Recensione di Sara Ferri
Autore: Graeme Macrae Burnet
Traduzione: Simona Fefè
Editore: Neri Pozza
Genere: giallo
Pagine: 253
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Al Restaurant de la Cloche, nell’anonima cittadina di Saint-Louis, al confine tra la Francia e la Svizzera, è una sera come tante: Pasteur, il proprietario, si è versato un pastis, a significare che la cucina è ormai chiusa; Marie, sua moglie, è intenta a sistemare le posate e Adèle, la cameriera, serve il caffè agli ultimi due commensali e comincia a pulire le tovaglie cerate sugli altri tavoli. Diciannove anni, le labbra piene e la carnagione olivastra, Adèle lavora al Restaurant de la Cloche da cinque o sei mesi ed è un tipetto scontroso, poco incline a dare confidenza ai clienti abituali, soprattutto a Manfred Baumann che ogni sera, seduto al solito posto, la segue incessantemente con lo sguardo, scrutando, furtivo, il pizzo del reggiseno che si intravede dalla camicetta, o la gonna che si solleva lungo le gambe quando la ragazza si abbassa per raccogliere le briciole. Direttore di banca dall’aspetto ordinario, Manfred è un solitario, un uomo goffo e sfuggente, capace di mettere a disagio chiunque si trovi in sua presenza e, perciò, guardato con inquietudine e sospetto dagli altri avventori del locale. Quando un giorno, senza spiegazioni, Adèle svanisce nel nulla, in cima alla lista dei probabili sospettati non può che figurare il nome di Manfred Baumann. A indagare sul caso viene chiamato l’ispettore Gorski, della polizia locale. Sulla cinquantina, ben piazzato e di altezza media, Gorski è perseguitato dall’amara consapevolezza di non essere riuscito a risolvere il suo primo caso di omicidio, quello di una giovane donna ritrovata strangolata in un bosco, vent’anni prima. Il detective si mette perciò a scandagliare la vita di Manfred con solerte meticolosità, per non lasciarsi sfuggire nessun dettaglio. Magistrale thriller ambientato nella campagna francese, sorto dalla sofisticata penna dell’autore di Progetto di sangue, La scomparsa di Adèle Bedeau, «ha tutte le caratteristiche di un classico di culto» (Louise Hutcheson).
Recensione
C’è qualcosa di perverso nella ritualità del quotidiano. La malsana sensazione che il tempo scandito dalle azioni che si ripetono in sequenza, giorno dopo giorno, non sia poi un’abitudine in grado di salvarci dalla follia.
Questo insieme di gesti ripetuti che riempiono lo spazio del tempo è un’altalena in cui le emozioni seguono un percorso lineare e costante.
Il tutto poi, sembra svolgersi in un ambiente finito, con confini ben delineati, quelli del Restaurant De La Cloche. Questo luogo, il cui nome non so cosa significhi, ma che, nel pronunciarlo, mi riporta alla mente il sapore di un piatto caldo, dolce e cremoso.
Dentro le mura di quello che, più di un luogo di ritrovo, diventa un luogo di vita, anzi di vite, i personaggi si contano sulle dita di una mano.
Eppure, nonostante i nomi di ognuno di loro sia ripetuto nelle pagine più e più volte, il loro ricordo sfugge alla memoria. Sono le ombre ai lati del quadro, la musica di sottofondo del film o le parole nascoste tra le righe di una pagina scritta.
Possono sembrare personaggi di poco conto, la cui presenza risulta insignificante.
Il tempo passa, le ore scorrono e ci si ritrova di nuovo seduti al tavolo del Restaurant De La Cloche. Il mormorio dei presenti, il profumo delle pietanze che si spande nella sala e un alone che avvolge tutto. Tutto, tranne i due protagonisti.
Il buio illuminato dai riflettori che sembrano posarsi sulle loro sagome che si muovono sinuosi come ballerini al centro di una sala da ballo.
Non ci sono colpi di scena, non ci sono momenti di suspence estrema in questo romanzo raffinato. L’autore crea una trama magistrale che calza a pennello anche al lettore anche più esigente come un vestito di alta sartoria.
La narrazione segue il filo degli eventi che si susseguono in uno scorrere lento ma mai noioso. Non è l’inedia che coglie il lettore, bensì una crescente e costante necessità di comprensione verso ciò che sta accadendo. Si cerca il significato di piccoli e, a prima vista, insignificanti eventi. Anche solo minuscoli indizi che qualcosa sia successo. Successo veramente e non solo nella testa del protagonista.
Ci si domanda cosa avverrà nella pagina successiva e in quella dopo ancora.
Un rincorrersi di pagine in cui nulla sembra accadere ma in cui il finale si profila nitido, poco alla volta, a mano a mano che la conoscenza porta con sé la scoperta di una visuale tutta nuova sui protagonisti.
E qui la bravura dell’autore trapela in tutta la sua potenza. Una capacità rara. Quella di creare l’habitat perfetto ad una narrazione di pregio.
La scomparsa di Adele Bedeau è un romanzo calzante per la società odierna. Un mondo in cui ci si sente soli anche quando si è circondati da persone. Una realtà in cui la routine sembra salvarci dall’impazzire… o forse serve a nascondere il nostro avvicinarsi verso l’orlo del baratro.
Graeme Macrae Burnet
è nato e cresciuto a Kilmarnock e ha vissuto a Praga, Bordeaux, Porto e Londra. Attualmente vive a Glasgow, in Scozia. Con il suo precedente romanzo, The Disappearance of Adèle Bedeau, si è segnalato sulla scena letteraria internazionale come uno dei nuovi importanti autori di lingua inglese.
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