Intervista a Nuela Celli




A tu per tu con l’autore


Hai costruito un personaggio decisamente interessante. Elga è un’affermata professionista, anche se adesso caduta un po’ in disgrazia a seguito della crisi e del suo stile di vita molto sopra le righe, ma pur facendo di tutto per non esserlo, risulta immediatamente simpatica. Puoi raccontarci del vostro primo incontro e in cosa vi assomigliate?

Il personaggio, come spesso accade, prende sempre spunto da persone che ho conosciuto, in questo caso, anche se vagamente, c’è una musa ispiratrice. Prima ho elaborato la trama e l’appartamento dal quale la protagonista avrebbe spiato il condominio dirimpetto, poi mi è apparsa lei. Elga si è imposta alla mia fantasia in modo completo, sin da subito, dall’aspetto fisico, al carattere e a tutto il vissuto. Appena l’ho conosciuta, se così posso dire, me ne sono invaghita. È spigolosa, ironica, determinata, ma anche fragile e cosciente di esserlo. Una bella combinazione di opposti che la rendono interessante e a volte imprevedibile.

Gli uomini di Elga sono sicuramente singolari. Una vecchia fiamma di cui ormai rimane solo l’ombra fumosa ma che l’ha segnata profondamente, un manager fin troppo sicuro di sé e un barman. Ce li vuoi raccontare, spiegandoci come mai hai deciso di mettere figure così diverse sulla strada della tua protagonista?

Nella prima parte della sua vita Elga si è follemente innamorata di una figura molto simile a quella paterna. Un professore ieratico, coltissimo, che le voleva bene ma non è si è mai veramente innamorato, proprio come suo padre, per il quale il legame coniugale ha sempre avuto il sopravvento su quello filiale. Adesso, che ha rinunciato all’amore per essere del tutto padrona delle sue emozioni, è tormentata da due corteggiatori che non demordono. Proprio ora che ha deciso di pensare soltanto alla sua ‘missione’ e che non ha nessuna voglia di mettersi in gioco. Purtroppo, nella vita, accade spesso che le occasioni facciano capolino quando ci siamo decisi a non rincorrerle più, anzi, ad evitarle proprio. Lei deve mantenere un basso profilo per portare a termine il suo intento e le attenzioni dei due uomini possono risultare pericolose. Il manager, cinquant’anni, è un uomo che non sa ascoltare, ricco e sicuro di sé, il barman ha la leggerezza di chi, a trentacinque anni, ha ancora la vita davanti…

La “missione” di Elga, la metterà di fronte a profondi dilemmi morali, perché è facile dire che bisogna fingere di non aver visto tutto ciò che sta misteriosamente accadendo fra quelle persone per bene, tutt’altra cosa sarà riuscire a chiudere gli occhi e riposare serenamente. Tornabuoni si chiederà: “Ma è mai possibile che sia così difficile scivolare anonima tra le persone?”. Insomma, da un lato la ricerca della solitudine totale e dall’altra il desiderio di fare la cosa giusta, pur senza rinunciare ai suoi obiettivi. Se fossi Elga cosa faresti?

Non credo avrei la sua determinazione, mi manca quell’essere fragile ma anche spaventosamente sicura di meritare ciò che ci si deve conquistare con un crimine. Lei pretende che la sua vita non si avvii su una china discendente ed è disposta a cambiare le regole del gioco. Forse ho sempre desiderato essere così, più spregiudicata, ma non è facile.

Ad un certo punto Elga pensa: “… la scrittura lascia delle tracce, e lasciare delle tracce nel mio caso è davvero pericoloso…”. Nel tuo caso, invece, da autrice e da Nuela, cosa significa lasciare una traccia? Che valore gli dai?

Un valore immenso. La nascita della scrittura divide la Preistoria dalla Storia. Tutto ciò che sappiamo dei nostri avi e che ci rende evoluti è legato proprio alle tracce scritte. Il tramandare la cultura, su grande scala, e la memoria dei nostri cari, su piccola scala, dona profondità e saggezza al nostro bagaglio. Ritrovare vecchie lettere o diari, per esempio, nella propria famiglia, è sempre un momento topico, di scoperta e conoscenza anche di sé stessi. Senza la scrittura non so quale deriva avrebbe preso la mia vita. Sono una persona molto emotiva e soltanto la penna riesce a domare il mare di pulsioni cui sono spesso soggetta. Elga Tornabuoni è stata una psicoterapeuta e lo sa bene. Nel suo caso, però, la scrittura non può aiutarla. Ha troppa paura di lasciare tracce e di essere scoperta.

Nel tuo romanzo i momenti dei pasti di Elga Tornabuoni, diventano ogni volta un momento godurioso in cui lei, riesce a farti venire l’acquolina in bocca descrivendo il boccone con minuzia e rendendo ogni attimo irrinunciabile. Credimi, io ingrassavo a ogni suo banchetto. Per Nuela Celli, cosa rappresenta il cibo e che rapporto, di conseguenza ha nei confronti di questo elemento al quale hai deciso di lasciare tutto questo spazio nella storia?

Mangiare bene e bere altrettanto sono i piaceri più importanti della vita, insieme alla cultura e all’amore. Lei di cultura ne ha da vendere, all’amore ha rinunciato, ed ecco la sua spiccata predisposizione a premiarsi con la buona tavola e i vini pregiati. In questo la protagonista mi rispecchia molto. Anche perché premiando il palato ci si coccola e si può essere soddisfatti anche senza esagerare. Mi chiedo come si possa sopravvivere al cibo spazzatura, per me è inconcepibile cibarsene.

Marilù Oliva scrive nella sua prefazione: “Bologna quando piove e scende la notte sa brillare in modo particolare, sembra un gioiello tirato a lucido, scrigno di mille storie, vite e secoli di storia ammassati come oggetti buttati alla rinfusa in cassetti strabordanti.”. Poiché per la casa editrice Frilli, ormai è notoria l’associazione storia e ambientazione, come mai hai scelto di ambientare il tuo romanzo a Bologna? Cos’è che vi lega? E perché in un condominio?

Amo Bologna e la conosco bene. Ha i pregi delle piccole città, senza mostrarne i difetti però, e un’atmosfera metropolitana, nel suo essere libera, non giudicante, fluida. E poi si mangia benissimo, la tradizione culinaria è notevole. Una città, tra le altre cose, molto letteraria, madre e culla di grandi scrittori. Ogni volta che vado mi sento a casa. Perché la scelta di un condominio? Be’, in una società sovrappopolata, individualista e sempre più ossessionata dall’egoismo, credo che i condomini siano i nuovi luoghi dell’incubo, simboli metafisici di identità che non combaciano ma collidono pericolosamente, come pianeti le cui orbite vanno in scontro senza più girare intorno a un astro guida. I miei nonni convivevano con figli, nuore e cognati, e una pletora di nipoti, in case coloniche e palazzi famigliari. Vi erano tensioni, certo, ma anche un senso del rispetto e della comunità che oggi sono sconosciuti. Non dico si vivesse meglio, ma l’eccesso di individualismo ha le sue controindicazioni.

Ad un certo punto Elga Tornabuoni si mette a riflettere e onestamente, il modo in cui lo ha fatto mi ha messo molta tristezza: “… c’è in gioco così tanto e tutto dipende dal caso e dalla mia abilità. Ma io sono una donna abile? Lo sono mai stata?”. Molto spesso si sente dire così riferito anche ad altre figure femminili, anche importanti, che vengono in qualche modo sottovalutate. Il problema è che molto spesso, anche a noi gente comune capita di esprimere o subire pensieri simili, frutto, spesso, dei retaggi del passato, magari con una battuta ironica, ma alla lunga assume le forme di una convinzione. Secondo te, a che punto siamo, per quanto riguarda il tema del rispetto e della valorizzazione del ruolo soprattutto femminile nella nostra società?

Molto meglio di quando avevo vent’anni, ma ancora indietro. E tengo a precisare che le prime a preservare un sistema maschio-centrico, sono proprio le donne. Le vere rivoluzioni devono sempre partire dal profondo di noi stessi. Da mamme dovremmo crescere uomini più consapevoli, da figlie lottare per avere pari diritti, da mogli non sopportare per il quieto vivere e da lavoratrici pretendere il giusto. La strada è ancora lunga…

“È incredibile la facilità con la quale le persone incasellano gli altri…”. Nel tuo romanzo, ad un certo punto si legge questa riflessione, con la quale non posso fare altro che concordare. Tu che ne pensi?

Credo sia l’attività umana più praticata e meno obiettiva che esista. Non si deve mai avere paura di cambiare opinione su chi si è giudicato, fino a quel momento, in modo diverso. Incaselliamo le persone seguendo tanti condizionamenti: culturali, inconsci, famigliari, ambientali… Bisogna sempre essere onesti e avere il coraggio di ribaltare le convinzioni maturate se qualcosa le smentisce. Ma non è facile.

Per una serie di rocamboleschi avvenimenti, partiti tutti dalla sua iniziale missione, si può dire che Elga si riscopre e forse, riesce ad identificarsi con un nuovo ruolo e un nuovo lavoro. Ne risentiremo parlare ancora? Hai comunque altri manoscritti in fase di sviluppo per noi lettori curiosi?

Ho appena terminato un romanzo noir cui lavoro da un anno. Prossimo progetto, già abbozzato, la seconda avventura di Elga. È un personaggio cui tengo molto. Decisa, determinata e autoironica. La adoro. Ho già tutto in testa.

Da lettrice, quali sono i tuoi autori di riferimento? Annoveri anche qualche scrittore nordico fra le tue preferenze?

Dopo Louis Ferdinand Céline e George Simenon, il compianto Henrik Mankell è il mio preferito. Adoro i gialli svedesi e, in generale, ambientati in paesi spazzati dal gelo e dai venti, come Finlandia, Islanda o Norvegia.  Quindi sì, sono diversi gli scrittori nordici di cui amo divorare i libri.

A nome mio e di tutta la redazione Thrillernord ti ringrazio per la tua disponibilità.

Grazie infinte a voi, siete una realtà bellissima. È stato davvero un piacere.

Loredana Cescutti

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