A tu per tu con l’autore
Grazie a Luca Arnaù per aver accettato l’invito di TrhillerNord, benvenuto.
In “Le dieci chiavi di Leonardo” nella Firenze di Lorenzo de’ Medici fai agire un serial killer dedito al culto di Satana e che si fa ispirare dalle leggi del contrappasso dell’inferno dantesco. A dargli la caccia, in una spietata corsa contro il tempo, è niente di meno che Leonardo da Vinci. Puoi raccontarci della genesi del romanzo?
Una genesi è per sua definizione complessa. Non c’è un momento esatto in cui decidi di scrivere un libro. È un po’ come se ci fosse qualcosa che cresce dentro di te e che ti chiede di uscire. Come se una storia fosse già pronta a prendere vita. In realtà ho iniziato a scrivere questo libro anni e anni fa… Poi l’ho abbandonato perché facendo il giornalista professionista e il direttore di settimanali non riuscivo a dare un ritmo alla scrittura. Mentre per scrivere un libro è fondamentale darsi un metodo. Un giorno ho letto di un concorso letterario sul Fatto Quotidiano nel blog di Remo Bassini, che io considero un grande giallista: cercavano incipit inediti. Ho deciso di partecipare e ho riscritto di getto il prologo di Le dieci chiavi di Leonardo che all’epoca si chiamava ancora Malebolge. Due giorni dopo è stato scelto e pubblicato. Così mi sono detto che forse era il caso di finirlo. E l’ho scritto in pochi mesi, quasi senza rileggere le pagine. Poi è venuto il momento in cui il libro era pronto ma non sapevo che farne… Pensavo di pubblicarlo a puntate su uno dei settimanali che dirigevo. Ma un giorno un amico scrittore mi ha dato il contatto di uno degli autori di romanzi storici più venduti e di successo: “Qui c’è il numero, non dirgli chi te l’ha dato io…”. In realtà non lo conoscevo se non di nome e avevo letto un paio dei suoi libri. Per un po’ mi sono tenuto il numero pensando: “Se lo chiamo che gli dico? “Ciao, mi chiamo Luca, non mi conosci. Ho scritto un libro”. La risposta più probabile era: “Anche io ne ho scritti diversi e ho anche vinto il premio Bancarella. Auguri…”. Poi un giorno ho deciso e l’ho chiamato: lui è stati gentilissimo e mi ha detto: “Mandami il primo capitolo, se mi piace te ne chiedo un altro, se non ci sentiamo più, amici come prima…”. Per quattro mesi non l’ho più sentito. Quando ero ormai convinto che lo avesse bocciato, mi ha richiamato lui: “Mandami il resto del romanzo, voglio vedere come va a finire…”. Dopo un mese mi è arrivato il contratto da Newton Compton. Ed è nato Le dieci chiavi di Leonardo.
Come hai organizzato il lavoro di ricerca storica che sta dietro la sua stesura?
Diciamo che non è stato semplicissimo, né velocissimo. Ogni dubbio veniva verificato in diretta, come tutte le caratteristiche storiche, argomento per argomento, ho fatto ricerche infinite su libri e siti internet. Parto dalla mia base di amante della storia e della letteratura storica: adoro Jennings, il mio libro preferito è Nomadi che è un tomo di quasi mille pagine che ho riletto cinque o sei volte e che adoro proprio per la sua atmosfera piena di descrizioni. Quando ho un dubbio – o faccio un’affermazione – vado spesso a controllare se è veritiera. E un grande contributo nel mio cercare la precisione, è venuto da Alessandra Penna, la mia editor di Newton Compton che segue molti scrittori di romanzi storici come Matteo Strukul e Marcello Simoni. Lei è molto attenta e non si fa scappare niente: abbiamo discusso un pomeriggio sul fatto che nel 1481 si potesse usare il termine gelato e non sorbetto. E la nostra ricerca più grande è stata quella sui termini tipici del thriller da inserire o meno in un romanzo rinascimentale: poliziotto, serial killer, scena del crimine, profilo psicologico… Io sono soprattutto uno scrittore di noir prestato al romanzo storico. La difficoltà è stata proprio quella necessaria a tradurre il mio mondo nel XV secolo. Ma non dimentichiamoci, comunque, che la mia è fiction, non un trattato storico.
Immagino che la scelta del periodo storico sia legata alla volontà di fare indossare a Leonardo i panni dell’investigatore. Ma se il tuo assassino avesse agito in un’altra epoca, seguendo lo stesso modus operandi, in quale lo avresti collocato e chi gli avrebbe dato la caccia?
In realtà sono partito da Dante e dal suo Inferno che per un serial killer può essere assolutamente una fonte primaria d’ispirazione. La Divina commedia è estremamente horror. Poi è arrivato Leonardo, quasi per caso, quando ho scoperto che la prima edizione stampata del libro era del 1472: solo in quel preciso momento la Commedia smetteva di essere un libro per pochissimi, copiato a mano. E entrava nella disponibilità di chiunque avesse i soldi per comprarlo e avesse voglia di leggerlo. Un best seller, un po’ come uno Stephen King ante litteram. L’Inferno dantesco non era una cosa da studiare a scuola, ma un’intuizione letteraria viva, pulsante… In realtà Le dieci chiavi di Leonardo potrebbe funzionare anche nella Milano del 2000, a New York con Lincoln Rhyme, a Montreal con Temperance Brennan. Si svolge a Firenze nel 1481 quasi per caso. Lo Strappacuori è un serial killer potente: volevo crearne uno peggio di Hannibal Lecter! In realtà molto viene dalla mia esperienza di cronista di nera: per anni ho seguito i delitti veri, so come si vive la scena di un crimine. In carcere, quando ero al Secolo XIX, ho intervistato Maurizio Minghella che è il primo serial killer al mondo a essere stato condannato per quattro omicidi, aver scontato la pena e, dopo sedici anni, essere uscito in semilibertà per ricominciare subito a uccidere: attualmente è stato condannato per altri otto delitti ed è sospettato per almeno una decina. Ho intervistato anche Donato Bilancia, il killer dei treni, che ha ucciso diciotto persone. E la cosa che stupisce di più, quando li incontri, è la banalità del male: in apparenza sembrano delle persone normali, anzi… un po’ sotto la media. Ma sono predatori seriali. Bene, lo Strappacuori non è banale ed è il peggiore di tutti!
Da lettrice ed ex studentessa del liceo classico, mi è sembrato di riuscire a sentire quanto ti sia divertito nell’accostare, all’interno della stessa trama, due mostri sacri quali Leonardo da Vinci e Dante Alighieri. Hai già in mente altre storie in cui vedremo fianco a fianco altri grandi della nostra cultura?
Sono quasi a metà del nuovo romanzo, che è il seguito di Le dieci chiavi. Una nuova indagine di Leonardo che lo porterà a incontrare altri personaggi storici del tempo. D’altra parte quelli erano anni incredibili, e il serbatoio “storico” è assolutamente infinito. Mi piace pensare a questi incontri di vite e di menti. So che qualcuno storce il naso quando legge di un Leonardo investigatore, ma il 1481 è un anno particolare per la vita di da Vinci: tutti abbiamo in testa l’iconografia del Leonardo barbuto, un po’ gobbo, vecchio, genio e artista riconosciuto. Ma non è così: il futuro genio era un ragazzo di bottega pieno di talento, ma non ancora sbocciato. Nel 1476 finisce in guai grossi perché viene processato per sodomia, accusato di aver intrattenuto rapporti con un certo Jacopo Saltarelli che si vendeva per soldi. La pena è l’evirazione e il rogo: lui se la cava perché, tra coloro che vengono chiamati a processo, c’è anche il rampollo della famiglia Tornabuoni imparentata con Lorenzo de’ Medici. Salvo lui, salvi tutti. Ma la reputazione è rovinata, chiese e conventi non gli ordinano nulla. Passa un quadriennio in cui non esiste una sola opera degna di nota, accetta acconti e lavori che non finisce mai. Insomma, è tutt’altro che un uomo di successo. Il Magnifico non lo considera minimamente da quel punto di vista: il primo lavoro commissionato dalla Signoria, nel 1479, è quello di andare a ritrarre i cadaveri degli impiccati della congiura dei Pazzi. Questa è storia… La vita di Leonardo da Vinci si sblocca solo quando nel 1482 va via da Firenze e viene accolto a Milano alla corte degli Sforza dove diventa il personaggio immenso che noi conosciamo. La mia storia copre quel periodo di buco, si inserisce in quegli anni in cui lui è ancora una persona irrisolta, che non sa bene cosa fare della sua vita. E mette l’accento sulle sue capacità deduttive, sulla sua logica, sul suo metodo di lavoro scientifico. Questo è il mio Leonardo…
Tu sei un giornalista, hai diretto testate famosissime e hai già pubblicato sotto pseudonimo e come ghost writer. Con quali generi ti sei cimentato prima di “Le dieci chiavi di Leonardo”? Quale ti è più congeniale?
Diciamo che ho scritto di tutto. Molto si trova in rete… Ho iniziato come giornalista di spettacoli, ho proseguito con la cronaca, sono partito e ho scritto reportage dal mondo. Poi sono tornato a Milano e ho cominciato a dirigere agenzie fotografiche come Reportmedia, Masterphoto e Novamedia e poi riviste come Tutto, Nuova Epoca, In Famiglia, Bella e mille altre. Io vivo per scrivere – adoro farlo – ma scrivo per vivere, nel senso che è il mio lavoro da quando avevo diciotto anni. A diciotto anni ho iniziato a scrivere libri d’amore in stile Harmony per arrivare alla fine del mese, ma poi ho scritto di tutto, dalla guida agli orti botanici alle biografie non autorizzate di personaggi famosi, a libri come ghost writer: romanzi, biografie, gialli e persino un libro di cucina. Se vedete un personaggio famoso che di colpo scrive un romanzo… beh… di solito non l’ha scritto lui e c’è dietro il lavoro di qualcun altro. A parte Faletti con il bellissimo “Io Uccido” e Stefano d’Orazio dei Pooh con “Tsunami” ce ne sono veramente pochissimi capaci di dare alla luce qualcosa di buono. Io sono abituato a scrivere di tutto: una volta in un quotidiano, quando ero un giovane cronista, il direttore mi ha spedito dopo una lite a scrivere di economia. Materia che per me è pari al cinese antico… non ne capisco nulla! Eppure ho scritto anche di quello. Diciamo che amo i gialli, i romanzi storici e non disdegno, se devo, i romanzi d’amore… Ma per ora sono concentrato su Leonardo e sul suo mondo. Anche se proprio ieri ascoltando una canzone di De Andrè ho scoperto il personaggio che sarà protagonista di uno dei miei prossimi romanzi.
Questa è una mia curiosità e approfitto della tua esperienza. Cosa si prova a scrivere romanzi che nessuno saprà mai essere nati dalla tua penna?
È un lavoro. Ben retribuito. Serve ad arrivare alla fine del mese pagando l’affitto… per il resto è una sensazione pessima. Come se qualcuno ti rubasse qualcosa di tuo. La cosa peggiore è che a volte ti trovi ad avere a che fare con personaggi famosi che come persone non sono proprio all’altezza. Cafoni pieni di soldi che pensano che – perché hanno fatto un reality, comprato il tuo libro e lo firmano loro – possono far finta di essere grandi scrittori anche con te. E se la tirano come se fossero immortali… come Leonardo da Vinci. Sì, come no!
Ti ringrazio per la tua disponibilità e ti faccio un grosso in bocca al lupo a nome dei lettori di ThrillerNord.
A cura di Claudia Cocuzza
Acquista su Amazon.it: