di Paola Barbato
Editore: Neri Pozza
Genere: thriller
Pagine: 416
Anno edizione: 2024
Sinossi. È possibile cancellare il passato e liberarci della persona che siamo stati? Mara Paladini ci sta provando da tredici anni, dopo aver scontato una pena in una struttura psichiatrico-giudiziaria per il tentato omicidio del marito e dei due figli. Il nome di quella donna affetta dalla sindrome di Münchhausen per procura – una patologia che porta a far ammalare le persone che si amano per poi curarle e prendersi il merito della loro guarigione – era Mariele Pirovano, ma quel nome Mara lo deve dimenticare, perché quella persona non esiste più. Almeno questo è ciò di cui tutti vogliono convincerla. Lei però non ci crede e nella sua nuova vita in una grande città, a centinaia di chilometri dal proprio passato, ha costruito una quotidianità che la tiene lontano dal mondo, che le impedisce di nuocere ancora: non esce quasi mai e della casa procurata dai servizi sociali ha fatto una prigione di scatoloni e memorie, dove seppellire per sempre Mariele. Un giorno però nella sua torre d’avorio si apre una breccia. Comincia tutto con una piccola macchia di umidità sul soffitto, che la costringe ad andare al piano di sopra per avvertire il vicino. Potrebbe essere cosa da nulla, invece la scena che le si presenta è un uomo morto, con i segni dell’avvelenamento sul corpo. Mara potrebbe non riconoscerli, quei segni; Mariele invece non ha dubbi, perché così ha quasi ucciso le tre persone che amava di più. Ora Mara sa che è stato tutto inutile, che il suo passato l’ha riagguantata: ora Mara sa che l’unica possibilità è la fuga, da chi vorrà incolparla di quell’omicidio e da chi invece lo ha commesso per incastrarla.
Recensione di Sabrina Russo
Si può concepire l’idea che più amiamo qualcuno, più desideriamo che stia male, così da potergli offrire le nostre cure, sentirci utili al riguardo e prenderci il merito per la sua guarigione? Si, se si è affetti dalla sindrome di Münchhausen per procura.
Mariele Pirovano è una donna particolarmente bella, precisa, accomodante per natura, cresciuta in modo da essere servizievole, quasi sottomessa. Ritiene di non avere nessuna dote particolare che la contraddistingua, anzi, pensa di essere completamente inutile.
Si innamorata di Luca, uomo affascinante, anni dedicati allo studio, per poi approdare ad una splendida carriera. In seguito il matrimonio, il formarsi di una famiglia che vede la nascita di Andrea e Clara, una casa più grande, accogliente, curata, in particolar modo il giardino.
Questo è ad uso esclusivo di Mariele, che lo cura in maniera pressoché impeccabile, con amore e dedizione. In questo contesto idilliaco spesso accade che Luca ed i figli si sentano male, (soprattutto Clara, la minore), accusino dolori addominale, debolezza, nausea, spossamento.
Purtroppo non si tratta di nessuna patologia in particolare, ma semplicemente di una madre che sistematicamente avvelena le persone che ama, per potersene poi prendere cura, così da sentirsi utile e importante. Una donna vittima di una malattia, la Münchhausen per procura, come precedentemente accennato.
Tredici anni dopo ritroveremo Mara Paladini che, trascorsi i primi otto anni in una struttura denominata REMS (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), da cinque vive in una nuova casa da sola, con frequenti visite di un’assistente sociale.
Ed è in questo luogo che ha scelto di costruire la sua personale “torre d’avorio”. Le sono stati recapitati un numero infinito di pacchi dove vi è custodito tutto il suo passato. Perfettamente impilati, distribuiti con criterio all’interno dell’appartamento, in modo da lasciarle uno spazio esiguo in cui vivere e muoversi.
Mara ha eretto la sua prigione, dalla quale non esce quasi mai, un esilio autoimposto, poiché non ritiene di essere guarita, innocua, di meritare una vita felice. La scoperta della morte del suo vicino di casa la farà ripiombare nel baratro, poiché un occhio allenato come il suo non impiegherà molto prima di esprimere l’indiscutibile sentenza: morte per avvelenamento.
L’autrice si muove con delicatezza ed empatia all’interno della mente e del cuore di Mara. I suoi sentimenti, la sua personale sofferenza, le conseguenze del suo gesto sulla sua famiglia, in particolar modo sui figli, e le conseguenti ripercussioni sulla sua vita sono una costante durante tutta la narrazione.
Mara si ritiene una persona nociva, il veleno una componente imprescindibile della sua esistenza che involontariamente trasmette agli altri, arrecando danni o morte. L’unica soluzione possibile? Smettere di volere bene o amare chiunque.
“Tirò una riga sui nomi di Moira, Beatrice, Maria Grazia e Fiamma. Non si fidava di sé stessa ma di loro quattro sì.”
Emozionante la profonda amicizia che si crea tra queste cinque donne durante gli anni alla REMS, accomunate dall’aver perpetrato reati definiti “deviati”, a dimostrazione di come alcune relazioni che nascono in circostanze estreme, peculiari, portino persone completamente diverse e minimamente affini, a stringere rapporti solidi e indissolubili, capaci di sopraffare il trascorrere del tempo.
Toccante la figura di Luca, un uomo buono che è andato oltre, ma ancora incapace di perdonare. Un sentimento, il loro, spezzato per sempre da un destino che si è dimostrato impietoso, e che vede due persone ancora legate dall’amore per i figli, dall’intimità e dall’affetto, “costrette” dagli eventi ad un rapporto formale e distaccato.
Altrettanto difficile non immedesimarsi in Clara, incapace di amarsi e di amare la vita, cresciuta con l’idea che la madre abbia cercato di ucciderla, che non ci sia riuscita ma che ora niente, se solo volesse, potrebbe impedirglielo.
“Io non ho avvelenato più nessuno perché non ho amato più nessuno. Ho evitato di affezionarmi a chiunque. Io avveleno solo se amo. So che suona assurdo ma è così”
Un thriller che parla di amicizia ed espiazione, indaga e scava nel profondo dell’animo umano, portando in superficie realtà ineluttabili, alle quali non sempre possiamo far fronte, costretti, piuttosto, a soccombere.
Una trama coinvolgente, di tensione ed avventura, a tratti ironica, che dà adito a diversi spunti di riflessione e denota un’indubbia ricercatezza da parte dell’autrice per quanto concerne la malattia in questione, le peculiarità di alcuni veleni e quella tipologia di relazione che nasce e si rafforza solo in determinate circostanze.
Scritto in terza persona, alterna differenti punti di vista e permette alle digressioni temporali di far conoscere al lettore il passato dei personaggi, consentendo così un’immedesimazione totale. Finale inquietante.
Ed ora mi domando: chissà quanti, dopo aver letto questo libro, riterranno ancora naturale accettare un bicchiere d’acqua da chicchessia o che so io, una zolletta di zucchero?
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Paola Barbato
(Milano – 1971) è stata la prima sceneggiatrice di Dylan Dog, con il numero Il sonno della ragione (2002). Per la Sergio Bonelli Editore scriverà poi oltre trenta episodi della serie assieme ad altri fumetti tra cui Sighma (2008), Darwin (2012), 10 ottobre (2022). Nel 2006 esordisce come scrittrice col romanzo thriller Bilico (Rizzoli). Nel 2008 fa seguito Mani nude, che vince il Premio Scerbanenco. Tra gli altri titoli, Il filo rosso (Rizzoli, 2010), Non ti faccio niente (Piemme, 2017) e Io so chi sei (Piemme, 2018), primo romanzo di una trilogia. Numerosi sono i libri scritti per Piemme tra i più recenti ricordiamo: Il dono (2024), Dark – La porta viola (2023), Il buio che paura (2023), La cattiva strada (2023) e La piega del tempo (2022). Ha anche lavorato per la televisione, sceneggiando la fiction in due puntate Nel nome del male con Fabrizio Bentivoglio, trasmessa da Sky nel 2009. Si occupa di questioni sociali in qualità di presidente della Onlus “Mauro Emolo” che sostiene persone colpite dalla Corea di Huntington.
A cura di Sabrina Russo
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