Recensione di Francesco Morra
Autore: Giulia Caminito
Editore: Bompiani
Genere: Narrativa
Pagine: 304
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subito Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti.
Recensione
Io sono la donna spezzata e opaca, quella che si rifrange sulle superfici e la vedi sempre a metà.
Voglio ringraziare Giulia Caminito. Ha scritto un romanzo che mi ha rinfrancato e riappacificato con la narrativa italiana contemporanea.
Una storia che non si dimentica, quella esposta nelle quasi trecento pagine del suo romanzo L’acqua del lago non è mai dolce edito Bompiani. Una stile elegante e conturbante.
L’io narrante in una sorta di soliloquio narrativo permea le pagine di ricordi e ci racconta la sua vita. Una esistenza costruita in una famiglia matriarcale che con grande dignità combatte per trovare la sua identità nel mondo.
La madre Antonia con volitiva caparbietà è il generale indiscusso che erge nel mondo per tutelare la sua famiglia. Il marito prematuramente invalido e bloccato sulla sedia a rotelle è in disparte e lei bada alla casa e ai suoi quattro figli. Il racconto, come ricordato è della figlia di Antonia, il cui nome ci viene svelato a fine libro.
La madre vuole che sua figlia si affranchi e ottenga con lo studio un posto nel mondo. Ebbene il narratore ci racconta la sua infanzia, adolescenza ed età adulta. La vita di paese di Anguillara Sabazia presso il lago di Bracciano.
I suoi amori, amicizie e le sensazioni che prova in un’ambiente domestico che la soffoca e con sobria umiltà si è dispensati dal superfluo per badare al necessario. La figlia si sente legata e sottomessa al volere materno, ma internamente cova risentimento che esprime nelle pagine di questo libro, si sente spettatrice e a disagio percependo tutto il disincanto mondo.
Questa sua sofferenza che si sviluppa e allarga in tutto il suo darsi agli altri intacca il suo modo di vivere. La Caminito regala emozioni e sostanzia quanto la scrittura sia un viaggio nella introspezione e riesca a far smottare e ruzzolare emozioni. Non si può rimanere inerti. La sua protagonista ha forti momenti di ribellione. Si dedica agli studi ma si sente inadatta.
Respinge gli altri e quando cede e viene delusa nelle affettività reagisce con una aggressività di una violenza inusitata e senza alcun rimorso. Tutto forma e sforma ognuno di noi. Il quotidiano vissuto ci struttura e destruttura. La sensibilità ed emotività è costituita da una ambivalenza endogena ed esogena. Molti punti sono raffinatamente strazianti per le elucubrazioni descritte. Sono libri questi, da rileggere e tenere cari. Una ricchezza densa.
Scelta indovinata la non menzione se non al termine di un capitolo del nome di chi ci parla attraverso le parole. Riesce a creare ciò una empatia e davvero notevoli alcune descrizioni oniriche. Non voglio dire il nome di questa donna, dovete scoprirlo voi leggendo e diffondendo questo romanzo che ho adorato. Mi ha fatto male in alcuni punti ma è stato un dolore edificante. Vi sono alcuni aspetti di noi, generazione nata a cavallo degli anni novanta: l’insicurezza, la precarietà, le nostre voglie e frustrazioni.
Leggendo questo libro traspare come siamo spettatori di uno sfacelo e superpreparati e formati che invece di aver spazio siamo un gradino indietro a quanto i nostri genitori hanno realizzato. Siamo più giù ma essendoci costruiti una cultura siamo ancora più arrabbiati perchè siamo coscienti e culturalmente consapevoli delle vessazioni.
Urliamo ma questo mondo sordo ci lascia sfogare le nostre frustrazioni e sogni infranti diventano una eco nella caverna della quotidianità che nessuno raccoglie. Solo i più integri in questo cotidie sfrantumato ce la fanno.
Un libro da knock out e che chiuso non è inerte ma incandescente. Nella nota della autrice Giulia Caminito, lei ribadisce che il tutto è una sua rielaborazione letteraria di quanto ha appreso anche dalle storie di alcune donne. Non è un collage di vite vissute ma uno spunto su cui poi lei ha edificato, rielaborandola e arricchendola letterariamente nel suo romanzo. Giulia ci parla e permette di confrontarci con una anima palpitante che soggioga ammaliando.
Quello che ho fatto per anni è stato aspettare rivoluzioni, slavine, reazioni a catena che portassero come ultimo effetto alla mia ascesa, al dischiudersi di infinite possibilità.
A cura di Francesco Morra
Giulia Caminito
è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40).
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