Intervista alla traduttrice : ROBERTA MARASCO




A tu per tu con il traduttore

Roberta Marasco, milanese, vive e lavora in Spagna, in un paesino affacciato sul mare. Fa la traduttrice da molti anni ma, di recente, è diventata anche scrittrice. Gestisce un blog, Rosapercaso, in cui parla delle sue emozioni di donna e di molto altro. Segni particolari? Adora il tè!
 

 
 

1) Come si diventa traduttore? O meglio, come lo sei diventata tu? Quali difficoltà hai dovuto superare per riuscire ad affermarti in questo campo? 

Io ho cominciato come correttrice di bozze, diversi anni fa. Poi ho iniziato a occuparmi di editing e delle revisioni delle traduzioni altrui. Ho imparato così, correggendo il lavoro degli altri e leggendo molto, moltissimo, in inglese. È stato fondamentale. Non so se posso dire di essermi affermata, ma la difficoltà principale per me è la gestione del tempo. I lavori di traduzione sono lunghi e ti costringono a pianificare bene gli impegni di lavoro, per decidere quali e quanti accettarne. E non è sempre facile. Così si rischia di restare senza lavoro o di sovrapporre due libri diversi.

 
 
2) Quali sono, secondo te, i traduttori italiani “storici”, che hanno fatto scuola, da cui c’è sempre qualcosa da imparare?

Confesso, quando leggo un libro metto a tacere la traduttrice che c’è in me. O almeno ci provo, perché ogni tanto fa capolino e mi rovina il piacere della lettura. Fra i traduttori con cui ho lavorato, però, una persona da cui ho imparato molto è Angela Ragusa. Le sue traduzioni mi hanno insegnato a cercare il giusto equilibrio fra il proprio stile personale, che comunque non può e non deve essere messo a tacere, e il rispetto per il gusto e lo stile dell’autore. Un’altra traduttrice, un’amica, che mi ha dato un consiglio prezioso è Olivia Crosio. Lei dice sempre che bisogna rispettare il tono e l’intenzione del testo originale, e mi è capitato spesso di ripensarci quando non sapevo come risolvere qualche frase più problematica delle altre.

 
 
3) Le tue traduzioni spaziano dallo young adult, al thriller, alla narrativa. In quale genere ti ritrovi di più? E in quale, invece, ti senti più in difficoltà?

Nei romanzi “al femminile” mi sento più a casa, in un certo senso, perché conosco meglio le strategie del genere e ne ho letti di più. Ma ho imparato di più dai thriller. A mettermi maggiormente in difficoltà sono i libri per ragazzi, che ti obbligano a far lavorare la fantasia e che sono forse le traduzioni più creative, quindi anche quelle che ti danno più soddisfazione. Nei thriller l’ostacolo di solito arriva dai termini legali, che fanno riferimento a un sistema giudiziario diverso e per i quali quindi non esiste un termine equivalente preciso, non sempre almeno.

 
 
4) Ti capita di consultarti con gli autori dei libri che traduci, per capire meglio? Vuoi raccontarci qualche episodio particolare?

Non mi è mai capitato. Quando ho qualche perplessità o qualche dubbio, di solito li segnalo all’editor della casa editrice e lascio che siano loro a decidere se contattare direttamente l’autore oppure no. Fra gli aneddoti, ho apprezzato molto quando un autore spagnolo, Jorge Díaz, mi scrisse per ringraziarmi per aver tradotto il suo libro, La collezionista di lettere. Con Robert Dugoni invece non ho resistito e sono stata io a scrivergli, via Facebook, per dirgli quanto ero felice di tradurre i suoi libri. Ho imparato molto da lui e dalle sue tecniche narrative. L’unica autrice che ho avuto la fortuna di conoscere di persona è stata Kristan Higgins, a un incontro organizzato dalla casa editrice nell’ambito di Bookcity, se non ricordo male, ed è stato davvero emozionante. Sarei rimasta a parlare con lei per ore.

 
 
5) Quale autore italiano vedresti bene nelle librerie americane / inglesi (e, visto che vivi in Spagna, anche spagnole)?

Tutti. Quelli che amo di più, ma anche quelli che non ho amato particolarmente. Sarebbe bellissimo “invadere” le librerie dei paesi stranieri, così come le nostre sono “invase” dai romanzi americani e inglesi. Mi ha reso orgogliosa vedere L’amica geniale in testa alle classifiche all’estero e credo che i nostri romanzi possano contribuire anche a smontare tanti stereotipi sugli italiani che – e lo dico da italiana all’estero – restano tuttora più vivi che mai, purtroppo.

 
 
6) Sei d’accordo con questa affermazione di Claudio Magris sul lavoro del traduttore “Bisogna essere capaci di piccole infedeltà materiali per raggiungere una fedeltà più profonda”? ti sei scontrata con qualche parola, frase, modo di dire “intraducibile” in italiano?

Sempre. Credo di non aver tradotto un solo libro senza essermi trovata davanti qualcosa di intraducibile. Che si tratti di modi di dire, di giochi di parole o di sfumature perdute. Nel lavoro del traduttore l’infedeltà è inevitabile e necessaria, ed è proprio trovare quell’equilibrio quasi impossibile, fra fedeltà e infedeltà, la parte più difficile. Quando si traduce si instaura un legame con il testo molto diverso da quello che ha l’autore. Sotto certi aspetti, un traduttore conosce un romanzo perfino meglio di chi l’ha scritto, perché nota il ricorrere di certe aree semantiche, per esempio, l’uso frequente di un determinato verbo o di una determinata espressione, di cui magari chi scrive non si accorge e non tiene conto. Capita di scovare errori sfuggiti all’autore e all’editing, e a mano a mano che si avanza nella traduzione, si entra sempre più in sintonia con il linguaggio dell’autore, con tutte le sfumature di significato che nasconde. Ed è questa confidenza che ti permette, anzi ti impone, di saltare ogni tanto il significato letterale per andare dritta alle intenzioni, rispettando lo stile e il tono dell’originale.

 
 
7) Sei anche una scrittrice: vuoi parlarci del tuo romanzo “Le regole del tè e dell’amore” (tre60) e di come è avvenuto questo ‘salto’?

Il “salto” credo fosse abbastanza inevitabile. Dopo aver lavorato fra le storie per anni, a un certo punto si sente il bisogno di provare a inventarne una. Tradurre per un lettore è un po’ come smontare il proprio giocattolo preferito per vedere come funziona. Si perde una parte della magia, ma si impara molto. Ogni libro che ho tradotto mi ha insegnato qualcosa che poi mi è servito come scrittrice. “Le regole del tè e dell’amore” racconta la storia di Elisa, del suo amore per il tè e di come questo ha segnato fin da sempre la sua vita familiare e la sua idea dell’amore. È una storia di sentimenti, ma dopo aver tradotto tanti thriller non potevo fare a meno di nascondervi anche un piccolo mistero!

 
 
8) Sei italiana, traduci dall’inglese e vivi in Spagna… dove ti senti più a casa?

La casa è il posto in cui si desidera tornare, ho scoperto, non necessariamente quello in cui si abita o si vorrebbe abitare. Per me resta Milano, anche se non sono sicura che potrei tornare a viverci. Ora sono in un piccolo paese sul mare e il mare quando ci convivi a lungo finisce per definirti, per diventare uno spazio dell’anima, un modo di guardare alla vita. Se ti abitui ad avere l’orizzonte come punto di riferimento, poi non riesci più a rinunciarvi tanto facilmente.

 
 
9) Hai un blog, “Rosapercaso”; ce ne vuoi parlare?

Rosapercaso è il blog in cui parlo di me, ma soprattutto parlo di “femminismo rosa”, un femminismo che parta dai sentimenti, dalla capacità di emozionarsi, di concedersi momenti di ozio puro, senza sentirsi obbligate a mostrarsi sempre impegnate o a essere un modello. Credo che il rosa e il femminismo siano molto più vicini di quanto sembri. Che il femminismo abbia bisogno del rosa, per arrivare più lontano e coinvolgere sempre più persone senza farle sentire inadeguate, e che il rosa abbia bisogno del femminismo, per evitare derive pericolose come quelle verso la sottomissione o l’umiliazione proposte come forme d’amore incondizionato. E soprattutto credo che il rosa, almeno quello intelligente, insegni la strada verso la felicità e quindi sia un punto di partenza perfetto per combattere le proprie battaglie.

 
 
10) Hai qualche nuovo progetto in ballo (letterario o meno)?

Sto scrivendo un nuovo romanzo, ma preferisco non svelare nulla perché ogni volta che l’ho fatto poi ho cambiato idea! Forse se riesco a tenere la bocca chiusa per una volta riuscirò anche finalmente a finirlo. Almeno spero. 🙂

 
 
11) Ti piacciono gli autori nordici? Quale libro hai sul comodino?

Confesso di non conoscerli molto. Ho letto e amato molto Jo Nesbø, ma poco di più. Il mio libro sul comodino ora è Le stanze dei ricordi, di Jenny Eclair, che ho comprato per caso e che è stato una sorpresa meravigliosa.

Intervista a cura di Maria Sole Bramanti

 

Tradotti da Roberta Marasco su thrillernord:
 
Di Andrew Peterson:

Il primo da uccidere