La collera della Regina




Recensione di Valentina Cavo


Autore: Nicola Testa

Editore: Damster

Genere: Giallo

Pagine: 201

Anno di pubblicazione: 2020

 

 

 

 

 

Sinossi. Sono quasi mille anni che la misteriosa “Regina” inquieta le mura dell’abbazia di Lucedio, persa tra le risaie che guardano le colline del Monferrato. Dieci anni fa Giovanni Lantero, Professore di Storia medievale dell’università di Vercelli, tentò senza successo di dissipare la nebbia di segreti che da sempre la circondano. Proprio in quel periodo una ragazzaveniva uccisa alla base del campanile dell’abbazia. E proprio lì il professore aveva piazzato la sua Nikon automatica per dare corpo alle sue teorie sulla Regina. Quando finalmente riceve le fotografie che allora gli vennero sequestrate dalla polizia, rimane sgomento. Quelle immagini hanno ritratto l’assassinio della ragazza. Cosa deve fare ora? Denunciare il colpevole alla Giustizia o scoperchiare il calderone che da troppo tempo tieni in caldo i segreti di quel posto maledetto?

 

 

 

Recensione

La collera della Regina è un giallo che ci fa immergere nelle leggende e nei misteri di abbazie, cimiteri e risaie. Un giallo che riporta un po’ di quel folklore che sembra ormai cosi lontano nel tempo ma che invece, anche oggi, è alla base della nostra storia e delle usanze delle nostre regioni.

Tutto ruota intorno al mistero della “regina”, nessuno sa chi o cosa sia in realtà ma tutti ne hanno un po’ paura e timore. E proprio per una ricerca chiesta agli studenti del professor Lantero noi piano piano ci faremo trasportare alla scoperta della verità sull’intera vicenda.

Nicola Testa ha una scrittura molto scorrevole e passa dalle descrizioni didascaliche dell’abbazia a una narrazione simile alla tradizione epistolare (come nella descrizione della vita dei vari personaggi) con estrema nonchalance, cosa che aiuta il lettore a comprendere al meglio i protagonisti della storia e ad illuminare con una luce brillante alcuni aspetti altrimenti più oscuri della vicenda. Insomma, non manca nulla: neanche momenti di concitazione, alternati  a diversivi comici e digressioni storiche.

Nel complesso è un giallo che merita di essere letto anche solo per assaporare un po’ di quella storia antica ormai dimenticata, per riscoprire una parte delle nostre radici.

 


INTERVISTA  

La prima domanda che mi è venuta in mente leggendo il tuo romanzo è stata se tu hai fatto ricerche sul territorio per scrivere questo libro. Raccontaci come hai deciso di usare una leggenda alla base di questo bel giallo e se è vera.

Beh, sì, la fase di ricerca è stata importante, senza dubbio. Ho visitato diverse volte i luoghi in cui si svolgono le vicende: l’abbazia di Lucedio, il cimitero di Darola, le centrali termoelettriche e atomiche del territorio, i boschetti e le risaie, i fossi. Già conoscevo il fascino delabré del centro di Vercelli (città d’arte, sia detto). Poi ho dovuto approfondire la moltitudine di leggende che circondano l’abbazia, scremando e mescolando, fino a distillare quello che sarebbe stato il cuore del romanzo: una leggenda (vera, se le leggende possono essere vere) che in qualche modo spiegasse tutta la ridda di dicerie e miti noir cresciuti nei secoli intorno a Lucedio. Un’altra (finta, se le leggende possono essere finte) che servisse a coprire un delitto. E poi, man mano si rendeva chiaro che una parte delle vicende si sarebbe svolta nei secoli bui del Medio Evo, una ricerca storica divenne necessaria. Per questo mi documentai con una serie saggi storici che riguardavano il territorio, uno su tutti “Terre d’acqua. I vercellesi all’epoca delle crociate” di Alessandro Barbero. Chi leggerà il romanzo si renderà conto che qualche traccia del noto storico/romanziere/divulgatore ha generato, per contrapposizione, uno dei protagonisti (tanto umbratile e rancoroso quanto è solare ed entusiasta l’originale).

 

 

Hai già in mente la trama per un nuovo libro e quali sono i tuoi progetti per il tuo futuro?

La risposta è no, non ho in mente una trama, e sì, sto già scrivendo il prossimo. Onestamente il lavoro continuo di revisione della trama che ha accompagnato le diverse stesure della collera della Regina mi ha un attimo devastato, dunque per il prossimo romanzo ho deciso di puntare su una narrazione basata sullo stile più che sul plot. Scrivo in modo incrementale, spingendo l’opera ogni giorno un passo avanti come se stessi vivendo le vicende in prima persona, qui e ora. A conti fatti, un modo per esorcizzare l’esperienza precedente senza dubbio.

 

 

Quali autori hanno dato il via alla tua passione per la scrittura?

Ci sono tanti autori che apprezzo, cambio gusti invecchiando e attualmente non mi riconosco in nessun genere in particolare. Direi che in ogni caso la passione per la scrittura non nasce dalla lettura, che ritengo una cosa a sé stante, piuttosto dal sentimento costante che il mondo sia “sbagliato”. Scrivere significa rimettere le cose a posto, almeno nella tua stanzetta nell’atto dello scrivere. Sostituire la Verità alla Realtà, un atto liberatorio.

 

 

Ti piace il genere del thriller nordico?

Il periodo nordico lo ebbi qualche anno fa. Quello che apprezzavo degli autori nordici era in particolare l’attenzione alla trama e, soprattutto, l’ambientazione, che spesso nei gialli nostrani latita. A proposito, trama e ambientazione sono anche il binomio su cui è basata la collera della Regina, ma nella mia testa scrivendolo non ho mai fatto esplicito riferimento al genere di thriller nordico. Scherzosamente definisco il genere del mio romanzo “fritto mystery alla piemontese” nel senso che utilizza diversi registri e di piemontese, oltre all’ambientazione, ha la costante attitudine all’understatement. Mai esagerare: mica si tratterà di salvare il mondo, al massimo mezza pianura padana… Per quello nel testo ho aggiunto delle note digestive: perché il fritto misto è gustoso, si sa, ma digerirlo è un’altra storia.

 

 

 

 

Nicola Testa


Nicola Testa. Dopo una breve parentesi come soldato/cantoniere e la pratica da ingegnere edile, si reinventa consulente informatico e finisce a lavorare perla classica banca svizzera. Gli manca di fare il farmacista – ma la cosa non è esclusa – e l’astronauta (questo no: già patisce la guida della moglie, figuriamoci uno shuttle). A proposito di sogni di bambino non realizzati, a carnevale non ha mai indossato il costume da indiano ma una volta da farfalla, peraltro rompendo un’ala quasi subito. Scoperta tardivamente la passione per la scrittura, vi si dedica con puntiglio nel poco tempo a disposizione, ovvero dopo le dieci di sera, festivi esclusi. Gli amici gli riconoscono un certo salutare distacco dalle umane sorti e gli rimproverano una eccessiva lentezza. Lui risponde sostenendo senza fretta di essere in grado di cambiare idea in meno di un secondo.

 

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