Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Georges Simenon
Traduzione di Simona Mambrini
Editore: Adelphi
Pagine: 172
Genere: Giallo/Psicologico
Anno di pubblicazione: 2021
Edizione originale: 1968
Sinossi. Se Donald Dodd ha sposato Isabel anziché, come il suo amico Ray, una di quelle donne che fanno «pensare a un letto», se vive a Brentwood, Connecticut, anziché a New York, è perché ha sempre voluto che le cose, attorno a lui, «fossero solide, ordinate». Isabel è dolce, serena, indulgente, e in diciassette anni non gli ha mai rivolto un rimprovero. Eppure basta uno sguardo a fargli capire che lei intuisce, e non di rado disapprova, le sue azioni – perfino i suoi pensieri. Forse Isabel intuisce anche che gli capita di desiderarle, le donne di quel genere, «al punto da stringere i pugni per la rabbia». E quando, una notte che è ospite da loro, Ray scompare durante una terribile bufera di neve e Donald, che è andato a cercarlo, torna annunciando a lei e a Mona, la moglie dell’amico, di non essere riuscito a trovarlo, le ci vuole poco a intuire che mente, e a scoprire, poi, che in realtà è rimasto tutto il tempo nel fienile, a fumare una sigaretta dopo l’altra: perché era sbronzo, perché è vile – e perché cova un odio purissimo per quelli che al pari di Ray hanno avuto dalla vita ciò che a lui è stato negato. Isabel non dirà niente neanche quando Ray verrà trovato cadavere: si limiterà, ancora una volta, a rivolgere al marito uno di quei suoi sguardi acuminati e pieni di indulgenza. Né gli impedirà, pur non ignorando quanto sia attratto da Mona, di occuparsi, in veste di avvocato, della successione di Ray, e di far visita alla vedova più spesso del necessario. Ma Donald comincerà a non sopportare più quello sguardo che, giorno dopo giorno, lo spia, lo giudica – e quasi lo sbeffeggia. L’ultimo romanzo “americano” di Simenon – che, dopo averlo terminato, si dichiarò lui stesso turbato dalla crudeltà della vicenda.
Recensione
La curiosità e gli occhi: questi gli elementi cardine del breve (ma intenso) romanzo “americano” di Georges Simenon.
La curiosità di scavare nell’animo e nella vita altrui fino alla morbosità, alla sovrapposizione, alla sostituzione, gli occhi che comunicano – sospetto, desiderio, pena, la stessa curiosità – e che interrogano senza parole, pupille e iridi più pungenti di pugnali, più penetranti di pallottole.
E poi c’è quella mano: l’invito affusolato, vellutato, ad assaporare l’esistenza dei sogni, messa da parte in nome della stabilità, dell’ordine, della comodità; il palmo che può dare l’ultima spinta e fare la differenza tra la terra e il dirupo; la corda sempre tesa a cui aggrapparsi per trovare ogni volta l’equilibrio, ma che negli anni si trasforma in un cappio, per quanto soffice e di eccellente fattura; il gesto distratto di chi ormai non ha più nulla da dire, il saluto di chi è già lontano con le miglia e i pensieri, la stretta che sancisce patti e scioglie vincoli.
Don – il “povero Donald”! – avvocato quarantacinquenne, marito della quieta, pacata, Isabel – che “non fa mai pensare a una camera da letto”, ma agli occhi degli altri è perfetta – e padre di due figlie in collegio, in una notte di tormenta comprende e accetta le regole di un gioco nuovo e da quel momento tutto cambia: basta compiere una scelta, fare un passo e il velo si straccia, le apparenze si sciolgono e vedere – e lasciarsi vedere – davvero è inevitabile. Nessuna morale, nessuna paura, nessuna possibilità di tornare indietro.
Ma Donald Dodd, protagonista e voce narrante, non ha fatto i conti con l’altra faccia della luna: la curiosità tinta d’invidia può sgorgare da fonti inaspettate e sortire effetti devastanti, gli occhi colgono ogni movimento, ogni minima variazione e il movimento di una mano può dare il via a un terribile domino di sciocchezze e dannazione.
La mano di Simenon ha l’eleganza e l’attualità sempre fresca, intramontabile, del giallo classico, l’amarezza del noir e lo spirito crudo dell’hard-boiled, ma è soprattutto un flusso di coscienza gravido di non detti e di contraddizioni, un dramma umano, un viaggio in una psicologia contorta che inquieta, che implacabile e impietoso ci afferra alla nuca e ci pone davanti a uno specchio in cui potrebbe riflettersi chiunque, anche noi.
A cura di Francesca Mogavero
Georges Simenon
Georges Simenon, romanziere francese di origine belga. La sua vastissima produzione (circa 500 romanzi) occupa un posto di primo piano nella narrativa europea. Grande importanza ha poi all’interno del genere poliziesco, grazie soprattutto al celebre personaggio del commissario Maigret. Nel 1919 entra come cronista alla «Gazette de Liège», dove rimane per oltre tre anni firmando con lo pseudonimo di Georges Sim. Contemporaneamente collabora con altre riviste e all’età di diciotto anni pubblica il suo primo romanzo. Dopo la morte del padre, nel 1922, si trasferisce a Parigi dove inizia a scrivere utilizzando vari pseudonimi; già nel 1923 collabora con una serie di riviste pubblicando racconti settimanali: la sua produzione è notevole e nell’arco di 3 anni scrive oltre 750 racconti. Intraprende poi la strada del romanzo popolare e tra il 1925 e il 1930 pubblica oltre 170 romanzi sotto vari pseudonimi e con vari editori: anni di apprendistato prima di dedicarsi a una letteratura di maggior impegno. Nel 1929, in una serie di novelle scritte per la rivista «Détective», appare per la prima volta il personaggio del Commissario Maigret. Nel 1931, si avvicina al mondo del cinema: Jean Renoir e Jean Tarrideproducono i primi due film tratti da sue opere. Nel 1940 si trasferisce a Fontenay-le-Comte in Vandea: durante la guerra si occupa dell’assistenza dei rifugiati belgi e intrattiene una lunga corrispondenza con André Gide. A causa di un’errata diagnosi medica, Simenon si convince di essere gravemente malato e scrive, come testamento, le sue memorie, dedicate al figlio Marc e raccolte nel romanzo autobiografico Pedigree. Accuse di collaborazionismo, poi rivelatesi infondate, lo inducono a trasferirsi negli Stati Uniti, dove conosce Denyse Ouimet che diventerà sua seconda moglie e madre di suoi tre figli. Torna in Europa negli anni Cinquanta, prima in Costa azzurra e poi in Svizzera, a Epalinges nei dintorni di Losanna. Nel 1972 lo scrittore annuncia che non avrebbe mai più scritto, e infatti inizia l’epoca dei dettati: Simenon registra su nastri magnetici le parole che aveva deciso di non scrivere più. Nel 1980 Simenon rompe la promessa fatta otto anni prima e scrive di suo pugno il romanzo autobiografico Memorie intime, dedicato alla figlia morta suicida. Georges Simenon muore a Losanna per un tumore al cervello nel 1989.
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