LA PISCINA
Giacomo Papi
DETTAGLI:
Editore: Feltrinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 240
Anno edizione: 2024
Sinossi. Il grande Maestro Klaus Signori, artista famoso in tutto il mondo per le sue disinstallazioni, sta per festeggiare gli ottant’anni nel castello umbro dove si è ritirato. Intorno alla grande piscina di Gheddafi – che il Maestro ha smontato e rimontato in giardino piastrella per piastrella – ci saranno i due nipoti Lucrezio e Laudomia e i pronipoti Lea e Luis Miguel, l’infermiere (e spacciatore di fiducia) Mario, la cinica gallerista Emanuela Favre e l’avido avvocato Magnoni; al loro servizio, una schiera di domestici. Il vecchio artista sa che gli invitati non sono accorsi per il suo compleanno, ma per l’eredità. Sarà una settimana di grandi risate, nuotate, mangiate, battute di spirito e di caccia, con il fucile e con il falcone. E sabato, gran finale, arriverà una troupe lituana per girare il documentario sulla vita di Klaus Signori. Qualcosa, tuttavia, va storto perché al loro arrivo Klaus è morto: Inés, la cuoca peruviana, lo trova in cantina dentro uno dei grandi congelatori per la cacciagione. L’avvocato è fuori di sé, Klaus una settimana prima gli aveva parlato di un tesoro, cinque milioni di euro in contanti, forse nascosti in una improbabile valigia d’oro. Magnoni accusa il personale di averlo ucciso per intascare il denaro, ma i domestici non ci stanno e Florin, l’autista tuttofare con la fedina penale sporca, si ribella. La rivolta prende la mano, ed ecco in un attimo i padroni servire, in livree e crestine, cocktail e tramezzini ai domestici sdraiati al sole, a bordo piscina. Nel castello di Abborracciano, dalle cantine al torrazzo, fra sospetti, paure, antenati fantasma, un ispettore con l’hobby della pesca alla trota e una scatenata caccia al tesoro, Giacomo Papi trasforma il giallo classico alla Agatha Christie in un affilato romanzo satirico sul potere dei soldi e sulla lotta di classe.
Recensione di Francesca Mogavero
Nel castello di Abborracciano è esploso un Carnevale fuori stagione: i servi si son fatti padroni e viceversa, i fantasmi sono più svegli dei vivi e i morti finiscono nel congelatore al posto della selvaggina.
Peccato che non si tratti di un gioco. O, meglio, potrebbe essere il preambolo di una grandiosa e succulenta caccia al tesoro, ma in ballo non c’è qualche banconota del Monopoly, bensì cinque reali (e mentalmente già spesi) milioni di euro.
E quindi c’è poco da ridere e scherzare. Anche su questo punto, tuttavia, occorrerebbe aprire una lunga parentesi. Perché Giacomo Papi, è evidente, si diverte e ci diverte eccome a mettere in scena personaggi di carta – con qualche gustosa sortita nel regno tanto vero quanto patinato e assurdo della moda, dell’arte contemporanea, della politica – e a scaraventarli in un mondo alla rovescia, forse probabile, forse auspicabile, di certo ironico, con la potenza e l’irriverenza di un dio giocherellone e scafato.
E noi, mentre un brivido radical chic ci saltella in tacco 12 lungo la schiena – in fondo, quando ne abbiamo la possibilità, non siamo tutti un po’ snob, amanti delle comodità, del superfluo, delle coccole? – godiamo come ricci. È un’attualissima esperienza del sublime, in cui la tempesta, la valanga, la furia degli elementi – da osservare comodi comodi dietro ai vetri o tra le righe di una poesia romantica – è sostituita dal ribaltamento del potere, dei ruoli e dei simboli – un abito firmato, una smorfietta, un aperitivo a bordo piscina – non meno spettacolare.
In una lotta di classe che ormai non è nemmeno più lotta, ma un ristagnante parlarsi e piangersi addosso da entrambe le parti
– “Ci siamo abituati che è naturale nascere servi o padroni, ma il nostro odio rimane” da un lato e “Lei non lo immagina il peso di non poter mai ripartire da zero… dobbiamo sempre dimostrarci all’altezza di chi ha costruito le nostre ricchezze prima di noi…” dall’altro –
la (temporanea) possibilità di cooperazione per il bene comune e di condivisione è rappresentata dall’unico monoteismo che mette ecumenicamente d’accordo: i soldi.
Quanto pesano, quanto spazio occupano, in senso letterale o metaforico, cinque milioni di euro, l’eredità di un artista all’apparenza sovversivo e scialacquatore classista (e che ci scatena una colpevole simpatia, perché Klaus Signori è uno spettacolo) nella sostanza?
E a voler scavare più a fondo, cosa rimane di un’esistenza votata alla posticcia eccentricità, al centro di una corte internazionale di parassiti?
Il desiderio di un figlio lontano, un biglietto di sola andata, un resort per ricchi che vogliono mettersi nei panni di qualcun altro (è il ritorno del gioco infantile “Facciamo che io ero…”), una serie di zeri che si somma agli altri, da ammirare sorseggiando Bloody Mary: cosa può realizzare il denaro?
Qualunque sia lo scopo, nobile o gretto, necessario o meno, l’avida cerca mette ospiti e domestici sullo stesso piano, ciascuno pronto a superare il limite, a sporcarsi, a tradire un’ideale, a disinstallare un’indole scelta e collaudata… perfino a compiere uno (o anche due, tre) omicidio? Chissà.
Mentre gli spettri osservano, commentano, giudicano e magari si rimboccano le maniche dei lenzuoli, chi legge partecipa alla tragicommedia, ora prendendo con superiorità le distanze, ora lasciando cadere la maschera e immedesimandosi, rotolandosi felice nel fango griffato, nell’acqua che si tinge di rosso. Io non agirei mai in questo modo… Forse farei di peggio.
La piscina è un tuffo a bomba nelle miserie e nelle nobilità di cui siamo tutti capaci, al di là del passaporto e delle etichette, soltanto perché dannatamente umani.
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Giacomo Papi
è nato a Milano nel 1968. È scrittore, giornalista e autore televisivo. Scrive per la Repubblica, il Post e Il Foglio e dirige il Laboratorio Formentini per l’editoria della fondazione Mondadori. I suoi ultimi libri sono Il censimento dei radical chic (Feltrinelli 2019), Happydemia (Feltrinelli 2020) e Italica (Rizzoli 2022).
A cura di Francesca Mogavero