Autore: Brooke Robinson
Traduttore: Sara Meddi
Editore: Piemme
Genere: thriller
Pagine: 384
Anno edizione: 2024
Sinossi. Revelle è una mamma single, con un lavoro più che impegnativo: è un’interprete in tribunale. Grazie alle dieci lingue che ha imparato durante un’infanzia vagabonda, spesso è la sola in aula a capire che cosa sta dicendo un testimone, e sa bene che una frase intesa male può decidere il destino di un processo. Una sola parola e un’intera vita può cambiare per sempre. Per questo, Revelle è sempre stata impeccabile. Finché un giorno, convinta che un imputato sia colpevole di omicidio, sull’onda dell’emotività contro cui ha sempre lottato, fa l’impensabile: cambia una sola, minuscola parola, stravolgendo una testimonianza per incastrare l’accusato. In fondo, pensa, nessuno se ne accorgerà mai… Ma quando comincia a ricevere minacce, e si rende conto che anche suo figlio è in pericolo, capisce che l’errore di un’interprete può costare molto, molto caro…a.
Trama. Ravelle è un’interprete particolarmente dotata, conosce alla perfezione ben dieci lingue tra le più diverse del pianeta grazie ai soggiorni effettuati in quei paesi stranieri al seguito della madre. Ravelle, pur ricca ma orgogliosamente decisa a non richiedere nulla dell’eredità spettante è costretta a sobbarcarsi estenuanti trasferte per accettare i più disparati incarichi grazie ai quali sbarcare il lunario anche perché ha deciso di adottare un bambino difficile, situazione che, oltre che dal punto di vista economico le è pesante anche dal punto di vista emozionale. Come se non bastasse la situazione personale di Ravelle peggiora nel momento in cui, mossa da un del tutto personale senso di giustizia, decide di pilotare le proprie traduzioni giudiziali al fine di orientare i processi verso la condanna o meno dell’imputato. Tra problemi economici e dubbi morali incominciano ad affacciarsi nella vita della giovane anche inquietanti avvenimenti che, in breve, diventano ricatti e minacce.
Recensione di Bruno Balloni
Un romanzo che mi aveva intrigato per la trama, interessante e piuttosto originale, peccato che, dopo poche pagine, pochissime, la narrazione debordi da quanto descritto in sinossi e prenda altre direzioni:
le problematiche derivanti dall’adozione di un bambino difficile, i sensi di colpa verso la fine di un’amicizia finita, le remore per avere tradotto fedelmente una testimonianza che però ha portato il tribunale a dichiarare non colpevole la presunta rea.
È vero che quest’ultimo fatto ingenera nella nostra protagonista la volontà di diventare “giudice” anziché semplice interprete, pilotando le proprie traduzioni verso il suo personale senso di giustizia, salvo poi ammorbarci con le paranoiche paure di essere scoperta, perdere il lavoro, andare in prigione e, di conseguenza non potere più fare da madre al bambino adottato, ma è anche vero che le vicende giudiziarie diventano sempre più marginali rispetto alle tematiche già descritte delle quali è saturo il romanzo.
Tutto cambia nelle ultime cinquanta pagine nelle quali forse l’autrice si ricorda che il suo romanzo deve essere un thriller e, allora, la storia prende un’improvvisa accelerazione verso un finale scontato e preannunciato.
Critico, a mio modo di vedere, anche lo stile: banale ed elementare seppure infarcito di tanto in tanto di qualche termine dotto. Ritmo generalmente piatto dove, improvvise accelerazioni appaiono fin troppo sincopate e artificiose.
Nel complesso un lavoro che, la mia piuttosto estesa esperienza di lettore, mi porta a giudicare insufficiente.
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Brooke Robinson
nata a Sydney, ha lavorato in una libreria prima di approdare alla scrittura. “La verita tradita” è il suo primo thriller, di grande successo in Inghilterra e negli USA e in corso di traduzione in tutta Europa.