Recensione di Cristina Bruno
Autore: Pupi Avati
Editore: Solferino
Genere: romanzo storico
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Ravenna, 1321: esiliato e misconosciuto, Dante Alighieri esala l’ultimo respiro. Nel convento delle clarisse di Santo Stefano degli Ulivi, l’albero di mele selvatiche che le suore chiamano «l’albero del Paradiso» smette misteriosamente di dare frutti. Trent’anni dopo Giovanni Boccaccio, studioso appassionato dell’opera dantesca, riceve un incarico singolare: andare in quel convento, dove risiede la figlia di Dante, divenuta monaca con il nome di suor Beatrice, e consegnarle un risarcimento in denaro per l’esilio ingiustamente subito da suo padre. Sarà un viaggio di riparazione e di scoperta, ma anche di fatica e pericoli, non ultima l’accoglienza non sempre entusiastica ricevuta dai conventi dove l’opera del Sommo è ancora vietata, in odore di eresia. E per Boccaccio sarà l’occasione di riandare ai momenti più importanti della vita dell’Alighieri, le sensibilità di bambino e l’incontro con Beatrice, la politica e i tradimenti, l’amarezza della cacciata da Firenze, il tormento e l’estasi della scrittura. Trovando conferma, lui, scrittore, di quanto il dolore promuova l’essere umano a una più alta conoscenza.
Recensione
La notte del 14 settembre 1321 Dante Alighieri muore a Ravenna, in esilio. Nel 1350 Giovanni Boccaccio, appassionato lettore e biografo di Dante è incaricato dalla Compagnia di Orsanmichele di recare un risarcimento di 10 fiorini d’oro alla figlia Antonia, divenuta suor Beatrice, che vive in un convento a Ravenna. Il risarcimento serve a riparare tardivamente il torto “per le pene inflitte ingiustamente dalla città di Firenze al di lei genitore.” Boccaccio inizia così il suo breve viaggio nel tempo e nello spazio rievocando durante il cammino episodi della vita del sommo poeta.
In questo testo breve e denso possiamo riscontrare un doppio omaggio a due grandi della letteratura italiana, Dante e Boccaccio. E doppio è anche il filo che lega i due autori. Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante infatti ripercorre la vita del poeta, le sue gesta, le sue scelte politiche e si sofferma sul suo grande amore, Beatrice, narrando l’incontro tra i due ancora fanciulli, il matrimonio di lei con Simone de’ Bardi e lo sfortunato epilogo con la morte della giovane appena venticinquenne.
Proprio dal testo di Boccaccio parte l’autore per costruire, come in una sceneggiatura, la vicenda in parallelo dei due scrittori. Da un lato seguiamo i tratti salienti della vita di Dante, bambino, adolescente e poi adulto dal carattere fiero, e dall’altro ci poniamo in viaggio con Boccaccio che ne ammira l’opera immortale. Ed è attraverso i suoi occhi e le sue parole che conosciamo meglio l’artista, che veniamo a sapere particolari che altrimenti non sarebbero mai venuti in luce, visto l’ostracismo a cui era stato condannato Dante.
I particolari su cui si sofferma Avati rendono il viaggio e tutta la narrazione vivida, realistica e sembra di essere davvero al seguito di Boccaccio e di riuscire a intravedere le sue emozioni e i suoi pensieri mentre si accinge al compito assegnatogli.
Quella che notiamo è un’attenzione al volto umano di entrambe gli autori. È descritto non solo l’aspetto artistico, ma anche quello della vita quotidiana, dei sentimenti. Dante non è solo il grande poeta, il politico in esilio, ma è un uomo alle prese con gli amori, le amicizie, le delusioni, i tradimenti. Boccaccio e Avati ci restituiscono così un ritratto a trecentosessanta gradi dell’artista. Osserviamo inoltre la modernità di Boccaccio che svolge indagini, cerca documenti, compie un lavoro puntuale per ricostruire la vita e l’opera di Dante, come un ricercatore dei nostri giorni.
Il tempo è scandito non solo dalla doppia narrazione ma anche dalle parentesi musicali segnate da Avati. Ogni cambio scena infatti è contrassegnato da un brano di un autore classico, jazz o moderno che dà un ulteriore tono e un particolare spunto di riflessione, perché anche la musica è poesia, è racconto, è inesprimibile sensazione.
A cura di Cristina Bruno
Pupi Avati
regista, sceneggiatore e produttore, è uno dei maestri riconosciuti del cinema italiano. Come autore ha pubblicato l’autobiografia bestseller La grande invenzione (Rizzoli 2013) e due romanzi di successo, Il ragazzo in soffitta (Guanda 2015) e Il Signor Diavolo (Guanda 2018).
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