LA TERZA
PALLOTTOLA
Leo Perutz
DETTAGLI:
Traduttore: Margherita Belardetti
Editore: Adelphi
Genere: Narrativa
Pagine: 286
Anno edizione: 2024
Sinossi. Quando «La terza pallottola» apparve nel 1915, pochi conoscevano il nome del suo autore, un giovane matematico praghese cresciuto nel fervido clima letterario della Vienna di inizio Novecento. Il successo fu immediato, e non c’è dubbio che quel romanzo d’esordio mostrasse già lo stigma inconfondibile dell’arte del suspense di Perutz: l’insinuarsi, in una vigorosa narrazione storica, dell’elemento onirico-fantastico, che, simile a un perturbante soffio metafisico, arriva a pervaderla interamente, fino a sfociare in una visionarietà allucinata. Lo sfondo principale, estremo e feroce, è qui l’assedio spagnolo di Tenochtitlán, e protagonista è Franz Grumbach, wildgravio tedesco bandito da Carlo V per la sua fede luterana e rifugiatosi nel Nuovo Mondo, dove ora, obbediente ai suoi nobili ideali, combatte i «conquistadores» al fianco degli indios. Fra inganni, atti di brutale violenza, inquietanti fenomeni «naturali» (come l’edera che avanza rapidissima dalla selva e per tre giorni e tre notti avvolge l’accampamento spagnolo) e apparizioni diaboliche, assisteremo all’implacabile rivalità tra Grumbach e il sadico, seducente duca di Mendoza, figlio come lui del re Filippo di Spagna e amico fidato di Cortés. E seguendo le loro traversie rimarremo anche noi avvinti – come lo fu Borges, che venerava Perutz – da questa narrazione fragorosa, folta di immagini e colori, intarsiata di continue dissolvenze tra sonno e veglia, dove gli innumerevoli fili sembrano convergere su un archibugio che può sparare solo tre pallottole: tre pallottole maledette in cui sono iscritti il destino dell’Impero azteco e, insieme, quello tragico di Grumbach.
“Tutto sotterra va, torna nel gioco!” P. Valéry
Recensione di Edoardo M. Rizzoli
Questa è la storia di Franz Grumbach, nato conte del Reno e divenuto fuggiasco dall’ira dell’Imperatore nel Nuovo Mondo che con un pugno di compagni, un archibugio vinto ai dadi e tre pallottole seppe tenere in scacco l’Armada di Cortez durante le guerre contro gli aztechi del potente tlatoani Montezuma.
E’ una leggenda, una fantasia dei febbrili reduci delle colonie d’oltremare o è la testimonianza di fatti davvero accaduti? È un sogno o è la realtà? O come spesso accade «nella legge crepuscolare del ricordo, in cui le cose viste(…) e quelle raccontate da altri si confondono, nel giardino inselvatichito del tempo».
Perutz costruisce un intreccio affascinante e complesso, storicamente verosimile che si spande come una nebbia nel progredire delle pagine, popolate di voci, di contadini e soldati luterani, di spagnoli, aztechi, di Cortés, Montezuma, Grumbach stesso (che combatte con gli Aztechi contro l’imperatore), della fanciulla Dalila, della nobildonna Catalina Juarez amante ora respinta del duca di Mendoza nelle cui vene «non scorre sangue bensì solo la sabbia ardente del deserto dei mori». Storie su storie.
La narrazione ora è avvolgente e schietta ora si allunga imprecisata diradandosi in piccoli aneddoti in cui la commistione tra sogno, incubo e realtà dapprima ingrandisce per poi nuovamente buttarsi a capofitto tra cronaca e racconto.
La vicenda, l’aprirsi della tenda sul pubblico, il palco dove sarà messa in scena più di una storia , inizia durante le guerre di religione tra i principi luterani tedeschi e il Re cattolico Carlo V di Spagna, il cui luogotenente duca Juan de Mendoza si confronta con il conte Franz Grumbach, WildGraf am Rhein.
Da subito l’impero delle parole si fa di una materia instabile, voluminosa e dotta. Esiste un mondo impalpabile fatto di profezie, di diavoli, di ossessioni. Un palcoscenico su cui si muovono i demoni di un mondo in rovina “una patria prossima ad estinguersi “ come scrisse Manganelli.
E dunque eccomi come il buon soldato ad annunciare:
«Salve a te, wildgravio! Attraverso i mari e i tempi io ti saluto, uomo solitario. Non arretrasti davanti alla furia di Cortés, fronteggiando indomito, con le tue tre pallottole, l’intera Armada spagnola. E dal momento che ora riposi in terra straniera e nessuno si ricorda di te sul suolo germanico, voglio essere io colui che dalla tua sepoltura lontana ti riconduce a casa, in un canto tedesco».
Tre pallottole dunque. L’archibugio, l’Armada spagnola, Montezuma. Da questa mistura, da questa trinità del caso, scaturisce un pellegrinaggio onirico nelle terre del Nuovo Mondo dove tante sono “le bizzarrie, nelle foreste e in ogni dove, che non si fa più caso alle eccentricità dell’animo umano, quali rabbia, brama di vendetta ed eresia”.
I fantasmi, i demoni, le maledizioni, gli uomini, gli amori, le superstizioni,si mettono vorticosamente in moto in una gigantesca mappa battuta da scalmanati spergiuri, da soldati di fede, da alchimisti, da gente come Franz Grumbach ( che una volta fu wildgravio di Grumbach e del Reno)la cui storia narrata è trascorsa in un soffio e dispersa nel tempo come le esistenze di tutti.
C’è sempre nei romanzi di Leo Perutz un bordo mutevole, un contorno vermiglio che degrada nell’ombra lungo tutta la narrazione . Qualcosa di inafferrabile e oscuro che spinge le storie e la ventura degli uomini verso i sogni della notte e dell’anima.
È un libro ingegnoso, una miscellanea di generi e di toni, e sebbene fu l’esordio letterario di Leo Perutz esso contiene molte delle tematiche che caratterizzeranno negli anni le opere dello scrittore austro-ungarico (praghese per nascita e viennese per scelta). In primis certamente le concezioni del tempo e dello spazio (raumm und zeit) collegate alle linee del ricordo e della dimenticanza (erinnen e vergessen). Poi il ruolo del destino e del caso. E su tutto una scrittura raffinata, labirintica a volte, vertiginosa.
Il caso è ciò che fa vincere l’archibugio al protagonista in una partita a dadi. Il perdente verrà condannato a morte da Cortez per aver smarrito la sua arma e sulla forca maledirà Grumbach e le sue tre pallottole.
Ma il destino è più forte del caso, sembra dirci Perutz, rimettendo le sorti della guerra e della sua vita nelle mani del WildGraf.
« Fratelli! Rendere invulnerabili e fondere pallottole benedette non è affatto arte diabolica, bensì usanza guerresca che ci viene dai padri. lo stesso ho conosciuto un tal García Novarro – buon cristiano al punto da essere chiamato Segretario del Cielo – che sapeva benedire le pallottole, come se avesse sbirciato nella fucina del diavolo ».
« Lo conoscevo anch’io. Non ha fatto una bella fine! »
si intromette vociando qualcuno.
«Già» replica il vecchio. « È scivolato nella beatitudine eterna attraverso un cappio di canapa. Aveva perso al gioco l’archibugio con il lanzo del Tedesco e non riuscendo a riaverlo, nonostante mille suppliche, Cortés l’ha messo agli arresti con i piedi penzoloni. Ma prima che lo impiccassero ha maledetto le tre pallottole del Tedesco orbo, sviandole a tal punto che la prima colpì il re pagano sulla cinta di mura, la seconda l’incolpevole fanciulla e la terza il Tedesco stesso! ».
Benché il grande meccanismo della storia, del Caso, sembri procedere contro l’uomo, estinguendolo al punto da farlo sentire solo e irriconoscibile, egli per qualche ragione che non è mai nota se non a colui che la riesce ad imbrigliare si pone in una luce chiara ed inestinguibile, agita la sua mano, si ribella al punto da fissare le sguardo verso l’eternità.
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Leo Perutz
Matematico e scrittore, Leo Perutz nacque a Praga da un’agiata famiglia ebraica, nel 1882, e morì a Bad Ischl (Austria) nel 1957. Visse a Vienna e nel 1938 emigrò in Israele. Alla città natale dedicò uno dei suoi libri più famosi, Di notte sotto il ponte di pietra(1953). Fra gli altri suoi romanzi ricordiamo: La terza pallottola (1915); Il Marchese di Bolibar (1920); Tempo di spettri (1928); Il cavaliere svedese (1936); La neve di san Pietro (1998).