Recensione di Francesco Morra
Autore: David Foster Wallace
Editore: Minimum Fax
Traduzione: Martina Testa
Genere: Narrativa
Pagine: 302
Anno di pubblicazione: 2017
Sinossi. Quando fu pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti, nel 1989, questa raccolta di racconti confermò David Foster Wallace come astro nascente della nuova narrativa americana: uno di quei rari talenti che, come ha dichiarato la scrittrice Zadie Smith, è magistralmente in grado di «unire testa, cuore e viscere» nella sua scrittura. Un libro che quasi immediatamente è diventato un classico: dagli anni Sessanta di Lyndon Johnson al jazz patinato di Keith Jarrett, dai quiz televisivi ai ranch dell’Oklahoma, dagli yuppies ai punk, dai giovani matematici di Harvard ai proletari della provincia depressa, nelle sue storie Wallace descrive e commenta l’intera cultura americana (e soprattutto le nevrosi, le ossessioni, le passioni, il disagio emotivo di tutto l’Occidente contemporaneo) con un’acutezza e un vigore avanguardistico che ne hanno fatto il caposcuola indiscusso della letteratura post-postmoderna e a distanza di quasi trent’anni mantengono inalterata la potenza di questo libro.
Recensione
Questi racconti sono invenzione pura al cento per cento. In alcuni di essi i nomi di figure pubbliche “reali” vengono proiettati su personaggi di fantasia in circostanze di fantasia. Ovunque vengano usati nomi di personaggi del mondo della politica, dell’imprenditoria e dei media, tali nomi vogliono solo denotare figure, immagini, la materia di cui sono fatti i sogni collettivi; non denotano vere e proprie persone tridimensionali, vive, defunte o in altre condizioni, né presuppongono il possesso di informazioni private sul loro conto.”
Tale avvertenza precede la raccolta dei nove racconti scritti da David Foster Wallace, ciò è necessario, perché l’autore attraverso la sua fantasia letteraria proietta e trasfigura personaggi reali piegandoli ai propri fini letterari.
Il lettore che si dovesse trovare al primo approccio con Wallace può utilizzare questo libro per iniziare a viaggiare nel mondo dell’autore. Le pagine racchiudono parte dei temi ricorrenti della sua opera: riflessioni sulla società contemporanea statunitense, paranoie, mondo dello spettacolo e politica; sono alcuni tra gli argomenti che caratterizzano queste pagine.
David Foster Wallace decostruisce il narrare, insieme ad autori quali ad esempio Thomas Pynchon e come pochi altri, innovandone la forma. Da molti, viene definito epigono della letteratura isterica, ma semplicemente riesce a tradurre le angosce ed i tic della nostra società.
“Tuttavia anche il novello solitario può accorgersi subito che una vita vissuta, temporaneamente o no, come una semplice rinuncia di ogni valore diventa nel migliore dei casi angusta e nel peggiore dei casi vuota: una vita ad aspettare ciò che non sarà mai. Seduti ad accettare passivamente (senza giudicare) l’accadere e il finire delle cose.“
Il racconto è sicuramente bistrattato e relegato ai margini della letteratura, DFW riesce a 27 anni a scrivere con sapienza ed a sorprenderci parola dopo parola. Invitando la lettura del suo, a parer mio, capolavoro “Infinite Jest”; proseguo chiedendo a questo punto, perché leggere la raccolta “La ragazza dai capelli strani”? Ebbene se si interpreta la lettura come esperienza, tale è lo scorrere dei vari quadri narrativi che l’allora giovane Wallace delinea. Mirabili sono alcuni suoi passaggi filosofici e riflessioni sull’amore ed il relazionarsi con il proprio io, l’altro e il mondo circostante.
Dissacrante ed ai limiti del nonsense sono alcuni periodi. Wallace si sfoga e ci mette alla prova senza dare tante risposte ma ponendo al lettore innumerevoli domande. Un mito della nostra contemporaneità che leggo sempre non sapendo cosa aspettarmi e che mi stupisce costantemente. Una letteratura senza di lui sarebbe monca e parziale e tutti dovrebbero provare a districarsi su quanto scrive…
“Confronti confronti confronti: le ragioni imperniate sugli altri sono facili da manipolare. Tutte le cose vuote sono leggere. Il fatto è che sono proprio stanco di stare bene. Di essere buono. Forse sono solo stanco di non capire dove si estinguono in me le attese millenarie di una costellazione, dov’è che la mia volontà appende il suo cappello di pelliccia. Dovrebbe essere l’angolino di una persona che sa quello che vuole. Vorrei essere determinato. Lo voglio.”
Le sue turbe e paure, forse estremizzate, sono quelle che viviamo ogni giorno e che in parte ci fanno correre il rischio di sentirci disadattati ed incongrui al fluire del tempo in questo mondo del “consumo” a tutti i costi. DFW con ogni suo tratto di penna ci dà uno schiaffo e fornisce una pausa per autointerrogarci. Scrive maledettamente bene e ne è consapevole. Leggerlo per molti, tra cui il sottoscritto, è la sublimazione di cosa sia essere un grande autore e ne fa scaturire l’amore incondizionato. Chi non riconosce potenzialità ai libri, è perché non ha mai avuto la fortuna e la pazienza di leggere David Foster Wallace.
“Sono le onde a impedire che i mari siano semplicemente delle enormi pozzanghere.”
A cura di Francesco Morra
David Foster Wallace
David Foster Wallace: (Ithaca, 21 febbraio 1962 – Claremont, 12 settembre 2008), è stato uno scrittore, saggista e accademico statunitense. Autore di romanzi (Infinite Jest, La scopa del sistema, Il re pallido), racconti (La ragazza dai capelli strani, Brevi interviste con uomini schifosi, Oblio) e volumi di saggi e reportage narrativi (Una cosa divertente che non farò mai più, Tennis, tv, trigonometria, tornado, Considera l’aragosta, Tutto, e di più e Il rap spiegato ai bianchi, scritto con Mark Costello). Sono stati pubblicati anche una sua raccolta di interviste e conversazioni (Un antidoto contro la solitudine) e una lunga intervista a Wallace di David Lipsky (Come diventare se stessi).