Intervista a Roberta Spadotto




A tu per tu con l’autore


 

Innanzitutto, ti faccio di nuovo i miei complimenti per il romanzo, che ho letto in uno stato ipnotico nell’arco di due giorni scarsi (avrei finito prima ma dovevo anche lavorare!).

Maddalena, Daniela, Anna, Margherita, Mariya, Gaia: tutte donne forti e determinate all’apparenza, le cui vite si incroceranno in modo diretto o indiretto e che alla fine, da questa esperienza impareranno moltissimo. Com’è avvenuto l’incontro fra te e queste signore?  Quale, fra loro, ti ha lasciato di più e soprattutto, cosa ti hanno dato in generale nelle loro differenti fragilità? Con quale ti identificheresti maggiormente?

Tutte le donne di questo romanzo contengono suggestioni di persone che conosco. Appena pubblicato, ho chiesto proprio ad amici, parenti e conoscenti che lo stavano leggendo, di dirmi in quale personaggio si identificassero e devo dire che qualcuno si è riconosciuto, altri mi hanno stupito perché non corrispondevano all’idea che avevo di loro. Credo di essermi io stessa identificata un poco con tutte loro. Daniela è una moglie e una madre tradizionale, una donna che è disposta a farsi carico di tutto il peso della famiglia pur di tenerla insieme. Una donna che è stata educata a non urlare a comprendere a capire e che, infatti, si trova sposata a un uomo che non si assume le proprie responsabilità, che è andato in crisi quando gli è nata la prima figlia, che la tradisce a lungo senza prendere una posizione. Margherita, ossia l’amante di Giacomo, è una donna fragile perché non conosce le proprie origini, non sa chi sia suo padre e mitizza l’amore, come se solo l’amore potesse salvarla. Anna è una donna che ha subito un trauma da ragazza e non ha più creduto nell’amore di coppia. E anche Mariya crede che solo essendo riconosciuta dal proprio compagno potrà avere una visibilità, una posizione nel mondo. Queste donne rappresentano tutte un modello che noi donne del ventunesimo secolo, chi più chi meno, incarniamo e da cui vorremmo forse emanciparci. Chi non ha cercato nell’amore la meta finale del suo destino? Chi non ha dato fondo a tutte le proprie risorse per salvare una relazione o una famiglia? Chi non ha consegnato nelle mani di un uomo il senso del proprio essere?

In quest’ottica, la pm Maddalena Fiorito, è un altro archetipo femminile. Lei è sola, lei non ha figli – in un romanzo successivo cercherò di delineare meglio il suo carattere per capire se la sua solitudine e il fatto di non essere madre sono frutto di scelte consapevoli e forti o meno. Lei rappresenta la donna che cerca di dare un senso diverso, che mette in atto una risorsa di cui tutte noi donne, soprattutto in questo momento storico, abbiamo bisogno: la solidarietà femminile. 

Sfidando anche i limiti del suo ruolo, usando intuito, pazienza e compassione (tutte doti femminili), Maddalena aiuta tutte le altre protagoniste e dare un senso alla loro vita a prescindere dall’amore e da un uomo, soltanto basandosi su se stesse. E ce la fa.

Credo che Maddalena sia una meta cui aspirare, forse è lei il personaggio che mi ha dato di più e che merita di essere approfondito.

Nel romanzo, però, anche se con un ruolo marginale, ad un certo punto avviene l’incontro del lettore con Caterina, che seppur per poco, avrà un ruolo determinante per una delle tue protagoniste. Dalla descrizione accurata con cui la tua penna la presenta, io mi sono posta una domanda: ma in qualche modo nel libro ci sei anche tu o, in alternativa, incarna una persona a te molto cara?

Caterina è un personaggio diciamo secondario che mi è servita per fare da collante tra il Fulvio, l’omicida, e Anna, la vittima. Ho voluto tratteggiarla accuratamente perché ho voluto scrivere un romanzo corale, in cui ogni soggetto fosse ben definito e collegato a un altro, in un filo invisibile che lega tra loro diversi destini. Gaia assiste all’omicidio da vicino e subito dopo Caterina, che è la portinaia del palazzo dove vive, soccorre Gaia in preda alle doglie e grazie a Caterina, Gaia darà un messaggio fondamentale ad Anna. Anche Gaia dà qualcosa a Caterina: in questo modo la portinaia viene a contatto con le emozioni vere quando invece per tutta la sua esistenza aveva preferito basarsi su quelle raccontate sui libri. Non sono io, sebbene io sia una lettrice accanita. Mi sono ispirata nel descriverla alla protagonista del romanzo “L’eleganza del riccio”.

Parliamo di Giacomo, schiacciato da responsabilità che lui avverte talmente gravose, da essersi rifugiato in una “comoda” depressione, che lo fa allontanare sempre più dal suo ruolo di padre e marito. Nonostante tutto come architetto ci tiene all’etichetta e ad avere una bella casa, una moglie altrettanto desiderabile e una figlia a chiudere la cornice, che gli permette anche maggiore successo in società. Peccato che lui, però, si sia progressivamente allontanato da ogni responsabilità domestica e non riesce ad avere un rapporto con la figlia piccola. Se ne parla molto poco a livello di notizie devo dire, ma tu nel romanzo tocchi il tema della “depressione da adattamento”, da cui viene investito il tuo personaggio nel momento in cui arriva la figlia a scombussolare la vita di coppia che a posteriori, si percepisce come un qualcosa che in realtà, forse tanto equilibrata non fosse nemmeno prima. Di norma si cita la depressione post partum e purtroppo, molte donne ne sono colpite e spesso non hanno gli aiuti necessari per uscirne. C’è davvero una percentuale di uomini, che davanti ad un evento felice come la nascita entrano in crisi fino a sfociare in un qualcosa di patologico?

La figura di Giacomo è ispirata a più di un uomo che conosco. Uomini di questo tempo, eterni Peter Pan, per cui fare una qualsiasi scelta impegnativa corrisponde a una morte, alla fine delle mille possibilità di cui è costellata la prospettiva di chi ha “tutta la vita davanti”. Giacomo è riuscito comunque a costruirsi una vita di successo ma solo in apparenza. Di base è un insoddisfatto che non vuole crescere perché crescere significa fare delle scelte e assumersi la responsabilità di queste scelte. Riesce a ingannare la moglie, riesce a tenere in sospeso l’amante, ma la nascita della figlia, evento senza replica, lo inchioda a un ruolo che lui non ha scelto consapevolmente, delegandolo in toto alla moglie. Credo che la sua “depressione da adattamento” sia un effetto della sua incapacità di prendere in mano la vita in modo adulto. E’ vero si parla poco di questo aspetto: quando nasce un figlio si parla di “depressione post partum” della donna. La mia domanda è: quanto il disagio e le solitudine che sente una donna dopo la nascita di un figlio non dipendono proprio da questa incapacità dei padri di farsi carico del loro nuovo ruolo? La sofferenza di una donna in quel delicato momento non è forse determinata in gran parte dal fatto di ritrovarsi improvvisamente sole con accanto un uomo indolente o richiedente come fosse un secondo figlio?

Fulvio vive da quarant’anni con un senso di colpa che lo ha schiacciato nel periodo peggiore, l’adolescenza, e non è mai riuscito a venirne fuori. A peggiorare il tutto si è aggiunto il problema dell’alcolismo e una vita solitaria, affrontata nel ricordo di un fantasma. L’incontro con Mariya appare come un palliativo, destinato però a non poter durare, date le sue difficoltà nel dispensare tenerezze, che ha sempre riservato per una persona che non ha mai potuto avere. Da dove è arrivata l’idea di un personaggio così disturbato?

La nascita del personaggio di Fulvio non me la spiego nemmeno io. Ho messo insieme le sofferenze di molte persone che conosco, alcune anche mie, portandole all’estremo. Sono venuta a contatto però, senza conoscerle nel profondo, con persone perdute e ho cercato di raccontarne la storia anche per dare un senso ad alcuni casi di cronaca efferati in cui una persona improvvisamente compie un gesto di follia quando folle non era. Perché lo ha fatto?. Fulvio si trasforma in carnefice ma in origine è una vittima, perché quando era ragazzino non aveva avuto gli strumenti per elaborare il suo trauma, né la sua cultura ed educazione gli hanno permesso di chiedere aiuto in seguito. Alla fine però, Fulvio viene riabilitato in qualche modo. E questo ha commosso me quando lo scrivevo e commuove le persone che lo leggono. Sebbene abbia vissuto nel rimpianto, nella chiusura in se stesso e nel disamore e abbia compiuto un gesto condannabile, non riesce a essere una figura del tutto negativa.

Il romanzo affronta il tema delle casualità e dell’impossibilità di mantenere il totale controllo sugli avvenimenti. In seguito ad un determinato fatto potrebbero scatenarsi una serie di reazioni che, saranno sempre diverse e imprevedibili, proprio perché non è mai possibile prevedere in anticipo cosa potrebbe accadere. Roberta Spadotto, nella vita, ama avere il controllo o vive in modo disteso, accettando tutto, senza paura di un cambio di programma dell’ultimo minuto?

La mia vita è stata costellata da moltissimi “cambi di programma” improvvisi e spesso senza replica. Sono abituata all’agire del caso anche se non lo chiamo così. In greco la parola caos significa sia caso sia fato o destino, come se ci fosse un disegno a guidare le nostre vite. Ecco, sono fermamente convinta che questo disegno non venga da un essere superiore, ma da noi stessi. Siamo noi che, consapevoli o meno, diamo la direzione alla nostra vita. Quello che ci succede è frutto della miriade di pensieri, parole e azioni che abbiamo compiuto fino a quel momento. Giacomo a un certo punto cita la parola karma che è esattamente questo. Ricevi gli effetti delle cause che hai messo. Ma ciò comunque non è deterministico: si può sempre decidere di prendere il timone della propria nave in mano, virare la rotta, portare la propria vita dove si vuole, in ogni momento. Maddalena cerca di fare questo per le persone della scena. Le aiuta a virare la loro vita in meglio. E alla fine, anche una tragedia o una morte improvvisa diventano per chi rimane un’occasione di cambiamento.

Ho apprezzato moltissimo la PM Maddalena Fiorito con la sua testardaggine e la sua voglia di arrivare sempre in fondo alle cose, riportando sempre luce, anche negli angoli più scomodi e meglio coperti dal buio ma, anche lei legata sempre al passato e in estrema difficolta, quando sarebbe il caso di lasciare andare per non rischiare di annegare nei ricordi spiacevoli. Dopo questo caso, però, credo proprio che non sarà più la stessa. Hai già in mente un seguito?

Ho in mente di scrivere un nuovo romanzo su Maddalena Fiorito, per entrare più nel dettaglio della sua straordinaria, nel senso di particolare, personalità. Lei è una donna dai chiaro scuri, una donna che ha dovuto lottare lei stessa per sentire come sente, per agire come agisce. Credo che sia affascinante per me e per chi mi leggerà definire al meglio questa donna. 

Sono ripetitiva, ma ormai, con gli autori Frilli è praticamente una consuetudine poiché ogni libro è “legato” ad un luogo e ogni luogo, a suo modo diventa in parte protagonista del libro. Come mai hai scelto di ambientarlo proprio a Milano? Che rapporto hai con questa città?

Sono nata, cresciuta e ho vissuto e vivo a Milano. Non conosco altre realtà, altre città. La zona dove è ambientato il romanzo non è nemmeno quella dove mi muovo abitualmente ma un punto dove ero solita passare tutti i giorni per lavoro anni fa. In quel determinato incrocio dove avviene l’omicidio ho provato sempre sensazioni particolari, proprio come se la scena si svolgesse sotto i miei occhi, in un’altra dimensione. A un certo punto ho dovuto scriverla. Il romanzo è partito da quell’incrocio di Milano, da quella suggestione.

A Thrillernord nessuno sfugge a questa domanda che ormai è un classico: ho letto che sei una lettrice vorace per cui ti chiedo, quali i sono i tuoi generi e autori preferiti? Hai dato spazio anche alla letteratura nordica? 

Amo gli scrittori che nei loro romanzi mischiano la realtà con il mistero o la magia. Non necessariamente gialli, proprio autori che scrivono di storie fuori da comune facendole apparire reali come Murakami Haruki, Paul Auster, alcuni libri di McEwan, Dino Buzzati, Italo Calvino. Descrivono il mondo con magia, andando oltre il visibile. Della letteratura scandinava ho letto la trilogia di Stieg Larson e l’ho amata moltissimo. 

A nome mio e di Thrillernord ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato e ti facciamo un grande in bocca al lupo.

Loredana Cescutti

 

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