La quarta versione di Giuda
Recensione di Loredana Gasparri
Autore: Dario Ferrari
Editore: Mondadori
Genere: Gialli e Thriller
Pagine: 336
Pubblicazione: 30 giugno 2020
Sinossi. È una gelida sera di gennaio a Viareggio: con il conforto di una cospicua dose di cioccolato, don Tony si dispone ad ascoltare le confessioni dei parrocchiani – cogitabonde disamine in cui l’autoelogio è secondo solo al biasimo per le miserie altrui -, e intanto sogna il tepore del proprio appartamento e di una montagna di junk food. Proprio quella notte, però, un omicidio scuote la comunità. In tanti si aggiravano attorno alla scena del delitto: il dottor Ferri, vanitoso ginecologo obiettore, la Pia, onnipresente pettegola non priva di un certo acume induttivo, un gruppo di adolescenti della meglio gioventù viareggina, il traffichino Franco LaVoce…Le indagini sono affidate al commissario Klaus Russo, aspirante giallista che interpreta il proprio lavoro attraverso il filtro dei romanzi che ha letto e che sogna di scrivere, affiancato dall’agente Carini, truce e taciturno – il braccio violento della legge. Don Tony si ritrova suo malgrado nell’occhio del ciclone e viene ulteriormente messo in crisi dall’intransigenza di una bella ragazza vegana in cui si è imbattuto per strada la notte dell’omicidio, che oltre a bistrattarlo per le sue deprecabili abitudini alimentari gli chiede di nasconderla rifiutandosi di dare spiegazioni. Quando il commissario Russo decide di rinunciare al giallo per darsi al noir, la svolta si ripercuote sul tono della narrazione, che si fa più tesa e torbida, fino al sorprendente scioglimento finale.
Recensione
Che io abbia un debole per Giuda e le storie che lo mettono in centro, è ormai chiaro. È il secondo libro con questo personaggio che leggo di fila.
Anche qui, non ripercorriamo le vicende storiche di Giuda Iscariota, ma ci immergiamo nella sua creazione principale, il tradimento. E una particolare interpretazione di tradimento… andando con ordine, siamo a Viareggio, in inverno. Apriamo la porta, oltrepassiamo la copertina, ed eccoci subito in compagnia di Don Tony.
Per quanto sembri un nome da boss mafioso, si tratta di un prete di quartiere. Dai primi tocchi del suo ritratto, cogliamo che più che un Don Ciotti, il suo aspetto e le sue azioni richiamano alla mente Don Abbondio.
Non precisamente un cuor di leone, o un ardente di fede combattente come Ignazio da Loyola, ma un sacerdote che svolge il suo compito senza infamia e senza lode, grande estimatore di cibo, soprattutto di quello più calorico e meno sano in circolazione.
Un vero devoto di Mars, Oreo, patatine fritte.
In questo momento si accinge ad ascoltare le confessioni dei suoi parrocchiani, uno dei compiti che ha preso a odiare da quando ha iniziato ad “esercitare”.
E non certo perché gli tocca ascoltare orrori indicibili, peccati innominabili. Tutto il contrario. Le solite cose, le solite trasgressioni da due soldi, le solite preoccupazioni piccole piccole per la propria anima piccola piccola… insomma, che noia.
Quel giovedì, però, (il giovedì è il giorno delle confessioni, secondo il rigido programma parrocchiale di Don Tony), le cose cominciano a cambiare. Uno dei suoi più illustri parrocchiani, il dott. Marcello Ferri, brillante (secondo il suo insindacabile giudizio) ginecologo, viene a richiedere la confessione dal sacerdote. Un paio di telefonate inopportune interrompono definitivamente l’incontro: l’esimio professionista deve scappare, ha un’emergenza.
Ecco, da questo momento, niente sarà più come prima. Marcello Ferri va incontro alla sua emergenza, e poche ore più tardi la figlia Lavinia, di ritorno da un’uscita catastrofica (per la sua ottica di adolescente in cerca di approvazione e popolarità) lo ritrova cadavere in casa.
Panico. Sconforto. Sorpresa. E tanti pettegolezzi.
Se ne scatena letteralmente un vespaio, con questa morte semi-illustre (la popolarità e l’affetto di cui la vittima si riteneva circondata sono decisamente sovrastimati) che scuote la routine e la noia della solita vita. I parrocchiani (più le parrocchiane, per la verità, soprattutto l’incredibile Signora Pia) cercano il colpevole a modo loro, da dietro le finestre e le chiacchiere sussurrate. Certo, la vedova, la bella, elegante e tanto gelida signora Greta, non è poi così addolorata. E dov’era, la sera dell’omicidio? E quell’avvocato lì, l’”amico di famiglia”, non è un po’ troppo “amico”?
Sarà compito del commissario Klaus Russo, siciliano dal nome teutonico trapiantato in Versilia, nonché aspirante scrittore di gialli, cercare di vederci chiaro, e di imbroccare la pista giusta dopo tutta una serie di illazioni senza sbocco. Sarà divertente vederlo indagare, interrogare le persone coinvolte e nello stesso tempo cercare di frenare il truce aiutante che si ritrova, l’atletico e intuitivo Lorenzo Carini.
A furia di cantonate, arriverà a sciogliere l’intrico. E sarà sorprendente.
Che cosa c’entra Giuda, addirittura in quarta versione? L’autore ne dà una breve spiegazione nella post-fazione, che illustra anche lo spunto da cui è partito, molto gustoso. Io sono andata a rintracciarlo e mi ha dato occasione di meditare un po’.
L’operato di Giuda serve a comprendere la genesi e la necessità dell’omicidio di Marcello Ferri. Visto dal particolarissimo occhio dell’assassino, naturalmente. L’autore semina un indizio abbastanza chiaro e sorridente, durante uno dei dialoghi, che all’apparenza sembra un po’ delirante. Vedrete poi voi, alla fine, quanto lo è.
È un libro godibilissimo, scritto con vivacità, in una lingua ricca, piena di colore e di immagini: l’italiano che vorremmo leggere. Pieno di rimandi letterari, gioca con la realtà degli smartphone e degli adolescenti confusi, dei vegani irriducibili, e assesta qualche stoccata alle rigidità, agli schieramenti (non solo di natura politica), all’ipocrisia, alla ricerca della verità e di un punto di riferimento assoluto. È un libro ricco di umorismo e di spunti per ripensare qualcosa, per smussare qualche angolo. Magari quegli stessi angoli che ci spingono a salire in cattedra e distribuire giudizi, invece di restare al proprio livello e semplicemente estendere lo sguardo per abbracciare, invece di separare.
A cura di Loredana Gasparri
https://www.delfurorediaverlibri.it
Dario Ferrari
(Viareggio, 1982) ha passato il primo trentennio di vita a studiare, fino a diventare dottore di ricerca in Filosofia, un titolo ornamentale che serve quasi esclusivamente a impreziosire le note biografiche. Insegna in un liceo romano ed è traduttore.
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