Recensione di Francesca Marchesani
Autore: Gwen Florio
Editore: Nord
Traduzione: Barbara Cinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 370
Pubblicazione: Gennaio 2020
Sinossi. Liv è stanca. Della sua vita monotona e delle costanti infedeltà del marito, un esperto di storia e politica dell’Asia centrale che ha visto la sua carriera evaporare nel disinteresse. Dopo l’11 settembre, però, i suoi studi tornano alla ribalta e gli viene offerto di dirigere un’associazione no profit a Kabul. È la svolta che marito e moglie aspettavano da anni. Un nuovo inizio per Martin, per il loro matrimonio e anche per Liv, che avrà l’occasione di aiutare molte donne meno fortunate di lei. A cominciare dalla sua interprete, Farida. Farida è una donna moderna. Ha studiato in Inghilterra, veste all’occidentale, parla diverse lingue, lavora. Eppure non può decidere del proprio destino. Quando i genitori le combinano un matrimonio col rampollo di una ricca famiglia afgana, lei non può far altro che obbedire. Di colpo, Farida è costretta a indossare un burqa, a lasciare il Pakistan per trasferirsi a Kabul e ad accettare l’incarico che il marito le ha trovato nell’associazione no profit in cui Liv fa volontariato. All’inizio, Farida invidia la libertà di quella donna. Tuttavia a poco a poco si rende conto che lei e Liv sono più simili di quanto non avesse immaginato: anche Liv infatti è vittima delle scelte del marito e la sua indipendenza ha un prezzo che poche donne sarebbero disposte a pagare. Mentre, grazie a Farida, Liv capirà che a volte la vera prigione è quella che ci portiamo dentro, e che è proprio lei la prima ad aver bisogno di essere salvata… Nella «Moglie dello straniero», Gwen Florio racconta, con grazia e sensibilità, una storia di resilienza e di amicizia, dove due donne forti e determinate scoprono il coraggio di andare oltre le differenze, di sfidare la società e le convenzioni per riaffermare il loro diritto a essere se stesse.
Recensione
Mi trovo davanti un libro che racconta molte più cose di quelle che io possa davvero comprendere. Tutti abbiamo diversi livelli di empatia, i lettori magari più di altri dal momento che si immergono sempre in storie altrui.
Proverò comunque a parlare di questo libro anche se in realtà non ho la benché minima idea di come si possa sentire una donna afgana, non mi potrò mai immedesimare fino in fondo dalla mia privilegiata posizione semplicemente di donna occidentale.
È il 2001, dopo l’attacco alle torri gemelle Liv e Martin, due ricercatori dell’università vengono inviati a Kabul a lavorare per una ONG atta a tutelare i diritti delle donne. Diritti delle donne è quasi un ossimoro in un paese del genere dove la donna viene trattata tutt’al più da semplice incubatrice. Sembra un romanzo distopico di Margaret Atwood ma purtroppo non lo è. In questa associazione lavorerà come interprete Farida.
Suo marito, Gul, storce il naso quando viene a sapere che, non solo sua moglie lavorerà, ma per di più con degli stranieri.
Quasi inammissibile, al limite dell’umiliazione per un posto in cui la donna non può neanche camminare al fianco dell’uomo bensì deve stare dietro e con il capo chino verso terra. Gul, nonostante in famiglia ci siano stati casi terribili di violenza ha una mentalità un po’ più aperta. Rispetta sua moglie e la ama, si percepisce in attenzioni minime ma importanti.
Tanto che Liv, la ricercatrice americana progressista e privilegiata comincia a invidiare un amore così puro e disinteressato dal momento che suo marito neanche la guarda più, nonostante per lui sia lecito farlo.
Farida approda alla vita da donna sposata con la filosofia del “se non altro”, della serie “Ok, la mia vita fa schifo, ma se non altro sono in salute. Se non altro mio marito non mi picchia. Se non altro non sono ancora stata lapidata.” Cambierà presto idea, sentendosi al sicuro in una famiglia che al primo impatto le sembrava tutt’altro che accogliente.
Succedono molte cose in questo romanzo e il semplice fatto che dobbiamo immaginarle perché non possiamo vivere dovrebbe farci percepire fra le righe un mondo intero. Sentirci fortunate perché possiamo camminare con il capo dritto, guardando negli occhi chi ci sta vicino.
Sentire il vento fra i capelli. Scoprire le caviglie. Ho imparato di non dare mai più nulla per scontato perché quello che ho, quello che ora posso dire e fare, e scrivere e leggere, è solamente il frutto del sacrificio di qualcun altro che è arrivato prima di me. Tramandiamo il messaggio, non rendiamo tutto il loro lavoro vano.
Gwen Florio
Gwen Florio, scrittrice e giornalista candidata per tre volte al Premio Pulitzer, è stata corrispondente in alcune delle zone più pericolose del pianeta, come Afghanistan, Iraq e Somalia. Membro di International Thriller Writers e di Mystery Writers of America, per The Strand Magazine è tra le dieci autrici di polizieschi da leggere a tutti i costi. In Italia è stata pubblicata da Marsilio con Le ragazze del Dakota (2019) e da Nord con La moglie dello straniero (2020).
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