Recensione di Laura Piva
Autore: Philip Roth
Editore: Einaudi
Traduzione: Roberto C. Sonaglia
Genere: Narrativa
Pagine: 234
Anno pubblicazione (in USA): 1967
Autorevole membro della Commissione per lo sviluppo delle risorse umane del Comune di New York, il trentatreenne Alex Portnoy ripercorre, in un lungo monologo sul lettino dello psicanalista, le fasi salienti della sua infanzia e della sua giovinezza, condizionate dalla sua ingombrante famiglia ebraica. Nonostante i tentativi di allontanarsi dai condizionamenti culturali e religiosi, che mette in atto soprattutto collezionando avventure con ragazze Shykse (non ebree), Alex non riesce comunque a estraniarsi da tutti i clichés che hanno caratterizzato la sua vita e si sente travolto da desideri che sono in netto contrasto con la sua coscienza e da una coscienza che contraddice i suoi desideri.
“Questa è la mia vita, la mia unica vita, e la sto vivendo da protagonista di una barzelletta ebraica!”
Grande classico della letteratura del ventesimo secolo, non a caso citato ad esempio in tutti i i corsi di scrittura. Geniale e irriverente, pur essendo datato 1969, Lamento di Portnoy rimane comunque attualissimo. Un capolavoro di stile, che con ironia e apparente leggerezza, accompagna il lettore in un viaggio che attraversa molte tematiche scottanti, come sesso, religione, antisemitismo e politica. Il linguaggio è molto forte ed esplicito. Alcuni brani sconfinano addirittura nella bestemmia e nella blasfemia. Ciò nonostante, il romanzo seduce per la sottile e pungente ironia, e per le molte parole in yddish che sottolineano ad arte le tipiche “nevrosi ebraiche”.
Il sesso, dal complesso di Edipo dell’infanzia, all’onanismo sfrenato dell’adolescenza e alle esperienze borderline della vita adulta, è un mezzo di ribellione e conoscenza per Alex, ragazzo di successo della middle class newyorkese, cresciuto negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, nel quartiere a prevalenza ebraica di Newark.
«…come se scopando volessi scoprire l’America. Conquistare l’America»
L’amore-odio per la famiglia d’origine, il disprezzo per gli insegnamenti impartiti durante l’infanzia e nel contempo l’incapacità di lasciarsi alle spalle i retaggi culturali e i sensi di colpa per le proprie trasgressioni, si concretizzeranno in una sorta di blackout emotivo durante un viaggio in Israele. Essere un ebreo in un paese dove “tutto è così ebraico” produce effetti devastanti nella psiche del giovane Portnoy.
La psicanalisi entra prepotentemente nel libro, e lo fa a cominciare dall’escamotage narrativo che vede il protagonista raccontare la sua vita al dottor Spielvogel, in un lungo monologo che sarà nel contempo catarsi e richiesta di aiuto.
La caratterizzazione dei personaggi comprimari è caricaturale ed esilarante: la madre isterica e ossessiva, il padre pusillanime e ossessionato dalla propria stitichezza, la sorella priva di personalità. Una menzione particolare al personaggio della “Scimmia”, surreale ed appariscente fidanzata ninfomane che tiene in ostaggio la libido del protagonista, pur suscitando in lui profondo disprezzo per il suo status culturale e morale.
Lamento di Portnoy è un capolavoro assoluto. E’ un romanzo che si può leggere infinite volte, cogliendo sempre nuove sfumature. Un libro immenso, sia dal punto di vista dei contenuti che per lo stile di scrittura.
Philip Roth
Philip Roth ha vinto il Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana. Nel 1998 ha ricevuto la National Medal of Arts alla Casa Bianca, e nel 2002 il piú alto riconoscimento dell’American Academy of Arts and Letters, la Gold Medal per la narrativa. Ha vinto due volte il National Book Award e il National Book Critics Circle Award, e tre volte il PEN/Faulkner Award.
Acquista su Amazon.it: