Intervista a Gaetano Pecoraro




A tu per tu con l’autore


 

Tanta stima per aver raccontato una parte della nostra storia così scomoda, innanzitutto. Il male non è qui scandaglia il Maxi processo alla mafia e la ricerca dei superlatitanti dall’interno, buttandoci dentro gli uffici giudiziari e nelle piste, vere o false, delle indagini.

Volevo chiederti, da dove nasce l’idea di questo romanzo, che somiglia tanto a un’inchiesta ma non tralascia dettagli narrativi?

L’idea di questo romanzo nasce dal bisogno di mettere insieme tutta una serie di tasselli raccolti durante i lavori fatti nei vari anni sulla mafia e su Matteo Messina Denaro. Con il podcast (per Audible, Armisanti, su Tutte storie di mafia) che ho pubblicato l’anno scorso già avevo fatto questo genere di lavoro, però avevo ancora delle robe che non avevo approfondito e che volevo approfondire. Matteo Messina Denaro è diventata quasi un’ossessione, mettiamola così, per cui il bisogno era quello di raccontare storie che di cui ero venuto a conoscenza e di cui non si parla. Sono passati trent’anni dalle stragi che hanno segnato e cambiato il nostro Paese in maniera dirompente, definitiva, e quel che vedo oggi è una narrazione di quei fatti come un esercizio: il dovere ricordare, dover celebrare con tutta la retorica, a tratti stucchevole. Ecco, con questo romanzo volevo raccontare invece le ferite aperte, che sono tante ancora oggi a trent’anni da quell’epoca violenta e così buia per la nostra Repubblica.

Nel romanzo, unisci personaggi inventati a personaggi realmente esistiti, come Borsellino, che viene citato solo come “il Giudice” e che ho trovato di una delicatezza disarmante. Come mai questa scelta?

Borsellino non è citato con il suo nome per una forma di rispetto. Penso che era il minimo che potessi fare dato che, come dichiaro sin dall’inizio quindi in maniera molto onesta al lettore, questo libro non ha la pretesa di raccontare la Storia così come dovrebbe essere andata, questa è una storia. Dinnanzi a questo sforzo di raccontare un punto di vista preciso di quegli anni, facendo delle connessioni logiche con fatti storici realmente accaduti, ma con una chiave di lettura personale, mi sembrava giusto che Borsellino non venisse citato con il suo vero nome.

L’idea, invece, di adottare il punto di vista di un magistrato “altro” come Bosso, che ritorna in Sicilia senza una méta e invece finisce per dedicare la sua vita alla ricerca della mafia, a costo di sacrificare la propria famiglia, da dove nasce?

L’idea del personaggio di Bosso nasce assolutamente da fatti reali. Questo magistrato anche nella realtà studiava a Firenze, poi non per una scelta idealistica, etica e morale ma semplicemente per come va la vita si ritrova in Sicilia. Lui da anni aveva abbandonato la Sicilia per fare i suoi studi universitari in giurisprudenza, a Firenze. Non aveva la minima intenzione di ritornare, lì a Firenze stava benissimo ma l’anno in cui doveva prendere posto le sedi concorsuali aperte erano in Sicilia e quindi fu “costretto” a ritornare. Il caso però ha voluto che, quando lui ritorna in Sicilia, la prima sede in cui va a lavorare sia il tribunale di Marsala, dove proprio in quel momento Borsellino era procuratore capo. Da lì cambierà la sua vita: Bosso era un uomo che non aveva alcun tipo di missione, che non aveva in mente di sacrificare tutto per la missione Cosa Nostra. Era semplicemente un magistrato che voleva fare bene il suo lavoro. Lavorare con il più importante magistrato italiano e con Falcone non poteva chiaramente che cambiare anche la sua idea personale: Borsellino avrà il ruolo di tirarlo dentro nel vortice caotico che è la Sicilia di quegli anni alle prese con Cosa Nostra.

Scrivere un romanzo su fatti realmente accaduti e, soprattutto, così oscuri, deve avere un lavoro di ricerca dietro immane. Ti va di parlarci di come, poi, ti sei organizzato per unire la realtà alla fantasia e rendere il tutto fluido?

L’aspetto della ricerca per me è cruciale. Per un progetto come questo, fatto di ispirarsi a fatti realmente accaduti, completare tutto con la fiction non vuol dire essere libero di fare un po’ quel che ti pare, anzi, è molto più difficile rispetto a quello a cui sono abituato, quando faccio il lavoro di inchiesta giornalistica puro. Il mio lavoro d’inchiesta mi è stato d’aiuto, però la ricerca è stata fondamentale perché, ad esempio, nel momento in cui si decide di fare un romanzo, dove ci saranno evidentemente dei dialoghi che hanno per protagonista Matteo Messina Denaro (un uomo di cui non abbiamo la voce, non si sa neanche oggi quale sia realmente il viso), ecco, rendere credibile anche un solo dialogo di quest’uomo era praticamente impossibile. L’unico modo per renderlo credibile per me è stato quello di andare nella sua realtà, a Castelvetrano, e riuscire in qualche modo a introdurmi nel suo ambito familiare, cose che non consiglio di fare, ma che per me sono fondamentali, che stanno nell’idea del mio mestiere. La gente mi conosce per essere inviato de Le Iene; fare Le Iene vuol dire sia fare i servizi che fanno ridere, scherzosi, però noi siamo anche quelli che molto spesso vanno nei luoghi dove nessuno vorrebbe andare, a parlare, a incontrare persone che magari nessuno vorrebbe mai incontrare. Per me invece è fondamentale. Ad esempio, ricordo ancora benissimo quando incontrai la mamma di Matteo Messina Denaro, Lorenza Santangelo: io ero ancora giovane, lavoravo per La 7, e fu l’incontro che mi fece veramente incuriosire per la storia del figlio. Dopo ho incontrato anche altri familiari, proprio per questo libro, come la zia di Matteo Messina Denaro. Grazie a questi incontri, che sono stati anche relativamente lunghi, ho avuto la possibilità di entrare un po’ nel suo mondo e quindi di avere un appiglio alla realtà. Poi chiaramente c’è tutto il lavoro di ricerca sulle carte, sulle sentenze che lo riguardano; però, diciamo, l’aspetto di andare nei luoghi suoi, a parlare con chi lo conosceva che mi ha raccontato degli aneddoti personali e particolari di Matteo Messina Denaro, mi ha dato la possibilità di sentirmi, come dire, di essere quasi vicino a lui.

Un’ultima domanda più leggera (e anche un po’ pettegola, se vogliamo): stai lavorando a qualche altro progetto?

Adesso mi devo concentrare sul mio lavoro in tv a Le Iene, però ho già in mente un progetto molto importante, vediamo un attimo se va in porto. Non l’anticipo perché ancora è troppo presto, comunque sarebbe un lavoro di inchiesta puro. Vediamo, non sono sicuro. 

Ti ringrazio per la disponibilità e per averci regalato uno specchio non edulcorato di una pagina “nera” dell’Italia di cui si sa sempre troppo poco.

Grazie a voi.

Gaetano

A cura di Laura Bambini

 

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