Sinossi. I Blew sono una band all’apice della carriera. A 27 anni Julian Bacci è il suo front-man, nato nello stesso giorno in cui morì il leader dei Nirvana Kurt Cobain. Un destino segnato, una carriera che sembra indirizzata verso il successo planetario e all’immortalità delle più grandi rockstar. Un’inquietante coincidenza allunga però la sua ombra sulla loro ascesa: alcune delle più grandi leggende della musica non sono sfuggite alla Regola del Ventisette, morendo al raggiungimento di quell’età. Anche Julian Bacci dovrà pagare lo stesso prezzo per passare alla storia?
LA REGOLA DEL VENTISETTE
di Gabriele Dolzadelli
Autopubblicazione 2023
Thriller/Azione, pag.262
Recensione di Christian Floris
Le strisce pedonali di Abbey Road furono attraversate da Paul McCartney, scalzo. Tanto bastò, insieme ad altri presunti indizi (la targa erronea del Maggiolino parcheggiato a sinistra, sulla copertina dell’album), a dire che il bassista dei Beatles era morto. E nel ’69 McCartney aveva, manco a dirlo, 27 anni.
Fenomeni di isteria collettiva come questi alimentavano l’immaginario beat dei Sixties, anni nei quali un trip lisergico non si negava a nessuno e, con esso, non si negava nemmeno la speranza di sopravvivere alle proprie ceneri.
A leggere il titolo si potrebbe pensare a un saggio sulla puntualità del pagamento degli stipendi negli enti pubblici. In realtà, La regola del Ventisette è un thriller-action ben strutturato, di quelli che non tradiscono il patto col lettore.
Come detto, il sostrato culturale che permea il romanzo definendone l’ambientazione affonda le radici nel fermento artistico che animava gli anni Sessanta; ma il racconto comincia dall’era del grunge, per poi arrivare fino ai giorni nostri, lungo il filo conduttore della musica e del suo show-biz.
Julian va veloce. Troppo veloce. Per essere delle vere rockstar ci vuole un fisico bestiale: viene richiesto impegno, dedizione, sacrificio a trecentosessanta gradi per trecentosessantacinque giorni all’anno. Esige l’intera vita, fino ad annullarsi e a perdere la propria identità.
Attorno a lui vorticano la genialità di Vì, l’opportunismo di Lorena, il coraggio di Max, la fedeltà di Cesca, la lucida follia di sua mamma. In un crescendo rossiniano che trova il suo culmine negli ultimi dieci capitoli dove Gabriele Dolzadelli mostra di saper chiudere con classe ed eleganza ogni conto lasciato in sospeso. I brevi flash con cui l’autore conclude le vicende di ogni personaggio sono quasi da montaggio cinematografico.
Trama complessa costruita con solido mestiere, l’autore ci garantisce di poter restare nella nostra sospensione dell’incredulità con buon comfort. E si può sorvolare su veniali smarginature di verosimiglianza, proprio per questa robustezza che stringe i fili dell’intarsio narrativo. Un’occasione da non perdere, per ritrovare alcuni volti memorabili di un’epoca musicale che resterà unica, ma anche un modo per ritrovare se stessi, dopo aver aver fatto un giro all’inferno.
Perché aveva ragione Chris Cornell, quando diceva con amarezza che nel rock non s’inventa più nulla da trent’anni. Ma perché, a fare la differenza, sono sempre gli interpreti.
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Gabriele Dolzadelli
Gabriele Dolzadelli è uno scrittore valchiavennasco, classe 1988. Nel 2014 esordisce tramite il selfpublishing con il romanzo La terra di nessuno, primo volume della saga Jolly Roger. Ne seguono altri quattro: Le chiavi dello scrigno (2015), I fratelli della costa (2016), La torre del ribelle (2017) e Il piano di Archer (2018). Nel 2019 pubblica Backup, romanzo di fantascienza, e nel 2020 passa all’editoria tradizionale con L’uomo senza epilogo (Augh Edizioni), finalista al Premio Internazionale Città di Como. È fondatore e co-organizzatore del festival letterario valtellinese Libri in Valle.