Recensione di Sabrina De Bastiani
Autore: Flavio Villani
Editore: Neri Pozza
Collana: I Neri
Anno edizione: 2021
Pagine: 256
Sinossi. Un libro intenso, che indaga personaggi capaci di lasciarci addosso anche il ritmo del loro respiro.
«Se nessuno crede alla caduta» fece Andrea, «allora cosa è successo?» Era strano, ma ci voleva coraggio a dirlo, a rendere reale un brutto pensiero: «Qualcuno l’ha ammazzato di botte».
Le parole rimasero sospese nell’aria per qualche istante, poi la loro pesantezza le portò a terra con uno schianto. Questo romanzo ha la scrittura tenue delle lampadine da poche candele che si utilizzavano negli anni Trenta. Dove il termine tenue vuole dire ombre, vaghe certezze, il mistero del silenzio quando la sera imbrunisce. È ambientato durante il fascismo, in un regime che in queste pagine è una seccatura, una parata inutile: per tutti, anche per i gerarchi in divisa. In un quadrilatero della vecchia Milano operaia, tra via Porpora e Lambrate, un uomo, un anarchico con il vizio dell’alcol, che si è perduto nonostante figli e famiglia, muore apparentemente per cause naturali. Ma per uno dei figli la versione ufficiale non regge. E comincia a indagare, aiutato dal fratello, da alcuni amici e da un meccanico ebreo. Ne esce un racconto che ha il giallo come pretesto ma che è la magistrale narrazione di un’epoca di mezze tinte, di espedienti e di furbizie, di antagonismi e di invidie, di opere d’arte importanti e collezionisti senza scrupoli, di opportunisti con la vocazione al fallimento, attratti dalla rovina come fosse una fosca forma di successo. Un mondo che sfocerà nel dramma della seconda guerra mondiale, ma senza clamori, come una fredda necessità della storia. Con lentezza, senza alzare la voce, con moderazione e misura, Flavio Villani si muove nella ruvidezza delle malinconie, descrivendo esistenze impaurite e ipocrite, senza valore e senza morale, che non ambiscono neppure alla forza, alla retorica della disperazione. La banda degli uomini è un libro intenso, che indaga personaggi capaci di lasciarci addosso anche il ritmo del loro respiro. E alla fine sapremo quello che è accaduto, ma soprattutto capiremo un po’ di più di ciò che siamo e avremmo potuto essere. Un libro sottile e godibile che non rinuncia mai a farsi letteratura.
Recensione
C’era una volta in America?
No, c’era una volta a Milano.
Una banda di uomini fatti e finiti. Non tutti. Qualcuno in divenire, qualcun’altro con un futuro ancora da giocarsi.
Padri, figli. Figli di sangue o di ideali a conquistarsi le giornate in un reiterato testa o croce con la vita e la morte.
Vide l’assoluta ironia che governa la vita, e di conseguenza la morte; sulla coda di quel pensiero ebbe l’impressione di non riuscire a trattenere una risata, ma era immobile e nessuno si accorse di nulla.
Una madre. Una giovane. Una donna usata, ma rimasta in piedi.
Un quadro, che ci mostra quanto l’arte sia opera, davvero, capace di trascendere miserie e meschinità.
Gli anni Trenta, il Fascismo, derivato e deriva.
Aveva preso a esplorare un mondo che avrebbe dovuto già conoscere, ma che sembrava scoprire solo adesso. Antico e nuovo al tempo stesso.
Un crocevia. Una partenza. Una stazione di quella Via Crucis che è la guerra, in essere e nelle macerie che lascia.
Il nuovo romanzo di Flavio Villani in poche parole non lo puoi dire.
E’ di quelli che ti siedono, ti fermano, avvolgendoti come in una nassa, e raccontandoti di vite che sono intarsi e sono incastri, deflagrate nella potenza di un incontro o di uno scontro. Del caso.
Eppure nulla è per caso.
Nessuna situazione o motivazione è fine a se stessa o ridondante.
Il filo del noir più stringente le rinsalda, le giustifica, dà loro sostanza, avvince, appassiona e commuove.
Poi sentì il primo fiocco di neve sulla pelle del viso. Si sorprese di sentire con precisione quel minuscolo punto di gelo su pochi millimetri quadrati di pelle. Eppure, era tutto così chiaro, tutto così perfettamente definito. Ebbe l’impressione che il mondo potesse essere racchiuso in quel minuscolo pezzo di ghiaccio. Che la verità non avesse dimensioni maggiori di quei pochi millimetri quadrati.
Invita a sedersi, questo romanzo. Ma alla parola fine, allora sì, non ci si può che alzare in piedi. Metaforicamente e di fatto.
D’altronde, C’era una volta in America, di Sergio Leone, è stato definito uno dei più bei film di sempre.
Qui siamo a Milano e questo è un libro. È vero.
Le differenze si fermano, però, praticamente qui.
Flavio Villani
Flavio Villani è nato a Milano nel 1962. Neurologo, ha lavorato negli Stati Uniti come ricercatore nel settore della neurofisiologia. Come scrittore ha esordito con L’ordine di Babele (Laurana, 2013), seguito dal poliziesco Il nome del padre (Neri Pozza, 2017), con protagonista il viceispettore Cavallo. Nel 2018 Villani ha pubblicato un secondo romanzo giallo, dal titolo Nel peggiore dei modi (Neri Pozza).
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