Intervista a Corrado De Rosa




A tu per tu con l’autore


A tu per tu incontra oggi Corrado De Rosa, Thrillernord ha recensito per voi il suo primo romanzo “L’uomo che dorme” ed ha avuto il piacere di rivolgere all’autore alcune interessanti domande.

Corrado, a livello autoriale, fino a oggi ti conoscevamo prevalentemente come saggista (ricordiamo tra altri “I medici della camorra” – Castelvecchi 2011, “Mafia da legare” Sperling & Kupfer 2013, “La mente nera” Sperling & Kupfer 2014) e, riducendo all’essenziale, si può sintetizzare che nelle tue pubblicazioni hai affrontato, dal punto di vista psichiatrico, la follia o il suo “uso” strumentale, con particolare riguardo all’ambito delle aule dei tribunali e dunque in situazioni criminose. Ne “L’uomo che dorme”, riporti questa tematica di base applicandola allo strumento narrativo. Che periodo di gestazione ha avuto l’idea di un romanzo? È stata una svolta relativamente improvvisa o era da tempo che il progetto stava maturando in te?

Una gestazione relativamente breve, avevo un tema di base da voler sviluppare: non tutti i comportamenti incomprensibili sono frutto di follia. Attorno a questo tentativo di lettura del nostro tempo ho provato a costruire i personaggi che hanno animato L’uomo che dorme. Rispetto ai saggi, però, mi sono discostato dal tema dell’uso strumentale della follia e ho cercato di approfondire di più i perché: perché ogni volta che non capiamo un comportamento pensiamo sia il prodotto di una mente malata? Perché un essere umano può arrivare a compiere gesti così atroci? Perché i quarantenni di oggi, tanto affermati sul piano professionale, sono un disastro nella vita privata?

Leggendo il tuo romanzo saltano immediatamente agli occhi la precisa caratterizzazione e l’approfondimento interiore dei personaggi. Sia dei protagonisti sia dei comprimari. Colpisce, indubbiamente, la tua abilità nel tratteggiare con tanta accuratezza i caratteri, senza risultare “dogmatico” e senza cavalcare luoghi comuni, cosa che a volte accade nel genere romanzo/thriller psicologico. Si percepisce grande esperienza diretta e padronanza della “materia”, dovuta, facile immaginarlo, alla tua professione di psichiatra, ma anche un metodo di osservazione e di analisi nuovo, che” esce” dai libri di testo e si fa assolutamente reale, pratico. Quanto hai messo, in particolare nelle figure “negative” presenti nel libro, di persone “reali” con le quali ti sei trovato ad interagire a causa della tua professione, e spero non nella vita quotidiana?

Nel mio lavoro, soprattutto quello che riguarda le aule di giustizia, ti confronti spesso con le periferie più squallide della mente. Le figure negative del libro sono frutto di fantasia, ma rispondono a modelli psicologici precisi e a tipologie umane che ho incontrato spesso. Quanto all’uscire dai libri di testo, ho cercato di trovare un compromesso ragionevole tra la divulgazione e i temi scientifici. Spero di esserci riuscito, almeno in parte.

Una tesi che porti avanti nel romanzo è che, se noi osservassimo con più attenzione chi ci circonda, potremmo accorgerci di eventuali segni di “squilibrio”, di dissonanze; cioè, secondo te “è impossibile che uno si svegli una mattina e uccida.” E quando accade un crimine, “dicono tutti che non se lo aspettavano per lavarsi la coscienza. È la sindrome del vicino del Mulino Bianco (….) perché questi assassini un minuto prima dei delitti, sembrano perfetti, educati, tranquilli. Tutti a blaterare che era impensabile che quel signore così distinto …. (…) Significa lavarsi la coscienza, convincersi che non si poteva fare nulla per evitare la tragedia”.È un passaggio molto forte. Di fatto però, la differenza tra normalità e follia, è spesso un concetto abbastanza labile. Hai portato il discorso all’estremo per esigenze romanzesche, o è un tuo preciso pensiero, riscontrato magari anche nelle tue esperienze lavorative a stretto contatto con la follia?

Certamente non si può prevedere tutto e, spesso, a chi si occupa di psichiatria o di criminologia vengono chieste riletture di vicende criminali per cui sarebbe meglio interpellare un cartomante. Ma la tesi che ho portato nel libro non è piegata alle esigenze narrative. Lo stupore o l’idea che uno si alzi una mattina e uccida moglie e figli, per esempio, sono riletture ipocrite e autoconsolatorie. Quando si ricostruiscono vicende criminali, per esempio quelle che avvengono in famiglia, quasi sempre si ritrovano le stimmate di qualcosa che sarebbe andato storto. Il collante dei rapporti sociali è troppo spesso la superficialità. Ma i segnali, nella maggior parte dei casi, ci sono. Siamo noi che non abbiamo il tempo o la voglia di vederli e ci rappresentiamo il fulmine a ciel sereno.

La parte in cui il protagonista, il dottor Antonio Costanza, interroga chi ha commesso gli omicidi descritti nell’”Uomo che dorme”, per valutarne la capacità di intendere e di volere, è davvero ben congegnata e originale. Alle risposte del soggetto corrispondono risposte verbali del medico, ma, allo stesso tempo, il lettore segue attraverso i corsivi dove stia realmente andando il pensiero di quest’ultimo. In pratica assistiamo a una perizia psichiatrica in presa diretta, dove il protagonista mantiene la situazione pienamente sotto controllo. È prassi consolidata, perché sempre un esperto ritrova elementi inoppugnabili, o può capitare che la situazione non sia così definibile? Nel caso cosa avviene, e, in proiezione futura, a questo proposito, hai idea di mettere Antonio Costanza in seria difficoltà?

Uno psichiatra esperto, di solito, riesce a condurre il gioco quando sta svolgendo una perizia. Lo aiuta molto la tecnica, che riesce a fargli tenere la giusta distanza emotiva dalle vicende, spesso terribili, di cui si occupa. Antonio Costanza, per esempio, non accetta di lavorare sui bambini e sulle vittime di abuso. Non ce la fa. Forse è un segno di debolezza, però quantomeno lui è consapevole dei limiti e ha detto a se stesso che c’è un punto oltre il quale non riesce e non vuole ad andare. Quanto al futuro, Antonio è un pigro. Ci vorrà qualcosa che lo stuzzichi davvero per farlo svegliare dal suo armistizio con la vita.

Oltre ai protagonisti “umani”, alla resa finale, spicca protagonista assoluta Salerno. Non solo nei tratti geografici di cittadina, ma in quanto proprio rappresentativa di una forma mentale, di un approccio e particolare attitudine alla vita. Una Salerno che ispira gesti, movenze, andamenti cadenzati, una Salerno che detta i tempi delle cose, che permea i caratteri. Credo che i tuoi personaggi non avrebbero in nessun modo potuto essere gli stessi, in qualunque altra città. Sei d’accordo? Quanto è importante per te Salerno? È stato naturale ed “inevitabile” ambientare il tuo romanzo lì o è stata una scelta “secondaria” rispetto all’azione?

Salerno ha un ruolo importante nel romanzo, certo. È una città indolente, indecisa, un po’ autoreferenziale. Salerno è la città che cerca di ricondurre tutto a sé. Se un astronauta russo mette piede sulla luna, Salerno sicuramente troverà un cugino del nonno dell’astronauta, o un prozio del cugino dell’astronauta, che ha origini salernitane. Ha tante caratteristiche dei personaggi che attraversano il racconto. Attraversa una fase storica importante, di transizione. Ha i pregi e i difetti di una città di provincia, una provincia che troppo spesso perde di vista le cose buone che ha, accecata dal desiderio di raggiungere quello che non ha.

Il pensiero che Antonio Costanza abbia stretta parentela con Corrado De Rosa giunge magari scontato, ma inevitabile. Caratterizzi concretamente e dettagliatamente il tuo protagonista attraverso le sue canzoni preferite, la passione per il calcio, le letture e va da sé anche nelle reazioni emotive. Fin dove arrivi tu e quanto invece è fiction?

Io e Antonio Costanza condividiamo alcune cose. Antonio fa il mio lavoro, ha la mia età, è scaramantico ed è tifosissimo di calcio. A parte questo, abbiamo gusti molto diversi e due caratteri lontanissimi. Antonio, per esempio, solo al pensiero di scrivere un romanzo avrebbe trovato mille scuse per non farlo.

Corrado De Rosa

Mille grazie a Corrado De Rosa per la cortesia, disponibilità e brillante simpatia , e complimenti per il suo grande talento, che già ha conquistato chi lo ha letto, e sta per farlo in chi lo vorrà leggere….

Sabrina De Bastiani

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