L’arte sconosciuta




L’arte sconosciuta del volo


Recensione di Sara Ammenti


Autore: Enrico Fovanna

Editore: Giunti

Genere: Giallo

Pagine: 253

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Premosello, Piemonte settentrionale, 1969. È il primo novembre, vigilia del giorno dei morti, e una scoperta agghiacciante sta per risvegliare l’orrore in paese, sconvolgendo l’infanzia di Tobia. Su una strada di campagna, vicino al ruscello, è stato rinvenuto il corpo di un suo compagno di scuola. A pochi mesi di distanza dal ritrovamento del cadavere di un’altra ragazzina. In paese si diffonde il terrore: ormai è evidente che per le campagne si aggira un mostro, un mostro che uccide i bambini. Tobia è afflitto dal senso di colpa e dalla vergogna, perché con quel ragazzo aveva fatto a botte proprio il giorno della sua scomparsa, desiderando davvero di liberarsi di lui. Adesso è difficile tornare alla vita di prima, all’amore innocente ed esaltante per Carolina, ai giochi spensierati con padre Camillo e con Lupo, il matto del paese. Soprattutto quando i sospetti dei paesani si concentrano su una persona molto vicina a Tobia, sulla cui innocenza lui non ha alcun dubbio.   Quarant’anni dopo, Tobia vive a Milano e fa il medico legale. Demotivato dal lavoro e lasciato dalla moglie per l’impossibilità di avere un figlio, sta vivendo uno dei momenti più bui della sua vita. Sarà una telefonata di Ettore, il suo vecchio compagno di scuola, a convincerlo a tornare dopo tanti anni nei luoghi dell’infanzia, per il funerale di Lupo. E questo inatteso ritorno cambierà la rilettura del suo passato… Un romanzo intenso e toccante, in cui grazie all’amore un adulto sconfigge i fantasmi dell’infanzia.

Recensione

Da bambino ogni tanto facevo un sogno, che non ha smesso di riproporsi in altre versioni anche da adulto. Volessi semplificare, direi che sognavo di volare. Ma sarebbe riduttivo: controllavo piuttosto la forza di gravità, pedalando nell’aria.”

Inizia così il romanzo di Enrico Fovanna, una storia nata insieme a sua figlia, Viola, che con la forza impetuosa che solo i bambini sanno scatenare, riporta alla luce vecchi fantasmi dell’infanzia, ricordi che danno vita ad un giallo molto ben congegnato.

Il protagonista, Tobia, decide di risolvere ciò che da troppo tempo, seppur inconsapevolmente, lo tiene lontano dalla realtà e lo spinge a volare via da un dolore mai affrontato, quello della perdita di due compagni di classe, venuti a mancare per motivi misteriosi quando erano in seconda elementare.

La trama si dipana tra le campagne di Premosello, un piccolo comune immerso nel Parco Nazionale della Val Grande. E’ qui che vive la loro infanzia, alla fine degli anni ’60, un gruppo di bambini, tra cui il protagonista e il suo primo amore, Carolina, una bambina dagli occhi color nocciola che Tobia continuerà a ricordare fin da adulto. L’autore racconta e dipinge sapientemente i personaggi chiave della storia, la maestra Ortensia, Gioacchino e soprattutto don Camillo, il frate sul quale ricadranno tutti i sospetti dei tristi avvenimenti di quei giorni.

Lui è davvero un personaggio ben costruito e più volte nelle sue parole troviamo spunti di riflessione molto interessanti.

“-E…e come faccio ad avere pazienza?-

Camillo sorrise.

Come con le farfalle. Il segreto è nell’attenzione. Ricordati questa parola. E per essere attento devi rallentare, questo ti permette di vedere davvero quel che hai davanti. Di essere qui, e non da un’altra parte, mi capisci?-

Quando Tobia, una volta adulto, decide di rivisitare quei luoghi e scoprire davvero cosa è successo, la trama diventa molto avvincente e ci lascia nel dubbio fino all’ultima pagina, nonostante Tobia abbia compreso quasi subito chi fosse il vero assassino.

A fare da sfondo al romanzo non mancano le lotte di classe degli anni ’60 e un episodio molto evocativo sui partigiani e il dolore ingiustificato della guerra.

Infine, anche l’amore ha un ruolo decisivo nella storia, amore inteso nelle sue forme più diverse, da quello puro e solo immaginato dell’infanzia, a quello più adulto e sofferto, che lascia tracce definite nelle vite umane.

Molto piacevole la prosa, scorrevole, pulita, piena di immagini suggestive che evocano ambientazioni oniriche.

Unica pecca, dal mio punto di vista, il movente. Quando finalmente l’assassino viene svelato, tutto funziona e si incastra perfettamente, ma rimane debole la motivazione che lo avrebbe spinto a compiere due gesti tanto efferati.

A cura di Sara Ammenti

instagram.com/sara.nei.libri

 

Enrico Fovanna


Enrico Fovanna, è nato a Premosello (Vb) nel 1961. Vive a Milano, dove si occupa di temi sociali, immigrazione, diritti umani. Il 9 novembre 1989, giorno della caduta del Muro di Berlino, è stato assunto dal quotidiano «Il Giorno» dove ancora oggi lavora. Con Il pesce elettrico, suo romanzo d’esordio poi ristampato nel 2002, ha vinto il Premio Stresa 1996 e il premio Festival del Primo romanzo, al Salone del libro di Torino 1997. Ha pubblicato anche per E/L e Utet e realizzato reportage da Paesi in guerra all’estero, tra cui Iraq e Afghanistan.