Intervista a Pierpaolo Brunoldi




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Pierpaolo, grazie per la tua disponibilità per questa intervista.

Uno dei pregi di questo romanzo è la ricostruzione storica attenta anche ai minimi dettagli che non si riflette soltanto nell’ambientazione ma anche nel modo in cui i personaggi si comportano e interagiscono tra di loro e con il contesto che li circonda. Vorrei soffermarmi proprio sull’aspetto di ricostruzione storica: molti autori di romanzi storici preparano prima l’ambientazione in ogni dettaglio e in una seconda fase calano in questa ambientazione personaggi e trame. Avviene anche nel tuo caso o hai un metodo diverso? Quanto tempo dedichi alla ricostruzione storica e quanto alla stesura della trama?

Grazie a te. Prima di tutto una precisazione. Ho una formazione da sceneggiatore che mi ha influenzato nel modo di procedere.  Parto sempre dall’idea. Quella che sarà il nocciolo della trama. Come diceva un grande sceneggiatore: le storie si comprano in tabaccheria, le idee galleggiano nell’aria e sono del primo che le afferra. Vale a dire che la costruzione di una trama segue un percorso ben definito, standardizzabile, ma è l’anima, quella che fa la differenza. Leggendo articoli e libri, visitando musei, luoghi storici, vecchie rovine, ad un certo punto qualcosa richiama la mia attenzione: un personaggio, un avvenimento, un luogo. È come se la storia mi chiamasse. Ed ecco che, quasi per una sorta di alchimia, emerge l’idea. Ma questa occupa mezza pagina, massimo una, e comprende anche un tratteggio veloce del protagonista. Solo a questo punto inizia la ricerca storica. Quando posso, come per questo romanzo, mi reco direttamente sul posto. La vista dei luoghi conferisce una spinta in più all’immaginazione.  Questo modo di procedere mi ha fatto camminare nella Milano del 1500, guardandola con gli occhi del protagonista e vivendo, in un certo senso, la trama insieme a lui. Per quanto riguarda il tempo, la parte dedicata alla ricostruzione è decisamente predominante. Direi sei mesi, un anno, anche se intervallati, e tre mesi per la prima stesura.

               

In questo romanzo ho trovato molto interessante il concetto dell’invisibilità del nemico. Da una parte abbiamo il demone, una creatura che pare sovrannaturale, e dall’altra la peste che, come un enorme serpente, si sta inesorabilmente stringendo intorno a Milano prima di bloccarla in una morsa senza scampo. Hai giocato molto su questo elemento del “nemico invisibile”. Perché?

In genere l’uomo non tollera la minaccia invisibile. Mette in atto meccanismi di difesa invariati nei secoli. Da una parte la sottovalutazione o negazione. Dall’altra, il rapporto causa effetto arbitrario, tra cose molto diverse. Che sia la polvere essiccata di lumache nel 1500, o l’ivermectina oggi, il meccanismo è sempre quello. Il bisogno crea il rimedio, per quanto senza senso esso sia. L’alternativa è l’impotenza, cosa che l’animo umano non sopporta. Ognuno poi tende a reagire secondo la sua sensibilità o formazione. Per il cardinale Borromeo la peste è una punizione divina. Le anime di molti sono corrotte dal demonio. La sua missione è scacciare il male, sia per mezzo dell’inquisizione, che identifica e punisce i collaborazionisti del diavolo, sia allontanando i demoni stessi. Così facendo scongiurerà anche la peste. Più in generale, la sensazione che qualcosa di terribile stia per arrivare, contribuisce a creare un’atmosfera di precarietà e inquietudine in tutti i personaggi. La serie di delitti diventa una sorta di presagio del male che si sta per abbattere sulla città. Per il protagonista diventa così quasi esorcizzante, trovare il colpevole dei delitti.



Sempre restando sul tema della peste, è sicuramene rilevante un dialogo che a un certo punto avviene tra due barcaioli. Sono pagine che possono passare quasi in secondo piano rispetto all’intreccio principale ma personalmente è un episodio che mi ha fatto molto riflettere. In sostanza questi due barcaioli mettono in discussione la reale esistenza del virus paventando l’idea che sia un escamotage dei potenti per avere più controllo sulle masse o per lucrare sulla povera gente. Un dialogo che sarebbe potuto accadere in un momento qualsiasi tra il 2020 e il 2022. Che ruolo gioca questo parallelismo tra il 1576 e i giorni nostri?

In poco più di un secolo, dal 1524 al 1630, tre epidemie di peste flagellarono Milano. La prima è quella detta di Carlo V, l’ultima è conosciuta come peste dei promessi sposi, perché magistralmente descritta dal Manzoni. La peste di San Carlo è meno conosciuta, ma, studiando i documenti, ho notato come vi siano evidenti parallelismi con i nostri giorni. Alla fase della negazione o sostituzione, che abbiamo visto, segue quella dello sconcerto, dell’indignazione e del complotto. Più il male si avvicina, infatti, più si accavallano e diventano restrittive le “grida” delle autorità, incidendo sulla vita delle persone, che reagiscono di conseguenza. Il problema è che i provvedimenti sono caotici, spesso incomprensibili ai più e contradditori. Riflettono, del resto, la stessa incertezza dei medici. Chi dice che il morbo origina dall’aria malsana e dalla sporcizia, chi invece dal contagio con gli infetti e i loro indumenti. Con chi prendersela quindi? Non certo con un nemico invisibile, piuttosto con il governo avido e straniero, con i medici che vogliono lucrare sulla malattia, con i membri del senato e i ricchi che scappano in campagna. Da ultimo, quando la peste ormai dilaga, arriva il provvedimento più temuto: la quarantena. Quarantena che spesso metteva a repentaglio la vita stessa degli abitanti meno abbienti, ridotti alla fame. E che, allo stesso tempo, divideva gli esperti e i politici sulla reale utilità della stessa. Per qualcuno provvedimento totalmente inutile, per altri unica soluzione efficace. Come non vedere un parallelismo con i nostri giorni?

             

Milano è la grande protagonista del romanzo. È già una città piena di contraddizioni come la Milano dei giorni nostri. Secondo te nell’evoluzione storica della città quanto è stato dannoso e quanto è stato arricchente aver avuto tante dominazioni diverse?

Questa è una domanda alla quale generazioni di storici hanno dato spiegazioni diverse, passando dalla dominazione (spagnola nel periodo storico che fa da sfondo al romanzo) come causa di tutti i mali dell’Italia; all’influsso positivo di un periodo comunque di stabilità politica. Milano riflette in pieno queste contraddizioni. La Milano degli Sforza e di Leonardo sembra sbiadire, come l’affresco dell’ultima cena, lasciando il posto a una dominazione spietata e repressiva, unita a una controriforma rigida e altrettanto opprimente. Ma è stato realmente così? Se così fosse, come si spiega “l’estate di San Martino”? Quel periodo, compreso tra la metà e la fine del 1500, in cui l’Italia, specialmente quella settentrionale, crebbe dal punto di vista economico, demografico, commerciale, nonostante terribili epidemie e la dominazione a un paese straniero. Milano, in particolare, risente di una politica fiscale eccessiva e sproporzionata, nonché di una corruzione dilagante, ma beneficia di un periodo di assenza di grandi conflitti militari, i mercanti e gli artigiani continuano a prosperare e si viene a contatto con tutte le novità introdotte dal Nuovo mondo. Mais, patate, tabacco, pomodori, anche se diventeranno colture fondamentali nel corso di decenni, se non secoli, è in questo periodo che iniziano il loro viaggio nel vecchio continente. La sanità pubblica viene sovvenzionata sia dal governo che dal privato. L’ospedale Maggiore, (la famosa Ca’ Granda) ma anche una rete di ospedali minori, insieme al lazzaretto, sono un esempio di sanità attenta anche ai più poveri. Infine, consiglio a tutti quelli che si recano a Milano, di visitare la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, affrescata nel corso del 1500 da Bernardino Luini e la sua scuola, che si è meritata l’appellativo di cappella sistina di Milano, per rivalutare questo periodo anche dal punto di vista artistico.

          

Il personaggio di Ercole Visconti porta all’estremo alcuni suoi tratti che sono i valori comunemente associati all’eroe. Coraggio, ricerca della verità e riconquista dell’amore molto spesso lo rendono anche incosciente e impulsivo. Quali interrogativi ti ha posto questo personaggio nella stesura del romanzo? Per esprimermi meglio: quanto il protagonista ha guidato l’autore e quanto l’autore ha guidato il protagonista?

Tra i personaggi storici in cui mi sono imbattuto, Girolamo Cardano è sicuramente quello che più mi ha colpito e sicuramente influenzato per tratteggiare la figura del protagonista. Cardano, che ha attraversato quasi tutto il 1500 vivendo gran parte della sua vita a Milano, è una figura che noi oggi associamo vagamente al giunto cardanico, un’invenzione che porta il suo nome. Eppure a qui tempi Cardano era sulla bocca di tutti. Fine matematico, medico spesso controcorrente, astrologo appassionato, ingegnere sperimentale, scrittore prolifico di “saggistica”. Ma è la sua vita, più di tutto questo, ad avermi coinvolto. Da un lato, ambiva ad eccellere in ogni cosa che faceva, dall’altro era preda dei suoi demoni caratteriali. Se intuiva il calcolo delle probabilità con i suoi studi algebrici, la sera andava a giocare ai dadi che aveva truccato, rischiando ogni volta la zuffa e la vita. Agiva spesso d’impulso, dicendo quello che era meglio tacere e facendo ciò che era meglio trattenere. Nacque, nonostante un tentativo d’aborto, e scampò alla peste. Visse abbastanza per assistere alla rovina del figlio, accusato di omicidio. Un personaggio complesso, contradditorio, specchio dei suoi tempi. Per venire alla tua domanda, avverto in Cardano parte degli impulsi che mi hanno guidato. Gli studi di veterinaria e, nel contempo, l’amore per la storia e la scrittura, che mi ha portato a mettermi in gioco sempre in campi estremamente diversi. In questo senso l’ho assunto quasi come una guida spirituale, facendomi accompagnare nella narrazione del periodo storico in cui è vissuto. Periodo, a proposito del quale, scriveva: “Ci sentiamo circondati da cose vane e ingannevoli, e avvertiamo la necessità di qualcosa di pieno e duraturo. Questa è la maggior causa della nostra infelicità”.  Ecco, sono convinto che questa sensazione appartenga a tanti di noi anche oggi, ed è uno degli aspetti che viaggia sottotraccia nella narrazione.

       

Dobbiamo aspettarci un nuovo capitolo della saga di Ercole Visconti? Cosa ci puoi raccontare?

Nei libri precedenti, scritti con Antonio Santoro, la narrazione aveva un filo conduttore che si dipanava in quella che può essere definita una trilogia, ambientata nel 1200. In questo caso ho immaginato che un personaggio complesso come quello di Ercole meritasse più di un episodio, per consentirmi di mostrare tutte le sue sfaccettature caratteriali e le scelte che hanno impattato così tanto sulle sue vicissitudini. Ho in mente altre indagini, svolte in diversi periodi della sua vita. In particolare la prossima avrà ancora una volta a che fare con il suo rapporto contradditorio con il terribile cardinale Borromeo e l’inquisizione, sulle tracce di un misterioso assassino che colpisce con una modalità molto particolare. Avrà a che fare con l’acqua. Perché Milano, non dimentichiamolo, era una città d’acqua. Le sue arterie erano i navigli e l’acqua era un elemento presente ovunque, sia come forza vitale, che come forza distruttrice.

A cura di Antonio Modola

 

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