A tu per tu con l’autore
“L’impossibile ritorno” , il titolo del suo nuovo libro, si pone come ossimoro nei confronti del contenuto che racconta proprio di un ritorno, ma allo stesso tempo è proprio questo ritornare che illumina quanto in realtà sia impossibile farlo, ma quanto altrettanto impossibile sia allontanarsi davvero, in via definitiva da un luogo, il Giappone, che è un totem e che racchiude così tanto vissuto. Riflettevo, grazie alle sue pagine, che in fondo ogni ritorno è impossibile, perché cambiamo noi, cambia il circostante, cambia la nostra percezione. Lei è riuscita ad aggirare questo impasse, andando in qualche modo À rebours, (“identificarmi con la bimba piccola. Quest’ultima è insediata stabilmente nel profondo di me stessa”), romanzo che peraltro rilesse durante quel viaggio. Se, come affermò Locard nella sua Teoria dell’interscambio «Le persone quasi sempre lasciano qualcosa di sé sulla scena e portano via qualcosa dalla scena», Nothomb cosa ha lasciato in Giappone e cosa si è portata via del Giappone, oltre a quei souvenirs presi per essere regalati e che invece finiremo per tenere con noi?
Grazie per questa bella domanda…ho lasciato il Giappone la prima volta a 5 anni e da allora mi è sempre parso di non avere più un “mio luogo” nel mondo, vivo a Parigi ormai da più di venticinque anni ma comunque non considero quella magnifica città come la mia città.Dopo quella partenza da bambina sono tornata alcune volte in Giappone, poco più che ventenne pensando di stabilirmi definitivamente a Tokyo, pensavo di essere più orientale che occidentale, ma non era così, sono venuta via e sono poi tornata nel 1989 con mio padre e nel 2012 per girare il documentario Une vie entre deux eaux e tutte le volte è stato “un impossibile ritorno”, i luoghi cambiano e le persone cambiano come affermava giustamente lei nella domanda. Io ho lasciato in Giappone la bambina di 5 anni che ritrovo solo quando ritorno in quei luoghi e ogni volta che vengo via porto con me la consapevolezza che il Giappone è e sarà sempre il mio luogo dell’anima anche se non potrei viverci.

Un viaggio à la Thelma & Louise, leggiamo nella sinossi. Un viaggio infatti compiuto in compagnia di un’amica, la fotografa Pep Beni, di cui emerge il carattere pirotecnico e determinato e che agisce anche da censura emotiva della nostalgia per esempio, che lei contiene di fatto in se stessa, La nostalgia è un sentimento crepuscolare, la mia si fa sempre più spazio dentro di me. Scopro la gioia di non condividerla. Quanto è stato determinante e importante fare questo viaggio con Pep, e cosa, nell’ipotesi lo avesse fatto da sola, sarebbe stato diverso?
Sì è stato un viaggio con un’amica che ha un carattere irruente e sovente mi sono trovata a fare da interprete per lei smorzando un pò l’enfasi delle sue parole per evitare situazioni incresciose…ho evidentemente ereditato le doti diplomatiche di mio padre…ma Pep mi ha anche obbligata a sperimentare una nostalgia silenziosa, non espressa, non detta…bisogna dire che io sono una persona tendenzialmente nostalgica che non paga di vivere la nostalgia dopo le partenze inizia a viverla già in modo preventivo quando la partenza non è ancora neanche avvenuta. La nostalgia in Giappone viene vissuta come un sentimento dolce, paradossalmente felice, non con un’accezione negativa come in Occidente e forse è per questo che è il sentimento che caratterizza la mia vita. Non avevo in programma di fare un viaggio in Giappone, è stata Pep a propormelo e sono contenta di aver accettato ma non penso che da sola in questo periodo avrei fatto questo viaggio.
“Sono bombardata da emozioni senza fissa dimora”. Questa frase, e non è l’unica, mi ha particolarmente colpito. Credo sia una caratteristica che si può ritrovare in molte delle sue opere, che vi siano emozioni che appartengono a un momento e a un luogo, ma che allo stesso tempo nomadizzano e si rendono perciò universali, permettendo a chi legge di provarle allo stesso modo, pur in un contesto differente. L’essere senza fissa dimora, in questo caso, non è angoscia, ma potenzialità assoluta. Cosa ne pensa?
Anche questa è veramente una bella domanda… ci vorrebbe molto tempo per rispondere ma posso riassumere dicendo che forse la mia esperienza di vita “nomade” che mi ha fatto cambiare città, nazioni, continenti di frequente durante l’infanzia e l’adolescenza ha influenzato sicuramente il mio carattere e di conseguenza la mia scrittura, ho conosciuto culture, lingue, usanze, tradizioni e quello che scrivo è il risultato di tutto questo ed è per questo forse che i lettori nella loro più ampia varietà riescono a emozionarsi e a rispecchiarsi nelle mie parole.
Merci, Amélie Nothomb e à bientôt …
A cura di Sabrina De Bastiani
Traduzione di Milena Depanis
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