SORJ CHALANDON
Traduttore: Silvia Turato
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Genere: Narrativa
Pagine: 288
Anno edizione: 2024
Sinossi. Samuel Akunis, regista greco oppositore della dittatura dei colonnelli, ebreo sfuggito all’Olocausto, francese d’elezione, ha un sogno folle: portare l’Antigone di Anouilh tra le strade di Beirut straziate dai combattimenti. «Nata in Grecia, immaginata tra le mani del Reich o interpretata nella Parigi occupata, Antigone era di tutti i tempi. Della nostra attualità.» Ma ora Sam è troppo malato e chiede all’amico Georges di portare avanti il suo progetto. Con un passato da attivista nel movimento del Sessantotto parigino e di scontri anche violenti con gli studenti di estrema destra, Georges da tempo ha abbandonato la politica per dedicarsi al teatro. Adesso ha una famiglia, una figlia piccola, ma non può tirarsi indietro. Così, nel febbraio del 1982 parte per il Libano, dove tocca a lui mettere in scena l’Antigone. Per farlo si dovrà negoziare una tregua di due ore. La rappresentazione dovrà avvenire sulla linea di confine, le macerie faranno da scenografia. Gli attori sono scelti da ciascuna delle fazioni nemiche: Antigone sarà palestinese, Emone un druso, Creonte un cristiano maronita, le guardie sciite. Tutti insieme sul palcoscenico: perché, se la guerra è una pazzia, anche la pace deve esserlo. Georges si trova a muoversi impreparato tra cecchini, posti di blocco, edifici crivellati di colpi; per la prima volta sente i rumori della guerra. Ma non rinuncia al sogno di Sam, che è diventato anche il suo. Finché, dopo essere stato testimone della violenza e della sofferenza, con il massacro perpetrato nei campi profughi di Sabra e Shatila anche lui avrà la sua parte nella tragedia.
Recensione di Loredana Gasparri
Nel mondo del teatro e dello spettacolo in generale, la quarta parete indica un muro immaginario che separa gli attori dagli spettatori.
Quasi tutti i drammi, i film o le serie televisive adottano questa tecnica, creata affinché coloro che recitano sul palco o davanti alle macchine da presa si dimentichino totalmente di avere un pubblico, in sala o dall’altra parte dello schermo.
Ogni tanto quella parete viene abbattuta, quando gli attori improvvisamente si girano verso gli spettatori, guardandoli e qualche volta invitandoli sul palco, se a teatro.
La vita in scena coinvolge quella reale, di tutti i giorni. L’effetto è sicuramente spiazzante, all’inizio (e coloro che hanno assistito ad una qualche rappresentazione teatrale del Rocky Horror Picture Show lo sanno), ma poi si rivela divertente.
In questo libro, la rottura della quarta parete avviene praticamente subito. E il suo effetto non è nemmeno spiazzante. È mortale, e quando lascia in vita, porta a desiderare di mettervi subito fine.
La figura chiave qui è Antigone. Dal teatro greco, sappiamo che Antigone è una delle figlie di Edipo. La guerra che si è scatenata nella città di Tebe dove vive, ha messo l’uno contro l’altro i suoi due fratelli Eteocle e Polinice, portandoli a uccidersi a vicenda. Il re Creonte proclama che il corpo del secondo rimanga esposto, privo di riti e sepoltura.
Antigone rifiuta di piegarsi alla volontà del re e copre il fratello con una manciata di terra, attirandosi così la condanna a morte. Un drammaturgo francese, Jean Anouilh, riprende il testo di Sofocle e mette in scena un’Antigone nel 1944 a Parigi, sotto l’occupazione nazista.
Questo personaggio e la riscrittura dell’artista francese sono al centro di questo libro, anch’esso frutto della creatività di uno scrittore francese nato in Tunisia. Il regista teatrale che vuole mettere in scena l’Antigone è greco, con un passato di opposizione al regime dei colonnelli nella sua patria natale.
E vuole farlo a Beirut, nel mezzo del conflitto negli anni ’80, prendendo gli attori da tutte le fazioni in lotta. Un tentativo ammirevole e temerario di trasmettere un messaggio di pace, utilizzando un’arte intensa e terapeutica come il teatro, e una storia spinosa e impetuosa come quella di Antigone.
Non ci saranno prigionieri, in questo tentativo. Letteralmente. Samuel si ammala gravemente e non può portare avanti il suo progetto. Il suo amico Georges, un passato di resistenza nel Sessantotto in Francia, raccoglie il testimone e compie un miracolo, andando a incontrare gli attori nella loro terra martoriata.
I miracoli hanno un prezzo, però… uno molto, molto alto. Se ti getti in mezzo a forze potenti, pensando di poterle gestire e controllare, loro ti lasceranno fare per un po’, e poi ti presenteranno il conto. Se abbatti una parete, devi assicurarti che le altre tengano, o che il soffitto e il pavimento possano sostenere i colpi.
Gli attori e il loro nuovo regista Georges pagano questo prezzo. Con il tempo, in modi e luoghi diversi. La quarta parete… avrebbe dovuto reggere e per qualche tempo ha fatto pensare di essere abbastanza forte, ma forse non c’è mai stata sul serio. È un punto che mi ha dato a lungo da pensare, una volta chiuso il libro.
È un testo che consiglio, ma non a tutti. Non leggetelo se volete essere rassicurati. Non leggetelo se pensate che le guerre siano in qualche modo necessarie o che non lascino conseguenze. Non leggetelo se tendete a sentirvi in colpa per essere fortunati o per essere nati in un luogo senza conflitti.
Leggetelo, con calma e profonda apertura, se avete un cuore grande e non avete paura dei suoi spazi bui.
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Sorj Chalandon
è stato giornalista per «Libération» prima di passare a «Le Canard Enchaîné». I suoi reportage sull’Irlanda del Nord e il processo di Klaus Barbie gli valsero il Prix Albert-Londres nel 1988. Tra i suoi romanzi ricordiamo Le Petit Bonzi (2005), Une promesse (2006, Prix Médicis), Il mio traditore (Mondadori, 2009) e La Légende de nos pères (2009) tutti editi in Francia da Grasset. Le sue opere sono state tradotte in numerosi Paesi. Il suo Chiederò perdono ai sogni è pubblicato in Italia da Keller.