo, in cui emerge un affetto e un rispetto sconfinati. Che cosa ti attira e ti riporta continuamente in Sardegna?
È molto difficile per me trovare una risposta razionale, perché questa domanda affonda nella mia emotività. Potrei citare molti altri prima di me, da Lawrence a De André, e parlare del silenzio, degli spazi sconfinati, del vento e del mare, delle persone che ci vivono. Certo tutto questo c’è. È una terra antica, che ha vissuto tante vicende e ne conserva memoria. Ma la mia è anche una “Sardegna metafisica”. Uno spazio per l’anima. Ogni volta che arrivo nell’Isola mi riconnetto con me stessa. Le cose diventano chiare e semplici, e sono in pace. E non vorrei lasciarla mai.
Claudia Aloisi
Loredana Gasparri
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