Intervista a Paola Alberti




A tu per tu con l’autore


Ringrazio Paola Alberti, anche a nome di ThrillerNord, per aver accettato di rispondere a qualche domanda sul suo saggio “A colazione con Sherlock Holmes”.

Partiamo dalla fine, dall’ultimo capitolo di “A colazione con Sherlock Holmes” dove si parla di Lucertolo, un investigatore, il primo seriale della storia del giallo italiano, nato alcuni anni prima del detective di Baker Street. Come mai si parla pochissimo di questo personaggio creato da Giulio Piccini alias Jarro, che invece è di estremo interesse?

Per la prima volta ho sentito parlare di Lucertolo, il commissario creato dalla penna di Giulio Piuccini, nel 2004 da Luca Crovi, che scrisse una introduzione alla riedizione del romanzo I ladri di cadaveri (Jarro, 1884) curata dal professor Claudio Gallo. Mi aveva colpito già allora il fatto che Lucertolo viene creato nel 1883, ben quattro anni prima che Arthur Conan Doyle scrivesse di Sherlock Holmes.

Damiano Arganti detto Lucertolo e Pinocchio arrivano in libreria nello stesso anno, il 1883 anche se la prima avventura del commissario è ambientata nel 1831. Dal punto di vista culinario è possibile che abbiano mangiato le stesse pietanze, visto che nel saggio sono elencate ricette dagli ingredienti molto poveri come bucce di patate e foglie di ravanelli?

E’ possibile, anzi direi che è molto probabile.

Lo sformato di pane, le bucce di patate fritte in pastella e la torta rustica di pane e frutta secca sono alcuni dei piatti tipici della tradizione contadina toscana, ricordo, per esempio, che mia nonna materna qualche volta li cucinava insieme all’Acqua cotta e alla Panzanella, il “pan lavato” che cita anche Boccaccio in una novella del Decameron.

Sherlock Holmes descrive l’invito ad un banchetto come un atto sociale che costringe un uomo ad annoiarsi o a mentire” ma nel tempo la narrativa gialla ha avuto sempre più investigatori gourmet. Come mai secondo lei? Il cibo è diventato un tentativo di edulcorare la dura realtà in cui vivono i detective?

Secondo me l’unione tra giallo e cibo deriva anche dal rapporto ancestrale che esiste tra l’uomo e l’alimentazione, che rappresenta anche una forma di piacere che può sostituire perfino l’atto sessuale, in alcuni casi, richiamando alla sopravvivenza animale. Il cibo non è un’alternativa alla dura realtà vissuta dal detective cercando di edulcorarla, ma un elemento che fa parte del romanzo e che può caratterizzare anche molto un investigatore, come nel caso di Nero Wolfe, creato dalla penna di Rex Stout.

Tra i tanti investigatori buongustai che popolano i gialli quale le è sembrato il più convincente e qual è la ricetta letta nei romanzi di genere che le pare più succulenta?

Per me l’investigatore-gourmet più convincente è sicuramente Nero Wolfe. Uno dei suoi piatti preferiti sono le uova al beurre noir che vengono servite in molti romanzi. Una volta le cucina Nero in persona, sostituendo allo cherry l’aceto aromatizzato al dragoncello. In “Nero Wolfe la paga cara” si legge: Fritz (il cuoco personale Fritz Brenner, ndr) ci annunciò che il pranzo era pronto e io non avevo di certo il tempo di fare commenti o domande, con delle uova di alosa sautée e una salsa di cerfoglio, scalogno ed erba cipollina pronte per essere servite.

D’altra parte anche Agatha Christie, l’indiscussa regina del giallo della golden age scrive nel suo romanzo “Il terrore viene per posta”: Al vostro posto io farei colazione, disse sollecito il sovrintendente Nash. Non si può affrontare un delitto a stomaco vuoto…

Non bisogna dimenticare che la stessa Christie scrive nella sua autobiografia “La mia vita”: «Da incorreggibile golosa fui molto affascinata dalla stele che descriveva il banchetto in onore del Re, con l’elenco di tutto ciò che era stato servito ai convitati. Era molto strano che dopo cento montoni e seicento vacche fosse stata messa in tavola solo una ventina di pagnotte. Perché così poche? 

Tanto valeva non servirle neppure!»

Il cibo è comunque, uno strumento per uccidere dal momento che ci può essere nascosto del veleno. Da “Un delitto avrà luogo”:

«Ha fatto tutto il possibile per rendere meraviglioso l’ultimo giorno di vita della povera Bunny: una splendida festa di compleanno e un dolce squisito… Phillipa rabbrividì: delizia mortale! Proprio così, era veramente degno di lei. Dal momento che era costretta a ucciderla, ha voluto dare alla sua migliore amica, alla sua cara Bunny, una morte deliziosa. Una piccola festa con tutti i suoi piatti preferiti… e poi, il veleno!»

Sherlock Holmes è un personaggio che ha continuato a vivere dopo la morte del suo creatore e ogni anno vengono pubblicati numerosissimi apocrifi ma in Italia stenta ad essere considerato come un oggetto di studio della logica definita da Peirce, abduttiva. Come mai secondo lei?

In Italia, dopo una prima fase, negli anni Trenta del Novecento, in cui si tendeva a imitare il giallo di origine anglosassone si è affermato, a partire dagli anni Sessanta con Scerbanenco, il “noir” mediterraneo con un background sociale, che non si basa sulle deduzioni logiche di un investigatore più o meno geniale, ma sulle indagini sul campo di poliziotti che hanno la caratteristica di porsi umanamente come l’uomo della porta accanto.  

Lai ha scritto anche “Uno studio in giallo. Indagine sul poliziesco italiano” che riprende il titolo del primo romanzo di Conan Doyle con Holmes, un saggio sull’evoluzione del genere con un occhio di riguardo per la realtà italiana. Qual è, secondo lei, il motivo del grande successo della narrativa “gialla”?

La narrativa gialla rappresenta da sempre una sorta di maieutica del reale, che può anche essere vista come strumento per esorcizzare il male quotidiano. Come ho scritto nel mio saggio “Uno studio in giallo” per anni il genere poliziesco è stato considerato paraletteratura ovvero come scriveva George Orwell nei suoi articoli il genere dei cosiddetti “libri buoni-brutti”. Buoni perché di larga diffusione e quindi letti da un gran numero di persone ma brutti perché spesso non molto attenti alla forma letteraria e di basso spessore intellettuale.

Qual è il suo investigatore preferito e cosa lo rende favorito rispetto agli altri?

La mia investigatrice preferita è Miss Jane Marple, perché riunisce in sé le caratteristiche di un grande acume declinato al femminile e quelle di una donna perfettamente integrata in un piccolo villaggio, dove tra torte alle mele, composta di arance amare e muffins ai mirtilli, il tutto accompagnato da un ottimo tè Darjeeling, risolve casi di omicidi che danno del filo da torcere perfino a Scotland Yard.

A cura di Salvatore Argiolas

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