Claudio Panzavolta
Editore: Ponte alle Grazie
Genere: Noir
Pagine: 343
Anno edizione: 2025

Sinossi. Faenza, 1980. Ciparisso Briganti, partigiano da giovanissimo, ex poliziotto, oggi è un investigatore privato che si divide tra pedinamenti e raccolte di prove, la passione per il gioco delle bocce, il jazz e una famiglia sgangherata. Una mattina di settembre, una donna gli recapita un biglietto, e con un pugno di parole il passato torna a bussare alla sua porta: il fornaio Federico Ronconi, reo confesso condannato all’ergastolo per il brutale omicidio di quattro bambini, è morto, ma prima di andarsene ci ha tenuto a fargli sapere che in realtà con quelle uccisioni lui non c’entrava nulla. L’inaspettata dichiarazione d’innocenza lo spinge a riprendere in mano quell’indagine scomoda e bollente che quattro anni prima gli è costata la carriera, ma nel dare la caccia al vero assassino, scavando nel torbido di una città in cui colpe taciute e insabbiamenti si mescolano a recrudescenze fasciste, dovrà guardarsi le spalle per non mettere in pericolo le persone che ama. In una provincia stretta alla gola dalla coda degli anni di piombo, mentre gli anni Ottanta effondono false promesse di spensieratezza, investigando sulla morte dei bambini – e sulla misteriosa scomparsa della sorella dell’ultimo – Briganti si troverà a fare i conti con i peccati originali della prima repubblica, tra epurazioni mancate e strambe sedute spiritiche volte a evocare il fantasma di Mussolini, per scoprire che il male, spesso, si annida proprio in quella che dovrebbe essere la tana del suo avversario.
Recensione
di
Giusy Ranzini
“Noi non siamo figli della guerra. Siamo figli del dopoguerra, che è peggio. Perché la guerra, almeno, è chiara. Il dopoguerra è fatto di patti, silenzi e vigliaccherie.”
Questo estratto offre una chiave di lettura storica e politica. Il dopoguerra italiano, con le sue epurazioni mancate, i compromessi con ex fascisti e la costruzione fittizia della memoria nazionale, è il vero contesto in cui il romanzo affonda le radici.
Con Lascia stare i morti, Claudio Panzavolta ci regala un noir potente e stratificato, dove il crimine non è mai solo un atto individuale, ma la punta di un iceberg fatto di colpe collettive, silenzi storici e contraddizioni irrisolte.
Ambientato in una Faenza livida e sospesa tra gli ultimi sussulti degli anni di piombo e le promesse patinate degli anni Ottanta, il romanzo ha il respiro del grande noir europeo, con venature politiche e una profondità psicologica rara nel panorama italiano contemporaneo.
Il protagonista, Ciparisso Briganti, è un personaggio che resta impresso: partigiano adolescente, ex poliziotto caduto in disgrazia, oggi investigatore privato. Con il nome che pare uscito da un dramma greco e la scorza dura di chi ha visto troppa verità per potersi più fidare della giustizia, Briganti è una figura tragica e ironica insieme, ancorata alla realtà quanto profondamente consapevole dei suoi fantasmi.
Vive in equilibrio precario tra una famiglia caotica e affettuosa, le bocce giocate con l’anima e il jazz che gli fa da colonna sonora, ma il passato, si sa, ha la brutta abitudine di tornare a galla.
Ed è proprio dal passato che arriva l’innesco narrativo: un biglietto consegnato da una donna, poche parole scarne, e la notizia che Federico Ronconi, il panettiere condannato per l’omicidio di quattro bambini, è morto proclamando la propria innocenza.
Quel caso, quattro anni prima, aveva segnato la fine della carriera di Briganti nella polizia. Ora, però, c’è una crepa nella verità ufficiale, e Briganti decide di tornarci sopra. Non per riabilitarsi, ma perché qualcosa non ha mai smesso di puzzare in quell’indagine: troppi silenzi, troppe incongruenze, troppi interessi in gioco.
Il romanzo si sviluppa così come una lenta, ostinata discesa negli inferi di una provincia italiana che sembra quieta ma ribolle di non detti, dove la modernità è solo una facciata e sotto il trucco riaffiorano i traumi irrisolti del dopoguerra. In questo senso, Lascia stare i morti è anche un grande romanzo politico.
Panzavolta racconta un Paese in bilico tra il ricordo della Resistenza e le nostalgie nere mai sopite, tra i compromessi della prima Repubblica e un presente che continua a rifuggire la verità. I fantasmi di Mussolini, evocati letteralmente in sedute spiritiche grottesche, diventano il simbolo di un’Italia che non ha mai davvero fatto i conti con il proprio passato.
La scrittura di Panzavolta è precisa, viscerale, a tratti poetica ma sempre al servizio della narrazione. I dialoghi sono vivi, credibili, spesso punteggiati da un’ironia malinconica che sa stemperare senza mai sminuire la gravità della storia. La trama è avvincente, ma non frenetica: il ritmo è quello dell’indagine che si costruisce passo dopo passo, tra documenti, incontri, intuizioni e minacce. E soprattutto tra la gente: perché Briganti è uno che ascolta, che conosce le strade, i volti, le pieghe dell’anima della sua città.
In un panorama narrativo dove il noir spesso si piega alla formula o alla spettacolarizzazione della violenza, Lascia stare i morti si distingue per la sua ambizione morale e letteraria.
È un romanzo che denuncia senza proclami, che commuove senza retorica, che inquieta senza bisogno di eccessi. È una riflessione amara ma necessaria su cosa significhi cercare la verità in un Paese dove la verità, troppo spesso, è scomoda, pericolosa, indicibile.
In conclusione, Claudio Panzavolta ha scritto un noir italiano che merita di essere letto, discusso, studiato. Perché parla di ieri, ma anche di oggi. Perché ci ricorda che i morti, a volte, non si lasciano affatto stare.
E che la giustizia vera, quella che non si piega al potere, ha bisogno di occhi disillusi, ma ancora capaci di indignarsi. Proprio come quelli di Ciparisso Briganti.
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Claudio Panzavolta
Claudio Panzavolta è nato a Faenza nel 1982. Dopo essersi laureato in Storia all’Università di Bologna e aver vissuto tra Roma e Milano, si è stabilito a Venezia, dove lavora come editor della narrativa italiana per la casa editrice Marsilio. Tiene corsi per la Scuola Holden e ha pubblicato i romanzi L’ultima estate al Bagno Delfino (Isbn, 2014) e Al passato si torna da lontano (Rizzoli, 2020).