Recensione di Salvatore Argiolas
Autore: Otessa Moshfegh
Traduzione: Gioia Guerzoni
Editore: Feltrinelli
Genere: Thriller psicologico
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Un’anziana signora, da poco rimasta vedova, va a vivere in una casa isolata in mezzo al bosco. Una mattina, mentre porta a passeggio il cane, trova un bigliettino scritto a mano, che spicca sulla terra in una cornice di sassi accuratamente disposti. “Si chiamava Magda. Nessuno saprà mai chi è stato. Non l’ho uccisa io. Qui giace il suo cadavere”. La protagonista rimane profondamente scossa dall’episodio e non sa cosa pensare. Si è appena trasferita e conosce poche persone. Nella sua mente prima affiorano e poi si affollano, con crescente insistenza, varie congetture su chi sia questa Magda e su come sia andata incontro al suo tragico destino. Quando le sue supposizioni iniziano a trovare eco nel mondo reale, la sua curiosità si trasforma in paura e il mistero della nota si fa oscuro e minaccioso. Contemporaneamente, man mano che seguiamo le sue investigazioni, cresce anche una sottile dissonanza, la sensazione che la nostra narratrice abbia perso il contatto con la realtà. E mentre le tornano in mente con prepotenza i ricordi della sua vita passata e del marito, ci troviamo ad affrontare la possibilità che per capire Magda e la sua storia ci sia una spiegazione più innocente, oppure una molto più sinistra, e che colpisca più vicino a casa.
Recensione
Con “La morte in mano” Ottessa Moshfegh si pone alla stessa latitudine di Patricia Highsmith, confezionando un thriller psicologico di notevole livello.
Un biglietto trovato nel bosco, “Mi chiamo Magda. Nessuno saprà mai chi è stato. Non l’ho uccisa io. Qui giace il suo cadavere.”
spinge Vesta, un’anziana vedova a cercare di scoprire il colpevole di questo delitto.
Le tracce sono labili e lentamente Vesta accumula ipotesi su questo crimine talmente misterioso da sembrare immaginario.
L’io narrante del romanzo è Vesta che seguendo le sue indagini rivive anche la sua vita con il marito Walter morto di tumore, riconoscendo il fallimento della sua esistenza che ormai si trascina stancamente.
La ricerca del colpevole della morte di Magda la travolge e la porta ad un’eccitazione mentale che gradualmente crea una trama criminale che leghi Magda ed altri personaggi che la sua fantasia, stimolata dall’ambiguo biglietto evoca dal nulla.
In un crescendo di paranoia e angoscia, Vesta confonde realtà e immaginazione e talvolta crede di essere Magda e paradossalmente a contatto con la morte scopre di essere più vitale di quanto lo sia mai stata.
Ambientato a Levant, una cittadina immaginaria, “ La morte in mano” è un thriller anomalo, ma ricco di temi interessanti come, per esempio, quello della creazione dei personaggi del giallo che Vesta costruisce come una scrittrice che plasma gli attori del suo romanzo, quasi a voler stabilire un parallelo tra le due attività e tra personaggio letterario e scrittrice, corrispondenza fittizia ma suggerita anche dal fatto che Vesta è un’immigrata dall’Est Europa come la madre di Otessa Moshfegh
La ricerca dell’elusiva Magda in realtà per Vesta si rivela l’occasione per riflettere sulla sua vita e sul suo futuro:
“Sono solo una delle tante pedine nella partita a scacchi che è la vita. Avevo fatto l’errore di paragonare la nostra vita a Monlith a una partita di scacchi con un idiota, per tutto il tempo passato ad aspettare che succedesse qualcosa, una mossa qualsiasi, banale o minacciosa, solo per avere qualcosa di nuovo da fare.”
Otessa Moshfegh, una delle nuove voci della letteratura americana, utilizza con abilità gli schemi del genere thriller per dare una campitura di noir ad una narrazione di valore elevato con suggestioni bibliche e interessanti riflessioni sulla vita e sulla morte, due tematiche talmente universali, già oggetto di studio per il filosofo Epitteto nel IV secolo avanti Cristo; “La morte non è nulla per noi perché quando ci siamo noi lei non c’è e quando c’è lei non ci siamo più.”
Vesta invece riflette così:
“Che strana responsabilità tenere la morte di qualcuno in mano. Sembrava fragile, come un foglio accartocciato, vecchio di mille anni. Una mossa falsa e potevi distruggerlo. La morte era un magnifico pizzo antico e friabile. (…) La vita non era così. La vita era solida, testarda. La vita ci metteva tanto a disintegrarsi, bisognava cacciarla dal corpo.”
L’irreale inchiesta di Vesta Gul, tra indizi concreti e supposizioni forzate procede con un ritmo teso e ansiogeno e si concluderà con un finale a sorpresa che invita a rileggere il libro dall’inizio per tentare di dipanare un groviglio di tracce, false piste e invenzioni che rende il romanzo, che in alcuni passi ricorda anche Stephen King, un vero labirinto da cui, forse, non si riuscirà ad uscire.
Ottessa Moshfegh
È una scrittrice nata a Boston. I suoi racconti, riuniti in Nostalgia di un altro mondo (Feltrinelli, 2018), sono apparsi sulla “Paris Review”, sul “New Yorker”, su “Granta”, “Vice”, e le sono valsi il Pushcart Prize, l’O. Henry Award e il Plimpton Prize. Con la novella McGlue si è aggiudicata il Fence Modern Prize e il Believer Book Award. Il mio anno di riposo e oblio (Feltrinelli, 2019) è risultato tra i libri più belli del 2018 per “The Washington Post”, “Time”, “NPR”, “Amazon”, “Vice”, “Bustle“, “The New York Times”, “The Guardian” e “Kirkus“.
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