A tu per tu con l’autore
“Piccolo libro di entomologia fantastica”. Una storia fantastica che parla soprattutto di farfalle! Come è nata quest’idea?
A Montegrotto Terme, in provincia di Padova, c’è Butterfly Arc, la Casa delle Farfalle, un luogo chiuso magico al cui interno volano miriadi di farfalle, libere nel proprio habitat naturale lì ricreato. Quando l’ho scoperta, sarà un 15 anni fa, sono rimasto colpitissimo, e mi è partita l’immaginazione: ho pensato “Devo raccontare storie! e le ho raccontate.”
Una storia che si svolge in un luogo fuori dall’Italia, però, come mai?
I Colli Euganei, da cui ho preso l’ispirazione per le farfalle e la villa, sono luoghi bellissimi. Anche noi abbiamo la tradizione di grandi ville, ma le zone boscose sono più al Nord. Qui in pianura mancano grandi boschi. Il libro è perciò ambientato in un luogo immaginario del nord Europa, anche perché sentivo il bisogno di un luogo dove la sensibilità ambientale è più alta che qui da noi.
I nomi dei personaggi infatti sono tutti stranieri, ma anche molto particolari.
I nomi hanno un ruolo fondamentale. Il libro nasce come una sorta di rappresentazione teatrale, dove i personaggi sono chiamati a recitare un ruolo nella grande commedia della vita. Ci sono personaggi famosi, come Darwin, il chimico Boyle, l’attrice Lamarr, e così via. Sono tutti simbolici. Mi viene in testa un nome e ci costruisco sopra il personaggio. Mi piace sentire che suono ha e immaginare che personaggio sarà. Il dr Cricket, per esempio, è un personaggio che mi è venuto, mentre scrivevo, non lo avevo pensato prima. È un personaggio molto particolare, l’entomologo matto che è una sorta di rafforzativo di ciò che i due ragazzini, Daisy e Red, hanno in mente di fare, ma non hanno ancora il coraggio di fare. Poi c’è Daisy, la farfalla più bella di tutti, l’ape regina, l’unica ragazza del gruppo, ma dotata di carattere e forza da farsi seguire dai maschi.
Cosa c’è di Lei in Greenway? E nel signor Criket (Grillo)?
Sono mezzo dell’uno e mezzo dell’altro, al 50% proprio di loro due. Uno è l’Ortolano, l’altro rappresenta la follia, cioè un po’ di sguardo sghembo, un po’ di manie e di visione.
Gli anziani coltivano la terra, i giovani coltivano la passione per l’entomologia: sono anche le sue passioni?
Io coltivo, da oltre 30 anni, due orti dai quali ottengo la maggior parte del cibo vegetale che consuma la mia famiglia. L’ho fatto, quando è nata mia figlia, perché volevo che mangiasse cose sane. L’orto è un luogo che insegna ed educa: alla conoscenza del complesso mondo vegetale, alla pazienza (che spesso non ho) e all’imprevedibilità (mentre vorrei conoscere tutto). Ma soprattutto ti fa sentire utile. Gli insetti sono anche una mia passione: li trovo pieni di vita, capaci di adattarsi a tutto e, se osservati bene, ricchi di elegante bellezza.
I cicli della vita, dell’uomo e delle piante, la connessione con la natura, che qui è molto rigogliosa: voleva dare dei messaggi ben precisi?
Il modello, che ci guida da secoli, di conflitto e spoliazione della natura ci porta sull’orlo di un abisso. La natura non è una parola, un luogo al di là di noi. E’ una formidabile rete di relazioni, di grandi connessioni e lacerarle, semplificarle, piegarle ai nostri unici scopi, su tempi medio-lunghi, produce solo catastrofi.
Fulvio Ervas
A cura di Sara Zanferrari
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