Sabrina Zuccato
Editore: Marsilio
Genere: Narrativa
Pagine: 400
Anno edizione: 2024
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Sinossi. Zsigmond Danielovitz, incaricato di indagare sul cadavere di un’anziana contadina, è un uomo indebolito dalla guerra, ma vigile. E così ci mette poco a scorgere, dietro gli occhi degli abitanti di Nagyrév, qualcosa di sinistro. Nagyrév è un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, l’anno è il 1929 e il benessere, in quella ristretta comunità rurale, non arriva. Zsigmond Danielovitz si rende presto conto che la morte della donna sulle sponde del fiume Tibisco non è che l’anello di una lunga catena di scomparse e incidenti che da tempo coinvolgono il piccolo villaggio. “La levatrice di Nagyrév” racconta un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei ruoli: le donne uccidono gli uomini, si vendicano. Superstizione, violenze, miseria e soprusi sono i protagonisti delle vite che si incrociano in questo affresco rurale, dove a fare le spese di appetiti e frustrazioni sono sempre le donne. Le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano creano situazioni insostenibili e sofferenze ingiustificabili per mogli e figlie, anziane e ragazze. Personaggio chiave, intorno al quale girano le storie di Nagyrév, è la misteriosa Zsuzsanna, levatrice dal passato fumoso, spesso etichettata come «strega» dai suoi concittadini, temuta e, ogni tanto, rispettata, una figura carismatica, rarissimo esempio di donna emancipata, cui molte «sorelle» chiedono aiuto per risolvere i guai che hanno dentro casa: gravate da inganni, stupri e sottomissioni, le vittime hanno deciso di alzare la testa. Gli avvenimenti che ebbero luogo a Nagyrév, mostrando gli orrori di cui è capace la vita domestica e le forme di resistenza alle sopraffazioni di genere, possono essere una finestra utile, e dolorosa, per capire il presente.
Recensione di Giulia Manna
La levatrice di Nagyrév racconta un fatto di cronaca realmente accaduto tra la prima e la seconda guerra mondiale, un episodio che sconvolse l’Europa per la violenza dei crimini e per il capovolgimento dei ruoli: donne che uccidono gli uomini. Donne che osavano vendicarsi.
Storia di superstizione, miseria, ignoranza, soprusi e violenza dove a far le spese delle frustrazioni degli uomini sono sempre le donne. Maria è soprannominata “la donna dei cento stalloni”, Anna è detta “la lurida” e Zsuzsanna la levatrice viene considerata una strega. La loro vita si incrocia con quella di altre donne, come Klaudia, Krisztina, Katalin, Rozalia, Lidia e Mihàli Kardos.
Infine, c’è Zsigmond Danielovitz, colui che deve indagare su un cadavere ritrovato nel Tibisco e che, facendolo, trova l’elemento che accomuna le donne della nostra storia.
Avrete sicuramente capito che si tratta di un romanzo al femminile. Avviso che a tratti è abbastanza crudo, quindi non adatto ai giovanissimi.
Con questo libro, l’autrice è riuscita a raccontare tante storie di donne e di soprusi molto diversi tra loro senza renderlo un minestrone. Ciò è possibile solo grazie a una buona penna e a un’ottima capacità di raccontare una storia. Quindi, complimenti all’autrice.
Le tombe di Nagyrév sono rimaste in silenzio per più di un decennio, ma adesso finalmente parleranno rivelando i loro orribili segreti e le vittime si vendicheranno degli assassini.
Buona lettura.
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Sabrina Zuccato
(Padova, 1992) è giornalista pubblicista e si occupa prevalentemente di cultura, critica cinematografica e attualità. Con esperienza pluriennale presso set cinematografici, svolge inoltre l’attività di videomaker e reporter.