Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Marina Marazza
Editore: Solferino
Pagine: 560
Genere: Romanzo storico
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Gemma, la donna di cui Dante non scrisse mai. Che tempra deve aver avuto, questa fiorentina che nessuno ricorda? Sposa, per amore, un uomo sconsigliabile: non ricco, privo di potere politico e per di più poeta. Non si lascia sgomentare quando lui si trova sul fronte sbagliato, in una Firenze in cui la lotta aspra tra fazioni distrugge vite e patrimoni. Ne affronta il lungo esilio diventando una «vedova bianca» a trent’anni: dapprima deve gestire le difficoltà economiche, quattro figli che crescono, l’ostilità politica che monta intorno alla famiglia del «nemico» Alighieri; poi si vede confiscare tutti i beni e deve fuggire, incinta, dalla città per rifugiarsi con i ragazzi in una malsana palude. E a ogni svolta del destino le si para davanti suo cugino Corso Donati, il barone bello come un san Michele, violento e seduttore ma anche protettivo e leale, che lei respinge ma da cui in realtà è attratta. E la rivale, l’angelicata Beatrice? Non è un suo problema. Perché è lei, sempre accanto a Dante, forte nella sventura e artefice delle sue fortune, la vera musa della sua vita. Una moglie lo sa benissimo. È solo la storia che lo ha dimenticato. In un Trecento feroce e splendido di castelli, duelli e fazioni, di fede e scomuniche, Gemma è carne, sangue, intelligenza e passione. Ed è solo un errore del destino se Dante è diventato immortale e lei invisibile. Con questo romanzo Marina Marazza le restituisce una storia personale ricca di vicissitudini e la riporta alla vita nella dimensione che è sua: quella delle grandi eroine e delle grandi donne.
Recensione
Quando i tempi si fanno incerti, un viaggio nella Firenze del Trecento può tornare utile.
No, non può dirsi una vacanza: c’erano lotte tra guelfi e ghibellini e poi tra guelfi neri e guelfi bianchi, ogni conclave era un’incognita, così come il successore a qualche trono; il primo parto poteva essere l’ultimo, le perdite per i motivi più svariati erano all’ordine del giorno, chiunque poteva essere scambiato per eretico, strega o negromante per assurde convinzioni o ragioni di gran lunga più mondane, c’erano visioni e segni, malaria e idropisia, di lì a poco, in tutta Europa, la peste avrebbe dato il via alla sua danza macabra.
E già questo basterebbe a farci pensare.
Ma nel Trecento, a Firenze e poi a Verona, a Ravenna e là dove “sa di sale lo pane altrui”, c’era lui, Dante. E c’erano Guido Cavalcanti, Giotto, Brunetto Latini, nobili audaci e illuminati, il volgare e la poesia, che presto avrebbero dimostrato una convivenza possibile e fruttifera.
Le donne? C’erano anche loro, certo, ma la tradizione (maschile) ne tramanda solo pochi, fulgidi esempi – fulgidi di perfezione, come Beatrice Portinari, donna-angelo per eccellenza, o fulgidi del fuoco del peccato, come Francesca, colpevole di aver amato e soprattutto di aver scelto chi amare.
Cosa dire delle donne di carne e di sangue, fatte di sentimenti intensi e di buon senso, di immaginazione e praticità, quelle che amministrano, reggono case, città e stati interi, fondano le basi di imperi e nuovi ordini, danno vita e nutrimento, feroci come orse e belle, leggere, vispe e intelligenti come donnole? Troppo con i piedi per terra per essere elevate a ideali? O forse troppo scomode?
Per fortuna esistono penne come quella di Marina Marazza, che, proprio nel settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, con La moglie di Dante restituisce identità, consistenza e giusta importanza a Gemma Donati.
Se dell’Alighieri in fondo si sa pochissimo – incerte le date, le destinazioni precise del suo peregrinare – della sua sposa si sa ancor meno, ma l’autrice indaga, ricerca, scartabella, si confronta e tesse attorno alla sua figura un arazzo sgargiante nel quale ogni nodo è al posto giusto.
Dall’adolescenza di “Testa di Ruggine” alla maturità, fino all’ultimo sogno senza fine, Gemma si muove e parla come una persona della sua epoca, ma le righe le stanno strette e alle metafore, ai senhal, ai versi delle “ballatette” preferisce un metro tutto suo, schietto ma non meno affascinante. Sussurra alle donne di oggi e di domani, dimostra che l’amore, nel muovere “il sole e le altre stelle”, fa una gran fatica, si nutre di attese e delusioni, ma anche di consapevolezza di sé, di prove superate, affetti sinceri e sorellanza al di là dei diritti di nascita e del ceto.
Nell’arazzo di Gemma trovano spazio personaggi memorabili, dall’ardito Corso alla fedele e straordinaria Gilla, dalla pia e sfortunata Piccarda al gaudente e sincero Bicci. E poi c’è suo marito: non una figurina vestita di rosso, arcigna e distante, ma un giovane atlantico che cavalca e s’intende di falconeria, un po’ “pavone” e narciso, ma anche ostinato, onesto fino all’eccesso e passionale. Un uomo. Con la mentalità del suo tempo, vizi e virtù universali.
La moglie di Dante, con un linguaggio incantevole, combina romanzo e storia, biografia, letteratura e fiction: un’opera coraggiosa, originale e “tridimensionale”, che dona spessori e rivela la polpa pulsante, tangibile e sensibile dietro la tela dipinta o una cantica della Commedia.
A cura di Francesca Mogavero
Marina Migliavacca Marazza
Marina Migliavacca Marazza, ex manager editoriale, scrittrice, giornalista, è specializzata in tematiche di storia, di società e di costume. Collabora con diverse riviste tra cui «Io Donna». È autrice di romanzi, saggi e narrative non fiction, tra cui i più recenti titoli usciti con Solferino L’ombra di Caterina(2019), Io sono la strega (2020, vincitore del Premio Salgari, Premio Selezione Bancarella 2021) e Miserere (2020).
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