Intervista a Scilla Bonfiglioli




A tu per tu con l’autore


Ciao Scilla, grazie per aver accettato il nostro invito.

Grazie a voi e grazie soprattutto a te, Claudia. È un grandissimo piacere essere qui con te su queste pagine.

La sposa del vento è la biografia romanzata del grande pittore e drammaturgo Oskar Kokoschka e il punto di vista prevalente è quello di Oskar. Com’è stato essere lui per il tempo della stesura?

Magnifico e terribile. Oskar Kokoschka è stato di certo una persona complessa e nei miei confronti si è rivelato senza dubbio un personaggio eccezionale con cui lavorare, che mi ha permesso di aprire delle porte su dei territori di me stessa che non conoscevo o, se li conoscevo, che di norma non mi piace troppo frequentare. Si tratta di quel tipo di personaggio capace di toccare le vette più luminose dell’animo umano così come gli abissi più oscuri, passando per tutto quello che c’è in mezzo. Seguire l’Oskar personaggio nella sua ordalia per il riscatto e la propria libertà ha significato andare a frugare nei miei incubi per dare vita ai suoi, stare faccia a faccia con le mie paure, le mie disarmonie e le mie bruttezze. Un giro di giostra nel buio, ma penso che ne sia valsa la pena.

Com’è avvenuto il vostro primo incontro?

Ho conosciuto Oskar Kokoschka quando avevo sedici anni e, come sempre succede quando un artista ti entra nel cuore in quel periodo di tempesta che è l’adolescenza, finisce per scavarci una nicchia e rimanerci dentro per sempre. L’ho sentito nominare sui testi di storia dell’arte che parlavano delle avanguardie del Novecento; le poche immagini dei suoi dipinti che le pagine riportavano finivano per essere quasi soffocate in mezzo a quelle piene d’oro di Klimt o ai nudi disturbanti di Schiele, ma anche dai margini Kokoschka era come un pugno nello stomaco. Il mio amore per lui si è consolidato in gita scolastica a Vienna. Io e alcuni amici siamo rimasti intrappolati nelle sale del Leopold Museum, dopo l’orario di chiusura. Le luci si sono spente attorno a noi, i cancelli si sono chiusi in lontananza e noi siamo rimasti soli a fronteggiare le tele degli Espressionisti. Solo pochi minuti, prima che il guardiano del museo si accorgesse di noi e venisse a tirarci fuori. Per salvare me da Kokoschka, Schiele e Klimt, però, ormai era già tardi.

La vicenda ruota attorno alle ossessioni di Oskar, a partire dai “portatori di sogni” per arrivare a Lilith/Alma. Immagino che la gestione di un personaggio così complesso implichi uno studio accurato, non solo della sua biografia. Che tipo di studio e/o di esperti ti hanno supportata nel tratteggiare una personalità così sfaccettata?

La parte più complessa da gestire è stata quella relativa all’enorme documentazione storica del periodo. Stiamo parlando di un esatto secolo fa da oggi, praticamente “l’altro ieri”. Questo significa che esiste una quantità di materiale da visionare immensa, la reperibilità dei documenti offre una copertura quasi totale degli anni che ho raccontato: gli eventi storici si sono susseguiti a una velocità da cardiopalma e per tratteggiare la biografia di un uomo che ha cavalcato il Novecento si deve tenere conto di tutto, fare quadrare più piani, i tempi storici, i tempi artistici e i tempi dell’anima. Se poi quest’uomo è anche un artista calato nella realtà sociale dell’epoca – che era più che vitale, era febbricitante – allora diventa tutto esponenziale: fatti, fonti e documenti escono da qualunque parte – e quasi mai in lingua italiana. Ho necessariamente dovuto scartare gran parte di quello che ho studiato e prendermi qualche piccola licenza, per seguire la storia che avevo intenzione di raccontare e non andare fuori strada. Attraverso il cammino dello studio, però, il carattere dell’artista emergeva dalle sue opere, dai suoi comportamenti e, soprattutto, dalla straripante produzione epistolare: questa creatura scriveva sempre, scriveva a tutti, scriveva di qualunque cosa. A distanza di un secolo, Oskar Kokoschka è riuscito a raccontarsi benissimo da solo.

Muovendosi insieme a Oskar, il lettore compie un viaggio nello spazio e nel tempo. Attraversa l’Europa (Berlino, Vienna, Dresda, l’Italia), vive la Grande Guerra e conosce personaggi iconici (Klimt, Freud, Loos, Alma Mahler, solo per citarne alcuni). Mi chiedo quanto è stato difficile tenere a freno la penna e non cadere in continue digressioni, sotto ai continui stimoli dati dall’imbattersi in mostri sacri in un ambiente e in un periodo così vivo e affascinante.

Esattamente, è stato tremendo. Per ogni cosa che ho scelto di raccontare, ho dovuto necessariamente lasciarne fuori mille, l’Europa del Novecento è un luogo fangoso e magico che offre storie a manciate. La mia salvezza è stata avere in mente una storia abbagliante che metteva in secondo piano il resto, tutti gli eventi che Kokoschka ha attraversato e i passi che ha fatto nel romanzo servivano per arrivare a un punto preciso. Spero di avere reso giustizia alle creature magnifiche che in questo romanzo sono state comprimarie di Oskar: lo splendido mostro Alma Mahler; l’incredibile creatura né maschio né femmina che era Else Lasker-Schüler, il Principe di Baghdad; l’affascinantissimo e diabolico dottor Fritz Neuberger… ma so che non è così, servirebbe almeno un romanzo per ognuno di loro.

Scilla Bonfiglioli

Mi sono fatta l’idea che la figura e la vicenda personale di Kokoschka siano spendibili oggi più che mai come manifesto di inclusività. In un mondo falsamente aperto e tollerante (parlo dell’Occidente cosiddetto “civilizzato”), Oskar sarebbe stato osannato o isolato? Chi stabilisce qual è il confine tra follia e genialità? Vorrei sapere da te perché hai scelto di raccontare la sua storia.

Nella società che lo circondava, Kokoschka è stato chiamato con numerosi epiteti, prima di Maestro, e anche allora era sempre guardato con un certo sospetto. Oggi, la diversità non è diventata più tollerata, per quanto ci piaccia fingere che sia così, soprattutto quando è scomoda, quando non si limita a stare in un angolo a farsi compatire, quando dà fastidio. C’è forse una presa di coscienza di un altro tipo, riguardo a tutto quello che esce dalle righe, ma la realtà dei fatti è che la tolleranza e la comprensione che siamo abituati a usare nella vita sono molto lontane da un ideale di reale inclusività. Di solito, quella di Kokoschka è una follia che viene perdonata solo dopo la morte. Da parte mia ho sempre nutrito amore per tutto quello che non riesce a incastrarsi nelle forme prestabilite e che vive il proprio essere liminale con dolore oppure con strafottenza. Non potevo scegliere storia migliore della sua, da raccontare in questo senso, ma non solo quella di Oskar Kokoschka: anche Alma Mahler è fatta della stessa pasta; anche i Megalomani di Berlino e lo stesso demone Lilith che permea gli incubi del pittore vengono dagli stessi miracolosi margini.

Ci sono progetti nel breve periodo di cui ci puoi parlare?

Qualcosa c’è. Sto lavorando al terzo romanzo della serie Nero&Zagara che porto avanti sulla collana di spy story Segretissimo Mondadori, che dovrebbe vedere la luce tra non troppo tempo. E intanto sto mettendo giù le idee per un romanzo che potrebbe essere l’erede di “La sposa del vento”. Ho per le mani una storia che parla sempre di arte, magia nascosta e abissi della mente in cui precipitare. Una sorta di “seguito ideale”, anche se tempi, ambienti e protagonisti sono tutt’altro. Incrociate le dita per me!

Ti ringrazio per la tua disponibilità da parte mia, della redazione di ThrillerNord e dei nostri lettori.

Claudia Cocuzza

Grazie a te, Claudia, alla redazione di ThrillerNord e a tutti coloro che sono arrivati fino a qui insieme a noi.

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