La sentenza è morte





DETTAGLI:

Traduttore: Francesca Campisi

Editore: Rizzoli

Genere: Giallo

Pagine: 303

Anno edizione: 2024

Sinossi. Se a Londra c’è un business redditizio e con pochi rischi è quello dei divorzi. Almeno questo pensava l’avvocato Richard Pryce prima di venire tramortito e ucciso con una bottiglia da duemila sterline di Château Lafite Rothschild nella sua villa di Fitzroy Park. Un particolare bizzarro, considerato che Pryce, che si è assicurato una discreta fortuna rappresentando le celebrità londinesi in cause di separazione milionarie, era astemio. Ma i punti interrogativi non finiscono qui: a che cosa fa riferimento il numero a tre cifre (182) pitturato sulle pareti dello studio? E a chi erano rivolte le parole di Pryce – “Tu che ci fai qui? È un po’ tardi” – sentite pronunciare dal marito, al telefono con lui prima che cadesse la linea? Per il caso la polizia si affida a Daniel Hawthorne, ex piedipiatti che tuttora collabora con le forze dell’ordine nei casi più spinosi, e Hawthorne tira in mezzo ancora una volta lo scrittore Anthony Horowitz. Nonostante le incompatibilità caratteriali – uomo scontroso e iracondo il primo, decisamente più mite il famoso giallista – i due formano ormai una coppia ben collaudata, e si imbarcano in un’indagine che trabocca di sospettati con moventi più che validi ma alibi altrettanto solidi. Nonché, zeppa di segreti; perché qui, in questo Cluedo appassionante e dalle mille svolte impreviste, ogni personaggio sembra mentire, primi fra tutti lo stesso Hawthorne e il geniale scrittore.

 Recensione di Diego Pitea

I libri di Horowitz mi piacciono. Quando li leggo intuisco fra le pieghe delle pagine come l’autore voglia ispirarsi ai grandi classici del passato, di cui è stato certamente lettore.

Anche in questo caso abbiamo tutti gli elementi che contraddistinguono questo genere meraviglioso: un omicidio naturalmente, una cerchia ristretta di sospettati, indizi sparsi qua e là e come nella migliore tradizione una frase misteriosa lasciata dall’assassino e che costituisce la sua firma.

In passato altri scrittori hanno usato lo stesso stratagemma: da Conan Doyle e Ellery Queen, tanto per citare i più famosi.

Devo dire che questa cosa mi ha stuzzicato parecchio.

La trama ruota attorno all’omicidio di un avvocato divorzista e mentre all’inizio sembra collegato al lavoro di quest’ultimo, successivamente si capisce come prenda avvio da un episodio avvenuto molti anni prima, durante una spedizione speleologica.

Sulle tracce dell’assassino, oltre alla polizia metropolitana, si mette anche Hawthorne, un ex poliziotto, adesso consulente, affiancato dallo stesso scrittore, Horowitz, che funge, come Watson, anche da narratore, in un simpatico easter egg.

Gli indizi per arrivare alla soluzione prima dell’investigatore (aspetto che ritengo fondamentale per definire un giallo di qualità) ci sono e sono abbastanza plausibili e ben congeniati. Il personaggio di Hawthorne mi ha ricordato alla lontana il Philo Vance di Van Dine e nella sua apparente intrattabilità sta anche la sua forza, perché Horowitz ci fa intuire le varie sfaccettature del personaggio.

Devo dire che è stata una lettura abbastanza piacevole, se non fosse che i libri di Horowitz mi deludono sempre un po’ nel finale. Anche in questo caso avevo individuato l’assassino a un quarto del libro.

Consigliato a tutti gli amanti dei gialli di stampo classico e a chi ama cimentarsi insieme con l’investigatore con la scoperta dell’assassino.    

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Anthony Horowitz


è uno degli scrittori più prolifici ed eclettici del Regno Unito, noto per la serie bestseller di Alex Rider. Sceneggiatore per la televisione, ha prodotto, tra le altre, la prima stagione dell’Ispettore Barnaby. Nel 2014 ha ricevuto il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per meriti in campo letterario. I delitti della bella di notte (Rizzoli 2021) è il secondo volume della serie dell’autore.