Margherita Podestà Heir è una delle più importanti traduttrici italiane di autori scandinavi, soprattutto norvegesi. Vive stabilmente a Oslo dal 1994 e lavora per le più famose case editrici italiane (Feltrinelli, Einaudi, Bompiani, Longanesi, Marsilio, La Nave di Teseo, Sperling & Kupfer, Mondadori, Salani e Iperborea) sia come traduttore che come consulente letterario. Ha una scuola di italiano tutta sua, e tra le altre cose, insegna all’Accademia dell’Opera di Oslo ed è coach di cantanti lirici.
Una piccola premessa. Nel riportare questa intervista su carta, si sono persi la simpatia e l’entusiasmo di Margherita, che è veramente un vulcano di energia! Quindi, dovete tentare di immaginare queste righe con un contorno di risate, battutine, cani che si mettono di fronte alla webcam, la luce di Oslo che pian piano se ne va… e noi due lì, a migliaia di chilometri di distanza, a berci un bel cappuccino assieme… chiacchierando!
1) Margherita, come è nata la tua passione per le lingue scandinave?
Per caso! Ho preso un treno…uno dei tanti che passano e che uno prende se non sta con lo sguardo rivolto verso il basso! Vivo a Oslo dal 1994, ma la mia avventura norvegese è iniziata quando avevo 16 anni, con AFS – Intercultura (con cui poi ho anche collaborato). Questo programma di scambio culturale mi ha catapultato in un villaggio a nord della Norvegia, Lyngseidet: circa 600 abitanti, uno di quei paesini con il fiordo…in cui le comunicazioni avvenivano ancora attraverso le centraliniste (sai quelle con i fili…); ed è stata un’esperienza di crescita, sia personale che professionale. Dopo tutti questi anni la famiglia che allora mi aveva accolto a braccia aperte, è diventata la mia seconda famiglia e ci vediamo e sentiamo tuttora.
2) Come si diventa traduttore? O meglio, come lo sei diventata tu?
È stato per caso: mentre studiavo lingue scandinave alla Statale di Milano, Fulvio Ferrari, che io considero il guru della letteratura germanistica e scandinava in Italia, cercava un traduttore dal norvegese per un romanzo. Ha chiesto a noi studenti di sottoporgli la traduzione di qualche pagina e… ha scelto me. Da lì è iniziato tutto! Ho perfino scritto la mia tesi di laurea su quell’autore. Adesso, però, quando riprendo in mano quella traduzione, mi rendo conto di quanto fossi alle prime armi!
3) Vivendo lassù, ti sarà capitato di leggere un libro che poi ha avuto grande successo anche in Italia…
Parte del mio lavoro consiste nel valutare libri per le case editrici. Dopo avere letto Stieg Larsson, quando ancora non lo conosceva nessuno, lo segnalai a una casa editrice per cui all’epoca lavoravo molto. Mi ascoltarono, però era già troppo tardi, i diritti d’autore erano già stati venduti!
4) Ci sono autori più facili e più difficili da tradurre?
Secondo me, i grandi scrittori (che siano giallisti o meno) non scrivono e riscrivono sempre e comunque lo stesso libro. Hanno una propria impronta, non si svendono. Ho la fortuna di tradurre parecchi autori di questo calibro, come i norvegesi Erik Fosnes Hansen o Karl Ove Knausgård, e ultimamente, per citarne uno che scrive gialli, anche se solo per un libro, lo svedese Leif G. W. Persson (che tra l’altro è un criminologo, un opinionista molto importante in Svezia): scrive con un’ironia, con un’originalità che difficilmente si trova. Parlando ancora di stile: al contrario dell’italiano, le lingue scandinave hanno frasi molto laconiche, brevi: ci sono scrittori che forzano questa caratteristica e costruiscono periodi lunghi mezza pagina, pieni di subordinate; però, quando arrivi in fondo e ti rendi conto che sei riuscito a seguire il filo, allora capisci la loro abilità nello scrivere. In questo caso, la difficoltà è rendere questa eleganza in italiano, per dare merito alla bravura dello scrittore. Ti confesso, però, che non tutti gli scrittori scrivono benissimo… e allora lì, il lavoro diventa ancora più complesso…
5) Tra le tue molte attività c’è anche quella di insegnante. Che cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
Nel 1994 ho fondato una scuola qui a Oslo (la CiaO, Corsi di Italiano a Oslo, N.d.R.). Quando insegno, ricorro a tutte le mie esperienze umane e accademiche. Ricordo ancora quella bruciante da “studentessa universitaria” al primo anno: mi ero beccata un voto abbastanza pietoso a un esame scritto di norvegese quando invece pensavo di sapere “tutto” dopo un anno di full immersion e periodi più o meno lunghi in Norvegia. Dal momento che era già diventata la mia seconda casa, parlavo piuttosto bene (per quanto con un accento del nord molto marcato che faceva rabbrividire alcuni professori) ma, con una certa presunzione, non avevo mai sistematizzato le cose… e questo non mi permetteva di imparare veramente la lingua, di farla mia e di crescere nella sua conoscenza. E questo è anche quello che cerco di insegnare ai miei allievi. Io divido la mia vita in due grandi tronconi, dove uno integra l’altro: in Italia promuovo cultura e letteratura norvegesi, in Norvegia insegno e promuovo quelle italiane. Più fortunata di così si muore! (proprio per questo, nel 2006, Margherita è stata nominata Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia, onorificenza che viene attribuita a chi ha acquisito particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione tra l’Italia e gli altri Paesi e nella promozione dei legami con l’Italia, N. d. R.). Per me insegnare significa principalmente ragionare su una lingua e sul sostrato culturale ed emotivo che trasmette, confrontarsi. Quando lavoro con i cantanti lirici, mi occupo non solo della pronuncia, ma cerco di penetrare con loro il testo, coglierne l’intenzione, le scelte linguistiche e lessicali, così che il cantante riesca a trasmettere questa emozione al pubblico.
6) Di solito chiediamo agli autori se leggono libri di autori nordici…
Io leggo molto anche per le case editrici, dunque quando leggo autori scandinavi lo faccio sempre con l’occhio del traduttore… Se, invece, voglio rilassarmi davvero, leggere per puro piacere, devo buttarmi su qualcosa che con il mio lavoro non abbia niente a che fare; per esempio, giallisti inglesi o di altre lingue “neutre”, tradotti in norvegese. Una mia grande passione sono i gialli (almeno i primi) di Elizabeth George.
7) Quali sono le più grandi soddisfazioni del tuo lavoro?
Nel nostro ambiente sembra aleggiare sempre la frase “I soldi? Per carità!!! Stiamo parlando di letteratura!”… quindi, ecco, non posso dire che la più grande soddisfazione sia quella economica. Però, vuoi mettere la bellezza di riuscire a giocare con le parole, con la lingua… di riuscire a rendere chiaro a un lettore italiano lo spirito, tutto il sottotesto che c’è in un autore così lontano dalla cultura mediterranea? È davvero un grandissimo piacere quando chi ti legge, ti dice e ti scrive che è entusiasta perché capisce il lavoro che c’è dietro. Ultimamente, poi, per la prima volta sento di avere un reale riconoscimento come traduttrice e questo riconoscimento è rappresentato dalla fiducia incondizionata da parte di una casa editrice. Mi riferisco, in particolare, alla traduzione dei sei volumi che compongono “Min kamp” di Karl Ove Knausgård, considerato uno dei più importanti autori a livello mondiale e pubblicati da Feltrinelli (con titoli diversi da quello originale). Per me scrive in maniera fantastica, ricca e coinvolgente e ve lo consiglio fortemente. Non si tratta di gialli, ma a mio avviso vale la pena di leggerli e… tradurli.
8) Quali sono gli aspetti da tenere in maggiore considerazione quando si sceglie di portare in Italia un romanzo scandinavo?
Ormai ho tradotto una quarantina di libri da norvegese, svedese e qualcosa anche dal danese e, secondo la mia esperienza, la cosa più importante è non snaturare il libro per mercificarlo. O almeno non esagerare in queste operazioni di “make up”. Sempre più spesso, ahimè, molte case editrici intervengono sul testo in modo a mio avviso eccessivo tagliando o semplificando. In questo modo si rischia di perdere la vera natura della lingua. Io, invece, sono una folle sostenitrice del fatto che ogni lingua ha una sua connotazione, un suo ritmo e una sua costruzione che vanno rispettati il più possibile. Fa parte del loro esotismo, della loro diversità.
9) Ci sono aspetti delle lingue scandinave più difficili di altri da tradurre in italiano?
Sarò forse drastica e impopolare, ma a mio avviso un traduttore che non ha vissuto una buona parte della sua vita nel paese di cui traduce i libri, non potrà mai rendere pienamente il testo. Perché il problema non è la parola in sé, ma ciò che nasconde e rappresenta nella lingua e nella cultura di partenza. Esempio: se tu, traduttore italiano, in un libro norvegese trovi scritto “Domani è il 17 maggio” tu dici… ok… bene, quindi? Perché non è detto che tu sappia tutto ciò che comporta la festa nazionale norvegese, tutta la tradizione dei costumi, del coinvolgimento delle scuole, dei bambini… quindi se non vivi davvero il paese di cui traduci, non sei in grado di rendere al meglio. Altro esempio: il pasto che come composizione si avvicina di più alla nostra ‘cena’, qui si fa tra le 4 e le 6… e io non lo posso tradurre come ‘merenda’, perché quella è proprio una cena… Quindi, le sfide possono essere molte e le strategie devono essere diverse a seconda del tipo di pubblico. Io cerco di cambiare il meno possibile. Certo, a livello di lingue scandinave hai una maggiore flessibilità nell’uso dei tempi mentre l’italiano in questo senso è più rigido; quindi, traducendo, devo fare un adattamento alla consecutio temporum italiana, altrimenti la frase risulterebbe illeggibile. Una grande e divertentissima sfida per il traduttore è ‘il ritocco di cui non ti accorgi’: per esempio, se ti dico ‘a cena hanno mangiato una mousse di camemoro’, tu non capisci; se invece ti dico ‘hanno mangiato una mousse di lampone artico, il camemoro, dal colore vagamente arancione’, ho tenuto fede al testo e ti ho dato un arricchimento culturale. Dove, invece, non intervengo è nei nomi di vie o luoghi: ‘Radarveien’ per me rimane tale e quale, non diventa certo ‘Via Radar’! Un’altra cosa molto importante è conoscere i vari livelli di una lingua: i medici qui hanno un forte potere su un paziente: quando usano il termine medico in latino, ad esempio “Sinusitis” il paziente norvegese non lo capisce, mentre il lettore italiano sì; quindi, per rendere questa difficoltà del paziente, io devo trovare una parola italiana molto più aulica. Per concludere: una grande sfida rimangono sempre i modi di dire “locali”: prova tu a tradurre in norvegese “Piove, Governo ladro”……
Margherita Podestà Heir
Una curiosità:
Ho trovato in una libreria di Napoli, due libri, uno vicino all’altro, di Knausgård e Nesbø, tradotti entrambi da me!
Intervista a cura di Maria Sole Bramanti
Di Karin Fossum: Il bambino nel bosco
Di Geir Tangen: Requiem