A tu per tu con l’autore
Ciao Matteo, la prima domanda che vorrei farti è sui tuoi “maggiori”. Ho letto che viene citato Hemingway fra questi, vorresti dirci qual è il romanzo che ami di più di questo grandissimo autore? E poi, hai anche un autore particolarmente preferito nel genere giallo/thriller oltre a Jo Nesbø?
Ciao Edoardo, buongiorno a tutti. Di Hemingway mi piacciono lo stile asciutto e la grammatica essenziale, che sento molto vicini alla mia sensibilità. Il romanzo che amo di più è “ Per chi suona la campana”. Però il suo scritto che preferisco non è un romanzo, bensì un racconto: “La breve vita di Francis Macomber”. Mi piace la capacità di raccontare i fatti in modo molto essenziale -e con una grammatica scheletrica- senza sacrificare un piano di lettura ulteriore, non detto. La presenza di un livello ulteriore rafforza la connessione tra scrittore e lettore: una buona parte della potenza della scrittura sta tra le parole, non nelle parole.
Sarei curioso di sapere quanto tempo ti ha richiesto l’elaborazione di questa storia complicata e ricca di temi importanti: è nata prima o dopo il 2020?
Di Jo Nesbo mi piace la gestione della trama, sempre funzionale a prescindere dalla complessità. Non è l’unico autore di gialli che apprezzo. Mi piacciono molti autori, per diversi motivi. I thriller di Umberto Eco sono soltanto due, ma sono stupendi. I gialli di Simenon sono agli antipodi per caratteristiche tecniche, ma ugualmente piacevoli. Mi piacciono molto anche generi di thriller diversi, ad esempio la non-fictional narrative di James Ellroy. In generale mi piacciono i buoni libri, e fra questi, i buoni thriller.
L’idea rimbalzava nel mio cervello dal 2018. L’ho rimuginata a lungo, immaginando come potessero essere i protagonisti. Ho scritto il libro ad inizio 2020, in tre settimane. Avevo buttato giù una serie di immagini, una riga per ogni capitolo del libro, quindi avevo già definito la trama, anche se non nei dettagli. Dopo avere scritto il libro, l’ho riletto moltissime volte per amalgamare la storia il più possibile e rendere coerenti tutti i particolari. Ancora adesso ogni volta che leggo il libro trovo qualcosa che vorrei modificare. Per fortuna Franco Forte ha posto un termine al mio lavorio, altrimenti sarebbe ancora in corso. In definitiva, non saprei dire quanto tempo ci sia voluto di preciso, ma sicuramente è stato divertente.
Da italiano trapiantato in Giappone, hai ambientato gran parte della storia nel tuo Paese di adozione: anche in futuro preferirai questa location? C’è possibilità di rivedere al lavoro il commissario Jo Hara?
Penso di ambientare anche i miei prossimi romanzi in Giappone. Scrivere del Giappone è un modo di raccontare la mia esperienza. La narrazione standard del Giappone moderno si basa per lo più sull’archetipo della coesistenza di elementi temporali contrastanti, tipici di un paese tecnologicamente molto evoluto, pur essendo uscito dal medioevo in un passato abbastanza recente. Anche se è un aspetto affascinante, questo contrasto descrive in fondo poco della quotidianità giapponese. Per raccontare il Giappone quotidiano è necessario parlare delle persone, del modo in cui si dipana la normalità, raccontare i dettagli: è una descrizione intimista, che costituisce lo sfondo perfetto per un romanzo d’azione. Penso di avere ancora molto da raccontare, perciò continuerò ad ambientare i miei romanzi in Giappone. La prossima indagine del commissario Hara sta già prendendo forma.
Quanto c’è di ricerca storica alla base della trama del romanzo? Sono casuali alcune location che si ritrovano anche nella storia, su elementi che fanno parte della tua trama, come ad esempio il ritrovare la Prefettura di Kanagawa e un certo centro di Shinjuku nelle storie che coinvolgono la famigerata “Unità 731”?
Le location che compaiono nel libro sono inventate, il romanzo non ha ambizioni di veridicità storica. La documentazione relativa ai tristi eventi che citi è frammentaria e la validità dei documenti stessi è oggetto di aspre polemiche che riemergono periodicamente: una ricostruzione affidabile dal punto di vista storico va al di là delle mie possibilità. Diciamo che, senza fare polemiche, il libro, nel suo piccolo, vuole ricordare che l’uso distorto della conoscenza ha mietuto vittime innocenti in ogni angolo del mondo, e auspicare che in futuro gli uomini ne sappiano fare un uso migliore.
Edoardo Gerrini
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