Intervista a Igor De Amicis




A tu per tu con l’autore


A tu per tu con una bella intervista dal vivo ad Igor De Amicis, curata da Marianna Di Felice che ha avuto il piacere di fare da relatrice alla presentazione del suo romanzo La settima lapide, recensito per Thrillernord.

Forse molti pensano che in un thriller ci sia poco di reale, vedendo film e serie tv che in certi casi ridicolizzano la realtà, il tuo invece è decisamente reale. Credi possa essere una scelta audace?


 

Io sono un appassionato lettore di thriller ne ho letti tantissimi, centinaia forse migliaia ormai oriento le mie letture verso autori europei  perché non banalizzano le storie, molti autori statunitensi forse guidati dalle fiction, dai film, da una certa serialità di scrittura arrivano a banalizzare alcune vicende.  In dei testi statunitensi  molto spesso i il serial killer diventa banale, come se campasse solo di questo  e a volte per cercare originalità, per cercare di creare un personaggio particolare,  viene reso ridicolo, mentre invece nel thriller europeo o nel poliziesco europeo, penso a Fred Vargas, penso al commissario Wallander, i personaggi e le storie sono più reali, più concrete. Il poliziotto non è un supereroe che risolve tutto, è una persona complessa. Il cattivo, il killer, il criminale non è il male assoluto, è una persona sicuramente malvagia, ma è una persona sfaccettata sotto più punti di vista, è una persona che ha anche un suo lato “positivo”, anche un suo lato umano. E il mio thriller  vuole porsi nella stessa continuità del thriller europeo, vuole staccarsi un po’ da quello che sono certi altri romanzi . Essendo un autore italiano che scrive di criminalità ho tanti spunti quindi perché inventarmi un fantomatico serial killer assurdo e poco credibile quando in Italia, purtroppo, abbiamo la criminalità organizzata che da questo punto di vista spunti di storie e spunti di narrativi ne offre talmente tanti che secondo me è una miniera, ancora non esplorata bene, per uno scrittore?

Come si legge nella “storia” della Camorra, che ha origini addirittura medievali, prima i pisani per controllare i loro possedimenti nel cagliaritano e poi gli aragonesi, usavano gente proveniente da bassi strati della società napoletana, riunite in clan, che facevano affari attraverso vari protettorati, gabelle, gioco d’azzardo e tangenti. Erano dei mercenari di alti ceti sociale e abusavano del  loro potere sul popolo. Si davano arie nobili ma chi sono davvero i componenti delle organizzazioni criminali?



Questa storia delle origini nobili delle organizzazioni criminali è del tutto falsa, se la sono inventata loro per darsi un’aura di importanza.  Sono criminali puri e semplici! Addirittura alcuni cantanti neomelodici napoletani hanno cantato canzoni sulle loro radici, ma non hanno nessuna origine nobile sono solo dei criminali il cui obiettivo è il guadagno illecito e lo perseguono con qualsiasi mezzo. Non hanno onore, loro spesso si ammantano di un codice d’onore che è ridicolo, che è solo fumo.  C’è tutta una leggenda su camorra, mafia e ‘ndrangheta ma è tutto falso. La leggenda parla di tre mercanti che erano naufragati e che in tre andavano a fondare le tre organizzazioni criminali, ma questo non ha nessun riferimento reale storico, è solo una favoletta che loro stanno raccontando e che qualcuno per loro ha raccontato.

Domanda classica per un Commissario Capo della Penitenziaria: la realtà con la quale ti confronti ogni giorno ha ispirato la trama del romanzo e anche i suoi personaggi?

Ovviamente non posso scindere completamente  il mio lavoro di scrittore con il mio lavoro di Commissario Capo della Penitenziaria e viceversa. Naturalmente la storia è del tutto inventata, i personaggi non sono mai esistiti tranne uno, ma lo sfondo in cui si svolge la vicenda ha molti punti di attinenza con la realtà. Quando descrivo il carcere molti miei colleghi, ad esempio, ritroveranno molte cose che hanno vissuto in questi anni o che vivono attualmente. Anche certe dinamiche tra detenuti  quando questi  mostrano una forma di rispetto verso il detenuto anziano e lo chiamano “zio” non è perché è davvero un parente ma lo chiamano così perché è una forma di sottomissione rispetto al detenuto che ha un profilo criminale più elevato di loro. Certi eventi  che capitano nelle sezioni  sono quelle che effettivamente si verificano.  Invece l’ide delle sette lapidi con i nomi di persone ancora vive è nata da un fatto di cronaca che lo letto qualche anno fa, di un paese  dove ci fu un errore in una ditta di pompe funebri.  Pubblicarono sui giornali la notizia della morte e crearono una lapide che fu portata al cimitero, con il nome di un signore che invece era vivo ed era in vacanza con la moglie. Questa notizia divertente si è  unita alla mente criminale ed ha creato un thriller.

Perché i camorristi si danno un epiteto  religioso? Ad esempio ‘o Cardinale oppure aggiungono il Don davanti al loro nome?



Perché molti hanno la fissa della religione che è una contraddizione. Entrando in molte celle si trovano foto di Madonne o di Santi. E’ una religiosità puramente di facciata. Nel libro c’è il personaggio di Peppe ‘o Cardinale che si fa chiamare così e si atteggia a devoto solo perché sa che in questo modo ha potere sul popolino. E’ una dimostrazione di potere per una richiesta di sottomissione.  Ad esempio fanno vedere che la processione della Madonna si ferma sotto casa del criminale e tutto il popolino in questo modo  vede! Si ferma lì perché il criminale ha fatto un’offerta ed è il Don di turno. Non è vera religione ma una manifestazione, una detenzione e una richiesta di potere.

Visto che molti si improvvisano scrittori e il mercato magari subisce delle crisi causando la perdita di stima da parte dei cosiddetti “lettori forti” nei confronti di case editrici , medie o grandi, o verso il mercato del libro in generale nel caso di auto pubblicazioni, per scrivere un libro quanta lettura serve e quanta esperienza?




Io sono dell’idea che nessuno può neanche pensare di fare lo scrittore se non è un fortissimo lettore.  Occorre tanta lettura e occorre lavorare tanto sulla scrittura.
Questo è il mio primo thriller ma son dieci anni che scrivo. Son tre o quattro anni che scrivo romanzi per ragazzi con mia moglie e dieci anni che scrivo racconti di tutti i generi pubblicati anche da case editrici come Mondadori, Rizzoli e tradotti all’estero. Scrivere un racconto è come costruire una capanna, tutti, più o meno, siamo capaci ma più la lunghezza del racconto si protrae e più da una capanna passiamo a costruire una baracca o una casa o un palazzo. Scrivere un libro di 416 pagine è una situazione abbastanza impegnativa perché la costruzione della trama è complessa inoltre nel caso de La settima lapide, il libro è un po’ articolato nella realizzazione e quindi ha richiesto parecchio lavoro sulla storia per far combaciare tutti i pezzi. Ci sono tante tecniche particolari sulla scrittura ad esempio quelle che vengono chiamate le “arringhe rosse” che sono dei piccoli indizi che lo scrittore distribuisce all’interno della storia e che devono trovare senso nel finale della stessa. Alla fine del libro il lettore dovrà tirare tutti i fili e le porte si dovranno chiudere. Quando il lettore arriva a leggere il colpo di scena finale deve ricollegare i vari input dati precedentemente nella storia. Si devono dare tutti gli elementi affinché chi si dedica alla lettura possa risolvere il caso, rendendola però il più difficile possibile.

Di solito nei normali thriller si chiede se l’autore si affeziona a un personaggio, nel tuo caso c’è un personaggio preferito o al quale sei legato e perché?




Io mi sono affezionato all’ispettore Lopresti è uno degli inquirenti, uno della squadra messa su dalla Questura per indagare su questi omicidi seriali. Perché questi sette nomi incisi sulla pietra delle lapidi corrispondono a persone che iniziano a morire una dopo l’altra. Michele Vigilante è una di questi sette è appena uscito dal carcere e scapperà volutamente alla ricerca di qualcuno. Gli inquirenti cercano di indagare ma saranno sempre un passo indietro. Io mi sono affezionato a questo ispettore perché fa di tutto e mette in gioco se stesso anche per riscattarsi da un passato un po’ particolare per andare contro quello che a Napoli hanno ormai chiamato ‘o Schiattamuort o il Becchino che sta diventando l’idolo di alcuni quartieri di Napoli visto che è imprendibile e sta uccidendo dei capoclan.

Quanto è difficile passare dallo scrivere libri per ragazzi a scrivere thriller?

Personalmente non trovo una grande difficoltà  si tratta solo di calibrare registro, linguaggio e passo narrativo. Le storie rimangono storie.  Anzi, ad essere sinceri la scrittura per ragazzi mi ha insegnato molto, perché loro sono un pubblico molto esigente che non tollera rallentamenti di ritmo o passaggi a vuoto della trama. Un libro noioso nelle loro mani viene chiuso senza pietà. Confrontarmi con i ragazzi mi ha fatto imparare tanto sulla scrittura, tanti accorgimenti che hanno fatto migliorare il mio scrivere per adulti e spero continuino a insegnarmi ancora molto.

Hai mai letto un thriller nordico? Che ne pensi delle loro trame?




Ne ho letti decine, dalla saga  Millenium di Stig Larsonn al commissario Wallander di Henning Mankell, ne ho letti tantissimi sia di belli che di meno belli. Le trame sono molto intriganti e mi piacciono perché hanno un ritmo più lento, più languido, forse anche più triste, più malinconico di un libro all’americana.

C’è un autore preferito che segui con entusiasmo?



Henning Mankell.

Igor De Amicis

Marianna Di Felice

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