Intervista a Roberto Mistretta




A tu per tu con l’autore


Partiamo dal protagonista del romanzo, il maresciallo Saverio Bonanno. Siciliano a trecentosessanta gradi, padre single, con un grande senso di giustizia ma anche, con un’allergia cronica alle regole strette dell’Arma, che lo limitano nel suo bisogno di arrivare in fondo alle cose prima che sia troppo tardi. Poiché questo libro è solo l’ultimo di una serie già ben nutrita, può raccontare a me e agli amici di Thrillernord quando le vostre strade si sono incrociate? E poi, può raccontarci qualcosa di lui, tanto per aiutarci a capire chi sia veramente Bonanno? In cosa vi assomigliate?

I DELITTI DEL CASTELLO in effetti è il quinto romanzo che vede in scena il maresciallo Saverio Bonanno, protagonista anche di tanti altri racconti. Il mio incontro con lui avvenne anni fa, a seguito di un grave fatto di cronaca di cui mi occupai giornalisticamente. 

In quell’occasione mi resi conto che lo spazio sul giornale non era sufficiente per raccontare tutto ciò che avrei voluto e quindi, ricorrendo alla forma romanzata, ho dato voce alla vittima di una violenza che mi fece inorridire come uomo, come padre e come essere umano. 

Violenza a cui venne messa fine anche grazie all’iniziativa di un maresciallo che andò ben oltre il proprio ruolo istituzionale.  

Bonanno nacque così, in origine per fare da cornice ruspante e simpatica, coi suoi modi spicci e diretti, a quel quadro a tinte fosche che mi premeva raccontare. Pensavo di chiuderla lì, invece continuai a servirmi di Bonanno anche col mio secondo romanzo, IL CANTO DELL’UPUPA, ma a quel punto Bonanno mi guardò dritto in faccia e mi disse: “Senti, amico bello, se tu vuoi che noi due andiamo d’accordo, devi darmi una vita pure a me ché così non si può continuare!”

Lo accontentai e proprio in quel romanzo gli feci conoscere l’assistente sociale Rosalia Santacroce che diventerà una presenza costante e sarà colei che levigherà il pezzo di vetro frastagliato che Bonanno aveva al posto del cuore da quando Emma, sua moglie, lo aveva lasciato per fuggire nottetempo con un trapezista di un circo equestre di passaggio, abbandonando con lui anche la loro figlioletta, Vanessa.

Col maresciallo Bonanno ho poco in comune, escludendo la stessa identica idiosincrasia per ogni forma di ingiustizia. Una cosa che non sopporto di lui è il suo leggere sempre l’oroscopo e la sua insofferenza per la scrittura.

Attorno a Bonanno, di indole gelosa ma anche, talvolta, insicuro all’interno del suo guscio, ruotano tre donne per lui importantissime, che rappresentano le sue certezze e la sua stabilità. Può raccontarci un po’ chi sono Donna Alfonsina, Vanessa e Rosalia?

Dopo l’abbandono da parte di Emma, Bonanno conobbe un periodo di profonda depressione e cercò conforto anche nell’alcool, ma per fortuna durò poco, preferendo indirizzarsi verso la buona cucina dell’isola, tant’è che coltiva un rapporto complicato con la sua pancia da abbandono. E fuma tanto. 

Ad accogliere in casa lui e sua figlia, è stata Donna Alfonsina, sua madre, donna siciliana all’antica, a sua volta segnata dall’abbandono del marito. Donna Alfonsina fa parte di quella schiera di spose che in Sicilia si chiamano vedove bianche, ovvero che hanno un marito che lavora lontano, fuori dall’Italia, ma è come se non l’avessero, perché torna soltanto una volta all’anno. Il padre di Bonanno, Michelangelo, lavora infatti da sempre a Colonia, dove si è fatto una nuova famiglia, cosa che Bonanno scoprì da ragazzino e da allora non ha più rapporti col padre, mentre con la madre ha un rapporto conflittuale, fatto di tenerezza, per quello che lui ha scoperto e non le ha mai detto, e di insopportazione per le continue ingerenze della madre nella propria vita e nei rapporti con sua figlia.

Vanessa, che conosciamo mentre frequenta le elementari, cresce infatti molto viziata dalla nonna e Bonanno fatica a starle dietro, man mano che la vede crescere e somigliare sempre di più a Emma, anzi diventa sempre più geloso di lei.

Rosalia, sensibile e profondamente umana, è la donna che lo riconcilia col mondo. Il suo amore sarà balsamo per l’animo devastato di Bonanno che si sentirà finalmente accettato per quello che è, un uomo coi suoi pregi e i tanti difetti. Rosalia riuscirà a cucire un rapporto con Donna Alfonsina e con Vanessa, e saprà anche confrontarsi a muso duro con Emma quando la stessa tornerà con l’inganno nella vita di Bonanno, anche se lei a sua volta ha i propri problemi con cui fare i conti nella vita.

Anche sul lavoro, fortunatamente, oltre agli ostacoli, il maresciallo ha potuto attorniarsi di sicurezze, e cioè Provenzano, Cacici e Steppani. Chi sono queste persone, e cosa rappresentano veramente per lui?

Si tratta di personaggi secondari ma assolutamente funzionali alla trama, che compaiono in tutti i romanzi della serie. 

Il dott. Giacomo Provenzano è il procuratore capo a cui Bonanno ha salvato la vita mentre lo stesso, il giorno del suo rientro in Sicilia, s’era recato al cimitero di Sant’Orsola, il più antico di Palermo, per fare visita alla tomba di Giovanni Falcone e sua moglie, Francesca Morvillo. Bonanno a sua volta si trovava lì per fare visita alla tomba di Padre Pino Puglisi, che aveva conosciuto. In quell’occasione il suo sbirrume gli fece notare movimenti strani per cui si adoperò immediatamente a dare l’allarme e venne evitata una nuova strage di mafia. 

Da allora tra loro due si è instaurata un’amicizia che va oltre i rispettivo ruoli istituzionali e non di rado Provenzano mette una pezza legale ai modi spicci di procedere di Bonanno, di cui comunque si fida ciecamente e conoscere il suo profondo attaccamento al senso di giustizia.

Attilio Steppani è un giovane brigadiere capo del profondo nord, amante della guida veloce e delle donne. Studi classici alle spalle di cui si vergogna come un ladro in quell’ambienta di caserma, è la spalla destra di Bonanno. Tra loro vi è un rapporto che va oltre le apparenze ed entrambi non esiterebbero a fare da scudo l’uno all’altro in caso di necessità, come avviene in un paio di casi.

Giovanpaolo Cacici, carabiniere scelto e napoletano verace, non ha ancora imparato a parlare senza inflessioni dialettali. Spesso fa da catalizzatore agli strali di Bonanno, ma anche lui sa come prenderlo e risulta oltremodo prezioso in alcune indagini.

Uno dei temi del romanzo sono sicuramente le mafie e quella sensazione di immutabilità e accettazione, di fronte alla quale nulla è possibile, perché non si intravvede l’occasione di cambiamento. Ad un certo punto, però, uno dei personaggi si esprime così: “Dobbiamo cambiare. Lo dobbiamo ai nostri morti, non può essere stato inutile quello che s’è fatto. Ce l’ha insegnato Falcone, ce l’hanno insegnato quelli come lui.” Qual è il suo pensiero a riguardo?

Bonanno, da addetto ai lavori, è disincantato di fronte a tale fenomeno che sa avere radici ben profonde e maligne, e per estirparle non bastano soltanto i proclami in tivù, le belle parole, le passerelle dei politici, i cortei di protesta. Lui sa che ci vogliono leggi serie ma che vengano fatte rispettare. Ora noi in Italia abbiamo leggi severe contro la mafia, vedi il 41 bis, ma come è possibile che dei sanguinari boss mafiosi, detenuti e sottoposti a tale regime carcerario, siano addirittura riusciti a diventare padri senza mai essere usciti dal carcere?

Il mio pensiero su questo è molto simile a quello di Bonanno, ovvero di assoluta condanna contro ogni forma di mafia e sull’argomento ho scritto anche dei libri che parlano di siciliani perbene come Rosario Livatino e padre Pino Puglisi che la mafia l’hanno combattuta sul serio, coi fatti, non soltanto a parole. Come dico spesso nei miei incontri coi lettori, noi siciliani stiamo stati bravissimi a inventare due cose per le quali siamo famosi nel mondo. Della prima ce ne possiamo vantare, i cannoli, ché piacciono proprio a tutti. Dell’altra continuiamo a vergognarcene anche senza averne colpa, ma di mafia bisogna parlarne, per imparare a conoscerla e, soprattutto, a contrastarla. 

Altro tema del romanzo, è quello della vita dietro i set cinematografici, ove la linea di demarcazione fra finzione e realtà, spesso viene vissuta, e mi passi il termine, in modo “malato”, poiché pur di arrivare in alto o pur di poter avere una determinata cosa, le persone sono disposte a tutto, veramente a tutto. Ed è da qui, che l’indagine prende vita, finendo per lasciare Bonanno ancora una volta deluso, amareggiato e perché no, schifato dal genere umano. Anche perché poi, a rimetterci, sono sempre i più deboli. Com’è nata la trama di questa storia?

Quello che succede negli ambienti dove la spettacolarizzazione conta più della dignità delle persone e della stessa vita, credo che ormai sia sotto gli occhi di tutti e non lo vede soltanto chi non vuol vedere. Non a caso i modelli da emulare agli occhi dei nostri ragazzi sono quelli che più appaiono in tivù e spadroneggiano sui social. Una società basata sull’apparenza piuttosto che sulla sostanza. 

La trama di questa storia, ma credo valga per tutte le storie che ho scritto, nasce da quello che succede attorno a noi ogni giorno, da un fatto di cronaca che ho seguito o che ho letto da qualche altra parte e che mi colpisce in maniera particolare, magari inconsciamente all’inizio. Storie di vita, dunque, che si intrecciano con la mia fantasia e mi permettono di raccontare le mille bellezze di questa terra meravigliosa che è la Sicilia, senza tuttavia sottacerne né nascondere le tante storture né i crimini.

A questo punto, non possiamo che affrontare il tema del luogo, tanto caro ai libri Frilli. Il castello rappresenta sicuramente un qualcosa di magico e, il fatto che sia così arroccato e nascosto ne aumenta la suspense. Qualcosina lo ha accennato a fine libro, ma a beneficio di chi ancora il romanzo non lo conosce, vuole raccontarci qualcosina su storia e leggenda di questo luogo, oltre ovviamente al perché il romanzo ha preso vita proprio lì?

Il maresciallo Bonanno vive e indaga in una location ben lontana dall’immagine da cartolina della Sicilia tutta sole, spiagge e mare. Bonanno si muove tra le montagne dell’entroterra siciliano, i Monti Sicani, e gli immensi ex feudi coltivati a grano e fieno, luoghi dove la mafia campestre ancora alligna e detta legge. Location bellissime, ricche di siti minerari di sale e zolfo, uliveti e mandorleti, con panorami da cartoline e paesini che sanno di fiaba. Qui nei mesi meno caldi i paesini montani si svegliano avvolti dalla nebbia e a volta si ritrovano anche ricoperti di neve. Molti lo ignorano, ma in Sicilia esistono anche tre piste da sci, sulla Madonie e sui versanti dell’Etna.

Nella mia cittadina, Mussomeli, che diventa la Villabosco letteraria di Bonanno, sorge questo magnifico castello che con lungimirante raffinatezza, lo storico Giuseppe Pipitone Federico battezzò “Nido d’aquila fuso nelle rupe”. E assai prima, nel XVI secolo, Giovanni Adria, medico di Carlo V°, lo definì: eminens, forte, pulcrum, cum par non invenitur in hac regione.  (Eminente, forte, bello, di cui non se ne trova eguale in questa regione).

Il castello, di impianto arabo, anche se recenti ritrovamenti lo datano ancora prima, ai tempi dei Bizantini, trova il suo massimo splendore con Manfredi III di Chiaramonte negli anni che vanno dal 1364 al 1391. Un titano di pietra tutt’ora visitabile e bellissimo, che ha visto passare gli uomini e la storia e su cui si raccontano tante leggende, che ho riportato nel romanzo, facendole diventare parte integrante della trama

Leggendo nemmeno tanto fra le righe, si percepisce l’amore che nutre Bonanno, ma in primis lei per la sua terra e per come, di contro, continua ad essere trascurata a livello storico e architettonico. Mi riferisco ad esempio, a quando il suo maresciallo, in viaggio di lavoro, passa davanti alla Valle dei Templi (dal 1997 inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità) ed esprime la sua amarezza, guardando il Ponte Morandi, in disuso preventivo dal 2017, un’opera lasciata in totale abbandono, che sicuramente va a deturpare uno dei luoghi più belli del mondo. Qual è il suo primo pensiero, in merito a questo livello di incuria che troppo spesso va a rovinare ciò che in Italia abbiamo di tanto prezioso, bello, insostituibile e che il mondo ci invidia?

Guardi, tocca un tasto molto dolente. Come scrittore giro parecchio per presentare i miei libri, anche quando comportano lunghi viaggi fuori dalla Sicilia. Eppure il dramma della viabilità che si vive in questi luoghi interni della Sicilia non ha eguali e rappresenta la sconfitta di tutte le classi politiche che si sono finora succedute alla guida di questa terra, senza distinzione di partiti e correnti. 

Come si può parlare ai nostri ragazzi di legalità e rispetto delle regole e delle istituzioni quando li costringiamo a frequentare le lezioni in istituti vetusti? Scuole in cui quando piove l’acqua filtra dai tetti e le aule si allagano? 

Come si pretende di poter essere credibili quando, per raggiungere gli istituti superiori li costringiamo a viaggiare da un paese all’altro sugli autobus, facendo avanti e indietro su strade provinciali terremotate che sembrano quelle di paesi in guerra? 

O quando vediamo alcune nostre bellissime città come Palermo invase da montagne di rifiuti? 

Oppure, come sta accadendo in questo periodo, ci ritroviamo con interi quartieri di città come Agrigento e Caltanissetta in cui l’acqua non arriva da quaranta giorni?

Proprio ieri un pastore disperato di un paesino del circondario mi ha telefonato perché da settimane si ritrova senz’acqua e il bestiame sta letteralmente morendo di sete. Per protesta ha annunciato di voler portare il gregge davanti il palazzo comunale. “Ché muoiano là e tutti vedano”, ha detto.

 Di fronte a scenari siffatti credo sia imperativo pretendere amministratori e politici capaci di fare il proprio dovere e dare risposte concrete ai siciliani, non ciarlatani tanto bravi a parlare e vendere fumo quando incapaci di evitare che accada e continui a ripetersi quello di cui ho appena dato un accenno.

Progetti nascosti nel cassetto ce ne sono?

Tanti. A fine anno sono in arrivo due nuovi lavori già consegnati e in fase di editing. Un libro su un siciliano perbene che sarà pubblicato dalle Paoline e un doppio noir stile hard boiled in salsa siciliana che vedrà la luce con Mondadori. 

Il nuovo romanzo di Bonanno con Frilli per il 2025 è già pronto e altri progetti sono in corso d’opera per i prossimi tre anni. L’anno prossimo mi piacerebbe anche ripetere l’esperienza antologica che nel 2023 ho curato per Mursia con cui abbiamo pubblicato Accùra, racconti gialli ambientati in Sicilia.

Oltre a scrivere, Roberto Mistretta è anche un grande lettore? Quali sono i suoi generi di riferimento e poi, c’ è uno spazio anche per i nordici? Fra le letture di quest’anno, avrebbe dei titoli da proporre ai nostri lettori?

Leggo tantissimo da sempre e leggo di tutto, dai giornali ai fumetti ai libri di ricette. Per lavoro, da direttore della collana di narrativa Delos Crime, leggo tanti inediti e, ovviamente, leggo anche i libri di tanti colleghi. Non ho un genere preferito, spazio dal romanzo storico al fantasy, dal giallo al romanzo sociale, dal saggio ai volumi di agricoltura. L’unica differenza la fanno i libri. Ci sono quelli belli e quelli brutti.

Se per nordici intende i colleghi del nord Italia la risposta è sì, e lo stesso se intende scrittori del nord Europa. Di suggerimenti ne avrei un’infinità, ma per non fare torto a nessuno consiglio gli ultimi che ho letto e mi sono particolarmente piaciuti: La notte dei fuoco di Paolo Bernetti (Premio Tedeschi 2024), Il mistero di Villa Feoli di Emilio Limone, Le lacrime di Dio di Fabio Mundadori, Dannati per sempre di Nicola Calathopoulos, E cosy sia (antologia a cura di Barba Perna), Il morso del Varano di William Bavone, I demoni di Pausilypon di Pino Imperatore, Il chirurgo di Leslie Wolfe, La visita di C.S. Ewan. E poi un classico: A sangue freddo di Truman Capote. E un libro imperdibile: Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.

Grazie per il tempo che ci ha dedicato, a nome mio e di tutta la redazione di Thrillernord.

Loredana Cescutti

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