A tu per tu con l’autore
Le prime cose che saltano agli occhi nel tuo romanzo, sono il periodo storico e l’ambientazione: un momento sanguinario e un luogo che si è reso testimone involontario del peggior atto ai danni dell’umanità. Per altro, tu con la tua scrittura, sei riuscita a riportare veramente, secondo me, le lancette all’indietro e con le tue parole e le tue descrizioni, ci fai percepire ogni cosa a livello sensoriale ed emozionale. Perché questa scelta così “forte”?
La Shoah, e in generale gli orrori commessi dalla Germania nazista ai danni di diverse categorie di persone, è sempre stata un mio oggetto di studio. Tutto è cominciato con la testimonianza di mio zio Angelo, un sopravvissuto al lager, che mi ha introdotto al tema mettendomi a conoscenza di cose che io, allora appena diciottenne, non potevo nemmeno immaginare. All’università ho avuto modo di approfondire questi temi e, vivendo a Berlino, sono andata a fondo su molti aspetti più o meno sconosciuti. Ma l’impatto emotivo più grande è stato andare ad Auschwitz con i miei figli. È lì che ho capito che volevo raccontare questa pagina terribile della Storia.
Il personaggio a cui ha dato vita, rappresenta l’esatto opposto di ciò che il periodo storico e il contesto in cui vive e lavora Hugo Fischer possano concepire. Un opposto talmente grande, che se dovesse essere “smascherato”, potrebbe costargli la vita stessa. Com’è nato Hugo?
Hugo è nato per rispondere a una domanda: cosa spingeva i tedeschi che non condividevano gli ideali nazisti a iscriversi comunque al partito nazionalsocialista? Hitler ha avuto un larghissimo consenso e buona parte dell’appoggio l’ha avuto non solo da persone che condividevano ferventemente i principi del nazismo ma anche da gente comune che, per quieto vivere, si è ritrovata bloccata in un meccanismo da cui, a un certo punto, era impossibile uscire. Hugo, inoltre, è affetto da una malattia neurodegenerativa, la sclerosi multipla, che era una di quelle malattie che il regime nazista riteneva pericolose per la razza ariana. Venne girato anche un film, all’epoca, su questo tema. Si intitola “Ich klage an”. La protagonista, affetta appunto da sclerosi multipla, si immola all’eutanasia per preservare la razza ariana. In Hugo c’è tutta questa contraddizione: è il criminologo più apprezzato di Berlino, ma a livello fisico rappresenterebbe per la società tedesca solo uno scarto, e perciò deve muoversi tra i compromessi come un funambolo.
Non si può, però, nemmeno scordare il piccolo Gioele, l’angelo di questa storia, che seppur nella sofferenza inconsapevole data dalla sua età, riesce a risollevare, in più occasioni, il morale di Fischer, cercando di aiutarlo e vivendo questo momento come uno stimolo a guardare avanti sognando un dopo per lui e la sua famiglia. A chi ti sei ispirata nel dargli vita? In che modo è avvenuto l’incontro fra di voi?
Gioele è in parte ispirato ai miei figli. Uno di loro ha proprio la sua età. In generale, ho imparato che i bambini hanno una capacità di adattamento enorme e un’ingenuità e una fiducia cieca nel futuro, unita all’incapacità di concepire perversioni e cattiverie adulte, che crea un filtro tra loro e la realtà, edulcorandola. Così Gioele sa di trovarsi in un luogo terribile, ma non può immaginare cosa stia davvero succedendo, ed è questo che lo salva. Per Hugo vedere Auschwitz attraverso gli occhi puri di Gioele è doppiamente devastante, perché lo mette di fronte alla propria purezza perduta e al suo essere diventato un vigliacco.
Il tuo libro non racconta solo la storia da te creata, bensì si attornia di uno sfondo nemmeno tanto soffuso di sofferenza e malvagità senza eguali. Durante la stesura, come ha fatto la scrittrice Ramunno a distaccarsi dalla persona Oriana o, meglio, che filtro si è rivelato necessario per poter raccontare con minuziosa precisione i brani più duri e cruenti del libro, senza rischiare di rimanerne a tua volta schiacciata?
Non è stato facile. Molte scene sono crude, eppure non ho mai pensato di toglierle dal libro, anche a costo di soffrire durante la stesura. Molti episodi narrati sono realmente accaduti, sono stralci ritrovati in testimonianze che ho reperito tra Auschwitz e Berlino, e mi sembrava giusto riportare la realtà per quello che è stata: una delle pagine più brutte della Storia.
In questo romanzo si affronta a più riprese e si ripete di conseguenza molte volte, il tema del compromesso. Un concetto difficile, con il quale Hugo Fischer imparerà a dover convivere, perché non c’è altra possibilità. Una parola che racchiude al suo interno tante sfaccettature e, che fa rabbrividire in taluni casi, mentre in altri può trasformarsi in risicati momenti di gioia. Come si pone Oriana Ramunno di fronte al compromesso?
Il compromesso a volte era, nella Germania nazista, l’unico modo di sopravvivere, ma anche l’unico modo di resistere. Non erano concepibili atti di resistenza estrema e plateale, ma bisognava stare attenti, agire sottovoce. Uno dei personaggi più belli che ho conosciuto vivendo a Berlino è Otto Weidt, lo Schindler berlinese. Weidt salvò la vita di centinaia di ebrei sordomuti che lavoravano nella sua fabbrica e lo fece col compromesso, come pure fece Schindler, inventando scuse e corrompendo la Gestapo. Fu un uomo coraggioso che dovette muoversi in un equilibrio precario, senza mai prendere una posizione troppo netta. Hugo, nel romanzo, viene in contatto con molte persone simili a Weidt, eroi silenziosi che devono muoversi con cautela. Io non amo scendere a compromessi, ma se il compromesso fosse quello di Weidt non esiterei.
Nonostante il gelo di quel triste dicembre in Polonia, il finale lascia un piccolo bagliore di speranza, un messaggio indirizzato all’umanità intera di non mollare e di non arrendersi mai, perché c’è sempre qualcosa per cui lottare. Hugo Fischer tornerà? Più in generale, hai già qualche nuova idea che ti perseguita?
Io mi auguro un ritorno di Fischer. Il secondo libro è già nella mia testa, insieme a molte altre storie.
Ad un certo punto del libro, Hugo Fischer ci mette a parte di una sua riflessione: “Ogni volta che arrivava alla fine di un caso, era come una valanga che lo travolgeva. Una strana malinconia lo afferrava e lo buttava a terra. Era come la fine di una storia d’amore.” Anche per Oriana, autrice, al termine della stesura di un libro, si manifestano sentimenti simili, o la testa, archiviato un romanzo, corre da subito alla ricerca e all’inseguimento di nuove storie?
È proprio così: finire un libro lascia addosso una grande malinconia. È come dire addio a dei cari amici, personaggi che hai imparato a conoscere, amare, che hai visto muoversi, soffrire e gioire. Ci metto un po’ prima di iniziare un’altra storia, proprio perché ho bisogno di allontanarmi del tutto.
Purtroppo, nell’ultimo anno c’è un tema comune a tutto il mondo che non si può dimenticare, anche perché è lui stesso che continua a tormentarci e a farci paura. Dato che vivi a Berlino, posso chiederti com’è cambiato il modo di vivere dalle vostre parti con l’avvento del Covid? Tu e la tua famiglia, continuate la vostra vita indipendentemente dalla situazione, o come è stato per noi, avete dovuto modificare completamente ogni cosa? Quando questo virus sarà superato, cos’è la prima cosa che vorresti fare senza rimuginarci più di tanto?
Purtroppo, la vita berlinese è cambiata totalmente. Berlino era una città viva, piena di musei e attività culturali, che viveva di notte. La faccia della città è totalmente mutata. A livello pratico, chi ne ha risentito di più sono i miei figli con la lingua tedesca, tra scuole chiuse, sport impraticabili e vita sociale ridotta. La prima cosa che farò? Visitare i musei di Berlino che ancora non ho visto. Con i miei bimbi ci andavamo una volta a settimana, col proposito di vederli tutti, ma poi con la pandemia hanno chiuso…
Di norma gli scrittori sono anche grandi lettori e quindi ti chiedo quali siano i tuoi generi e i tuoi scrittori di riferimento e, poiché siamo in Thrillernord, hai anche qualche autore nordico fra i tuoi preferiti?
Io sono una lettrice onnivora, spazio in ogni genere e in ogni periodo storico senza limitazioni. Amo particolarmente la Fallaci, Umberto Eco, Calvino, Buzzati, Primo Levi e tra i contemporanei ho una grande passione per Ammaniti e Lucarelli. In generale, leggo tantissimi autori italiani. Tra gli autori nordici cito John Ajvide Lindqvist con Lasciami entrare, una storia di una delicatezza spiazzante nonostante il tema.
Oriana Ramunno
Grazie per il tempo che ci ha i dedicato. A nome mio e di Thrillernord ti faccio un enorme in bocca al lupo affinché il tuo libro continui a volare, sempre più lontano.
Loredana Cescutti
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