Intervista a Lidia Del Gaudio




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Lidia, grazie per aver accettato il nostro invito.

Grazie a te, Claudia, e a Thrillernord per l’attenzione che mi avete voluto dedicare.

Ho letto “Il delitto di via Crispi n.21”, vincitore del Premio Garfagnana in Giallo/Barga Noir 2019, della prima edizione del Premio letterario Toscana e infine proposto per lo Strega nel 2020. Ora che l’ho letto, mi spiego il perché.

Parto con l’ambientazione. Siamo a Napoli, primi di maggio del 1938. L’Italia si prepara ad accogliere Hitler in visita ufficiale ed è in fermento da mesi, con l’unico obiettivo di impressionare il Führer. Sei stata eccezionale nel descrivere l’atmosfera che deve essersi respirata a Napoli in quei giorni, e tu, proprio in quei giorni, hai piazzato le gesta di un killer sanguinario. Cosa ti ha guidata in questa scelta?

Amo la storia e di conseguenza le ambientazioni che ne derivano, offrono una base concreta in cui far agire i personaggi e le ricerche finiscono per arricchire anche me. Già in “Dischi di cartone”, racconto vincitore del Garfagnana del 2015, avevo sperimentato con buoni risultati una narrazione legata al periodo fascista, così come “I colori del Male”, nonostante il genere soft horror, si fonda su dieci episodi realmente accaduti che attraversano un secolo di storia. Nel caso de “Il delitto di via Crispi n. 21” si è poi aggiunta un’altra motivazione: la visione casuale del filmato Luce della parata di Hitler a Napoli. Lì è scattata la scintilla, mi ha colpito molto il cupo dei simboli nazisti contrapposto alla luce splendida di quella giornata piena di sole, ma soprattutto l’inconsapevolezza della folla riguardo alla tragedia della guerra che si sarebbe abbattuta presto sul mondo.  La stessa inconsapevolezza, ho pensato, che avrebbero avuto quelle persone rispetto a un assassino sanguinario che si fosse aggirato in città negli stessi giorni. La facciata patinata che nasconde l’orrore, dunque.  Questa è stata l’ispirazione.

Alberto Sorrentino, il commissario che viene richiamato a Napoli da Civitavecchia per sbrogliare un caso difficile, tanto più che gran parte delle risorse in capo alla polizia locale sono affaccendate nei preparativi per l’arrivo di Hitler, è un uomo dal fascino indiscutibile. A renderlo ancora più magnetico è l’aura di malinconia da cui è avvolto. Chi o cosa ti ha ispirata nella costruzione di questo personaggio?

Nessuno in concreto, se non per il nome di battesimo e la gentilezza. Sorrentino resta per me un modello a cui aspirare, un eroe romantico che per questo non può assomigliare a nessuna delle persone che conosco. Ovviamente all’idea del personaggio concorre l’immaginario che ha fatto parte delle mie letture, anche se poi Sorrentino se ne è affrancato abbondantemente. Diciamo anzi che alla fine sono stata un tramite attraverso il quale è riuscito a raccontare la sua storia.

Mi ricollego un po’ alla domanda precedente. Arrivata a pagina 200 circa, conclusa l’indagine principale, mi sono chiesta cos’altro avessi da raccontare per altre sessanta e passa pagine. Ed è stata una sorpresa scoprire che Sorrentino sarebbe riuscito a risolvere anche un altro caso, che questa volta lo vede coinvolto come vittima oltre che come inquirente. Credi che portare l’investigatore dall’altra parte della barricata sia stato utile ad avvicinarlo emotivamente al lettore?

Me lo auguro, più che altro, dato che a me è successo. Anch’io, arrivata alla fine dell’indagine principale, sentivo che c’era dell’altro. Per questo dico che è stato Sorrentino a guidare me e non il contrario. La storia, insomma, la sua storia non era finita. La sofferenza che si portava dentro doveva avere una ragione, un qualcosa di tragico e di non espresso da far emergere e raccontare, qualcosa che mi ha molto coinvolta emotivamente. Così l’abbiamo compreso e svelato insieme, anche se mi viene il dubbio che ancora non sia stato detto tutto.

Evitando di spoilerare, ti dico che, secondo me, il lettore, come anche lo stesso Sorrentino, alla fine cerca di trovare delle giustificazioni alla follia omicida dell’assassino. Tu, nella vita come nella scrittura, sei più per il “grigio” che per la distinzione netta tra bianco e nero, mi sbaglio?

No, non sbagli affatto. Anch’io come Sorrentino non sono in grado di giudicare fino in fondo le azioni umane. Questo non vuol dire giustificare il male o certi crimini di fronte a cui restiamo sconvolti e basiti. Tuttavia mi rendo conto che il confine tra bene e male spesso è labile, muta addirittura per epoche, per popoli, per circostanze.  Dal punto di vista artistico in generale, poi, come da quello musicale e letterario, penso che anche in questo ambito non sia giusto operare una distinzione tra bianco e nero, o meglio, tra alto e basso. Spesso proprio ciò che è popolare col tempo è destinato a diventare massima espressione culturale di un’epoca.

Hai in mente una nuova avventura in cui il commissario Sorrentino possa dare dimostrazione della propria sagacia?

Sì, penso di poter anticipare che Sorrentino tornerà presto con una nuova indagine. Lo sto aspettando con ansia.

Ultima domanda. Che libro hai adesso sul comodino?

Dopo Il Valore affettivo di Nicoletta Verna sono passata a un romanzo storico ispirato alle vicende di una sposa bambina nella Napoli tra ‘500 e ‘600, accusata poi di stregoneria e uccisa: “La vera storia di Martia Basile” di Maurizio Ponticello, amico dell’Associazione Napolinoir di cui anch’io faccio parte. Dopodiché c’è già pronto un altro titolo che m’intriga molto: “A casa prima di sera” di Riley Sager.

Ti ringrazio per la tua disponibilità e ti lascio la parola per salutare i nostri lettori.

Grazie a te e a tutta la redazione, ma soprattutto grazie ai lettori senza i quali nessuna storia avrebbe possibilità di esistere.

Lidia Del Gaudio

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