La saggezza nel sangue




 LA SAGGEZZA NEL SANGUE

di Flannery O’Connor

Minimum Fax 2021

Gaja Cenciarelli ( Traduttore )

narrativa, pag.203

Sinossi. Terminato il servizio di leva, Hazel Motes torna nella sua città natale, nel profondo Sud degli Stati Uniti, dove incontra un predicatore di strada cieco, Asa Hawks, che lo convince a seguire il suo stesso cammino. Hazel comincia così a predicare una propria religione, quella della «Chiesa senza Cristo», finendo in un mondo completamente nuovo per lui, dove si trovano truffatori, «lolite» e poveri di spirito in cerca di affetto. Presto si troverà a vivere situazioni difficili da fronteggiare, tra opportunisti e falsi predicatori, imboccando una china tragica nella quale in gioco è la sua stessa integrità di cercatore assoluto, tanto onesto quanto incapace di governare i propri istinti e la propria vocazione.Dopo le fortunate raccolte di racconti torna, in una nuova traduzione, il romanzo d’esordio di Flannery O’Connor: la storia di un uomo in conflitto con la sua comunità, sospeso tra fede e blasfemia, nella quale sono già presenti tutti gli inconfondibili ingredienti di un talento narrativo ineguagliabile, tra i più puri e sconcertanti del Novecento letterario.

 Recensione Francesca Mogavero

Non si può sfuggire ai sussurri del sangue, alla memoria ancestrale che, spesso senza spiegazioni, spinge a fare qualcosa, a compiere un gesto discutibile e insensato in nome di una qualche ricompensa futura.

Perché è così che deve essere fatto e così sia.

Hazel Motes ed Enoch Emery sono due giovani delusi dallo Stato e dalla famiglia, e nemmeno lo sanno: l’uno richiamato alle armi, l’altro lasciato a se stesso, si muovono traballando per il mondo, un po’ emulando, un po’ elemosinando cura e attenzione, interpretando la realtà a modo loro: se Gesù consente la solitudine, l’abbandono e il trauma, allora non può – sarebbe inconcepibile – esistere; se un genitore è capace di prendersi gioco di un bambino, addirittura di venderlo, allora l’affetto deve essere ricercato altrove, sia pure in un salvatore rattrappito, con l’iniziale minuscola.

Si muovono su binari paralleli lungo le strade polverose del Sud, Haze ed Enoch, eppure, in momenti che sembrano stabiliti dal destino, le loro vie si incrociano e si ingarbugliano: forse, a non voler rintracciarla chissà dove, la salvezza potrebbe essere proprio lì, a uno spunto, in un convergere di emarginazioni e bizzarrie, in un fronte comune di gioventù bruciate ancora prima di accendersi. Invece no. Cercano altrove.

Haze, imitando e allo stesso tempo prendendo le distanze dal nonno, si autoproclama predicatore – e unico fedele – della Chiesa Senza Cristo, mentre Enoch si fa più bestia delle creature che tanto odia… e insieme, lontani eppure sovrapposti, scivolano lungo una drammatica e fatale china.

Perché dal sangue – o dalle tare irrisolte che ci si porta dietro, dalle ferite dell’infanzia, dagli irrisolti o da una strana forma di Grazia con un gran senso dell’umorismo, in fondo sono tutti sinonimi – non si scappa, e ciò che si cerca di soffocare, di seppellire sotto la sabbia e la rabbia, è in realtà ciò che sta più a cuore, ciò che si brama, ciò che serve per sperimentare almeno un secondo di pace, un’anticipazione di aldilà in cui i sensi sono assopiti e ci si muove ciechi come Edipo, ma senza più necessità di respirare, senza speranze né desideri.

Nel romanzo d’esordio La saggezza nel sangue, Flannery O’Connor getta già i semi delle tematiche che le saranno care… e ciò che nasce è una pianta forte, verde e rigogliosa in un campo arido, irrorato da poche piogge e abbondanti lacrime amare. L’animo umano.

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Flannery O’Connor


Generazioni intere di scrittori (da Elizabeth Bishop a Raymond Carver, passando per le nuove leve della narrativa di oggi) hanno riconosciuto in Flannery O’Connor una delle voci più geniali e influenti della letteratura americana del Novecento, consegnandola insindacabilmente alla categoria degli scrittori di culto – uno status a cui ha contribuito, come spesso accade, il fatto di aver trascorso una vita particolarmente appartata dalla mondanità letteraria, nonché tragicamente breve. Nata a Savannah, in Georgia, nel 1925, Flannery O’Connor si trasferisce a soli sette anni nella cittadina di Milledgeville, dove abiterà per tutta la vita. Nel 1947, sei anni dopo la morte del padre, lei e la madre ereditano una grande fattoria: è qui che la O’Connor mette su l’insolito allevamento di pavoni a cui si dedicherà con enorme passione e che diventerà parte integrante della sua immagine pubblica (in apertura alla raccolta di saggi Mystery and Manners [Nel territorio del diavolo] se ne trova un’indimenticabile descrizione). La passione per la scrittura comincia già all’epoca del college: presso la State University of Iowa Flannery frequenta corsi e laboratori di letteratura e comincia a inviare racconti alle riviste. È nel 1952 che pubblica il suo romanzo d’esordio, Wise Blood [La saggezza nel sangue], a cui faranno seguito una raccolta di racconti, A Good Man Is Hard to Find (1955) e un secondo romanzo, The Violent Bear It Away [Il cielo è dei violenti, 1960]. Il successo è immediato: fra il ‘57 e il ‘65 tre suoi racconti vincono il prestigioso O’Henry Award, e viene spesso invitata a tenere corsi e conferenze nelle università del Sud degli Stati Uniti. È proprio questo l’ambiente geografico e culturale in cui si consuma l’intera vicenda biografica e letteraria della O’Connor: le zone rurali della cosiddetta Bible Belt, percorse dalle tensioni razziali e dal fervore religioso – il mondo a cui aveva dato magistralmente voce William Faulkner, del quale Flannery O’Connor condivide la sensibilità per il grottesco e i toni espressionisti. I protagonisti della sua narrativa sono figure profondamente legate alla realtà locale di quella terra e descritte con un realismo sanguigno, ma le loro vicende – quasi sempre pervase di violenza, follia e deformazioni – trascendono a veri e propri simboli della presenza contraddittoria e inquietante del divino, del mistero e della grazia nella vita umana. Il cattolicesimo è infatti una delle componenti basilari della cultura e della scrittura della O’Connor; la sua è una fede profondissima e assolutamente ortodossa ma che non degenera mai nel facile moralismo: ai gusti perbenisti dei bigotti oppone anzi storie a tinte forti e senza finali consolatori, ben consapevole della sua problematica missione di narratrice cattolica nel territorio del diavolo. Il lupus eritematoso, la stessa malattia del sistema immunitario che aveva ucciso il padre, si manifesta per Flannery O’Connor nel 1950, a soli venticinque anni. Malgrado continue cure molto pesanti, che le fanno gonfiare il viso e perdere i capelli, e la costringono a camminare con le stampelle, le sue condizioni non miglioreranno mai. Nel 1964 le viene diagnosticato un tumore, che in concomitanza con la malattia è difficile da curare. Subisce un’operazione, ma poco dopo peggiora nuovamente, e muore il 4 agosto. Dopo la sua morte è uscita una seconda antologia di racconti (Everything That Rises Must Converge, 1965) e, a cura di Robert e Sally Fitzgerald, due fra i suoi amici più cari, una raccolta di saggi, Mystery and Manners, nel 1969 e una di lettere, The Habit of Being [Sola a presidiare la fortezza], nel 1979.

A cura di Francesca Mogavero

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