Recensione di Sara Pisaneschi
Autore: Nadine Gordimer
Traduttore: Ettore Capriolo
Editore: Feltrinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 368
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Ambientata nel clima di feroce lotta politica del Sudafrica degli anni Settanta, la storia, ispirata alla vicenda di un famoso avvocato afrikaner costretto alla clandestinità per il suo impegno contro l’apartheid, segue il lento evolversi di Rosa Burger. La morte del padre – Lionel Burger, da sempre in lotta per la libertà dei neri – trasforma definitivamente Rosa nella “figlia Burger”. Attraverso la presa di coscienza di questa nuova identità, Rosa sarà costretta non solo a fare i conti con la sua vita privata, ma anche a modificare il rapporto con il suo paese.
Recensione
Il libro si apre con l’immagine di una ragazzina spaesata fuori da una prigione. È Rosa Burger. Aspetta che vengano aperte le porte per poter consegnare alcuni oggetti alla madre lì reclusa. Nessuna lacrima, nessuna scenata.
A guardarla meglio, sembra quasi orgogliosa di essere in mezzo alle altre persone in attesa. Forse non è neanche la prima volta. No, non lo è. Si può scegliere in che famiglia nascere? Mentre i suoi coetanei si perdevano dietro ad altri interessi, lei partecipava alle riunioni segrete del partito. Suo padre, Lionel Burger, è uno degli esponenti più importanti dell’anti–apartheid. La sua è una famiglia bianca Afrikaner che lotta per i diritti dei neri in Sudafrica, non importa a che prezzo. La loro casa è sempre aperta a tutti senza distinzione.
Questa è la sua vita, questo il suo destino. Fino a quando perde la madre per una grave malattia e fino a quando Lionel non viene arrestato per l’ennesima e ultima volta, incarcerato a vita. Rosa assiste al processo, va a trovare il padre in carcere, lo informa di quello che succede fuori con i piccoli espedienti che hanno escogitato nel corso degli anni.
Lei è parte integrante della lotta, lo è sempre stata. Nel frattempo Rosa cresce e vede spegnersi suo padre. Sempre più sofferente ed emaciato, morirà in prigione per una malattia (o ucciso?). Questo decreta l’inizio della sua vita adulta e l’inizio delle scelte vere e proprie, quelle da prendere in maniera autonoma, quelle che plasmano la vita e consentono di viverla al meglio.
Ma è proprio vero?
Lei è pur sempre la figlia di Burger, il martire, colui che si è immolato per la causa, non è compito di
Rosa portare avanti gli obiettivi del padre e ciò in cui credeva?
Tutti gli amici, i conoscenti, i compagni dei suoi genitori le si stringono attorno mentre lei non riesce a versare una sola lacrima. È quasi scontato che porti avanti il suo nome. Insomma, lei è la figlia di Burger, costi quel che costi.
Del resto non ha neanche un passaporto per andarsene. Le è stato negato perché lei è la superstite, la persona da controllare. Tutti hanno grandi aspettative su di lei, pesanti come macigni. Non è sicura di voler fare quella vita, vorrebbe conoscere il mondo e i suoi abitanti, innamorarsi magari. Si allontana da tutti cambiando case e lavori, ma la trovano, la trovano sempre. Scelte, è il momento delle scelte. E sceglie la propria libertà.
Di nascosto ottiene il passaporto che può aprirle una nuova vita, la vita che vuole e che si merita, quella in cui può essere Rosa e basta, e non soltanto la figlia di Lionel. Non è facile, si volta spesso indietro incerta sui passi da fare, fino all’episodio che sembra scuoterla nel profondo. Vede un asino maltrattato. Vede un uomo ubriaco di colore che frusta a sangue la povera bestia. Lì si ferma inorridita e tremante, le appare tutto chiaro.
“Lasciai che picchiasse l’asino. L’uomo era un nero. Di conseguenza una sorta di vanità pesò più dei sentimenti; non sopportavo di vedere me stessa – in lei – Rose Burger – uno di quei bianchi che si preoccupano più degli animali che delle persone. Da quando sono libera, sono anche libera di diventare così”. Rose ha deciso:“Dopo l’asino non potei più fermarmi. Io non so come vivere nel paese di Lionel.”
Forse è l’Europa il posto giusto per lei, il luogo dove voltare pagina e ricominciare?
In Francia tutti sembrano vivere senza aspettarsi niente da nessuno, tutti vivono come vogliono e come meglio credono.
“ Qui non devi mai cominciare da capo… No, è troppo faticoso. Quello che qui mi piace è che nessuno si aspetta che tu sia più di quello che sei, capisci?”
In effetti Rosa vive e si innamora, sogna. Ma anche in Europa il suo cognome la raggiunge. In Inghilterra sanno chi è Lionel, e sanno cosa ha fatto. È un’icona ai loro occhi, è il sogno da cui sono stati svegliati, il sogno di vedere la giustizia finalmente fare il suo corso. Sono i giorni della sommossa di Soweto del 1976. Centinaia di morti tra chi lotta contro il governo della segregazione razziale.
Con pochi tentennamenti Rosa torna a casa. Lei è la figlia di Burger, consapevole di esserlo. Ora lo sa.
Non è stato un libro di facilissima lettura, per me. Ho dovuto approfondire alcuni argomenti che conoscevo in modo un po’ superficiale e i lunghi discorsi politici, a volte, hanno notevolmente rallentato la mia lettura.
Volevo capire tutto, dovevo capire tutto. Mi ha disorientato, in un primo momento, il passaggio quasi repentino dalla prima alla terza persona adottato dall’autrice.
Immagino sia stato un espediente letterario per avvicinare di più il lettore. Ma devo dire che ne è valsa la pena, più ci penso e più me ne convinco. È un libro importante, scritto da una donna molto coraggiosa, lucida e sensibile. Un libro che appena uscito è stato proibito dal Governo sudafricano. Ora so perché. E ora capisco il perché del Nobel assegnatole nel 1991.
Nadine Gordimer
Scrittrice sudafricana, autrice di romanzi e saggi, vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991, si legge nella motivazione della giuria, «esser stata di enorme beneficio all’umanità grazie alla sua scrittura magnifica».Nel gennaio 2007 le viene assegnato il Premio Grinzane Cavour per la Lettura e ricopre la carica di Goodwill Ambassador of the United Nations. Figlia di un ebreo russo e di una ebrea inglese, ha dedicato la propria vita tanto alla letteratura quanto alla lotta contro l’apartheid. Con la sua opera, spesso bandita in patria, e con un’ininterrotta attività culturale, sociale e politica, ha rappresentato una vigile presenza critica all’interno del suo sofferente paese. Tra i suoi libri: L’aggancio, Un’arma in casa, Occasione d’amore, Un ospite d’onore, Nessuno al mio fianco, Storia di mio figlio. Nel 2012 Feltrinelli pubblica Ora o mai più. I Racconti di una vita (con la casa editrice torinese la scrittrice pubblicherà tutti i suoi libri in Italia) sono stati l’ultima opera di Nadine Gordimer arrivata in Italia: storie inedite e toccanti, lunghe diversi decenni, dagli anni 50 agli Anni Zero, che hanno raccontato ai suoi lettori le crepe, ma anche le tenui speranze, del Sudafrica. L’esordio, invece, oltre sessant’anni fa: era il 1953 quando la Gordimer pubblicò in patria I giorni della menzogna, romanzo di formazione (e molto autobiografico) di una giovane donna bianca in una paese lacerato dai colori della pelle.
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