L’avvocata dell’Avvocata




L’AVVOCATA

DELL’AVVOCATA

Andrea Santucci


Editore: Golem Edizioni

Genere: giallo processuale

Pagine: 312

Anno edizione: 2024

Sinossi. Napoli, 1951, tribunale partenopeo. La protagonista, Maria Grazia Ragonese, è una delle poche avvocate italiane e sta muovendo i primi passi nel foro. Le viene affidato un caso spinoso: la prostituta Zita è accusata di aver ucciso la levatrice che le ha permesso di abortire e una testimone oculare può assicurare di averla vista allontanarsi dal luogo del delitto. La sua colpevolezza sembra essere incontestabile, ma alcune confessioni potrebbero ribaltare le sorti dell’accusata. Mentre prepara la difesa, deve destreggiarsi tra problemi familiari con il figlio adolescente, mosse sleali del Pubblico Ministero, subdoli scontri con l’aristocratica famiglia Cayetani e la difficoltà di essere una donna pioniera nel proprio lavoro.

 Recensione di Silvana Meloni

Operazione encomiabile quella di ambientare un giallo processuale italiano in un’epoca così lontana dalla attuale, soprattutto per uno scrittore che dichiara di non avere una formazione giuridica. Purtroppo, il risultato, seppur globalmente credibile per la maggior parte dei lettori, non è perfetto e non può sfuggire alla critica di chi, come me, al contrario, ha proprio una formazione specifica nel settore.

Il diritto processuale è una materia molto complessa che si è evoluta nel tempo attraverso migliaia di modifiche e adeguamenti al dettato Costituzionale, passi in avanti e passi indietro come i gamberi, è stata oggetto di riforme epocali, come quella del 1988, e poi, per molti versi, si è spesso ripiegata su sé stessa.

Ma come si svolgeva un processo in Corte d’Assise nel 1951?

Difficile dirlo per chi ha davanti le norme attuali e, magari, quelle del 1985.

E ancora: come si svolgeva nel 1951 un interrogatorio davanti al PM e al Giudice Istruttore

Sicuramente non con le garanzie odierne, ma neanche con quelle del 1985, o del 1978, o del 1955 (ci fu un primo importante tentativo di riforma globale nel 1955).

Di sicuro l’imputato non poteva avvalersi della facoltà di non rispondere senza che questo significasse una ammissione di colpevolezza, in pratica una quasi confessione.

Al processo si davano per svolti gli atti di indagine, anche testimoniale, e non venivano escussi nuovamente i testimoni dell’accusa e i periti, a meno che non se ne facesse preliminare esplicita, motivata richiesta da parte della difesa che doveva essere accettata dal Presidente del Collegio giudicante.

E insomma, troppi particolari giudiziari nel romanzo risultano non esser calibrati al momento storico in cui è ambientato.

Si potrà però dire che si tratta solo di un romanzo, ed è consentito, in parte, edulcorare la realtà. È vero, tuttavia questo è un romanzo che vuole essere storico e, nello sviluppo della trama investigativa, si basa quasi completamente sugli aspetti processuali. Per questo motivo non può essere trascurabile l’errore nel rappresentarli.

Di fatto è un legal thriller italiano che si muove sul solco tracciato dai più famosi legal americani.

Per contro, ho molto apprezzato il tema del romanzo, che affronta non solo la delicata questione dell’affermazione femminile in una professione tradizionalmente maschile, ma anche la problematica sottesa del negato diritto all’aborto, peraltro dopo uno stupro avvenuto ai danni di una donna di facili costumi.

Un processo che si incardina su un castello di pregiudizi: dove c’è la prostituzione, c’è l’aborto e l’omicidio, perché l’imputata è il male assoluto e non può ipotizzarsi che possa essere una vittima, prima che una colpevole.

La protagonista, Maria Grazia Ragonese, è una donna fuori dal comune, complessivamente ben tratteggiata anche se, a mio avviso, nella parte iniziale del romanzo tende ad attorcigliarsi su sé stessa tra desiderio di affermazione professionale e senso di inadeguatezza, ben condito con i sensi di colpa nei confronti degli obblighi familiari.

Un po’ troppo, direi. In fondo Maria Grazia è già riuscita, con le sue sole forze di madre single, a raggiungere un gran risultato, per nulla scontato nel 1951, quello di essere finalmente un’avvocata. Una donna insicura, che si sente perennemente inadeguata, non avrebbe mai potuto raggiungere quel traguardo.

Va bene dipingere un personaggio in evoluzione, ma bisognerebbe stare attenti a non calcare troppo la mano, col rischio di rappresentare una protagonista un tantino schizofrenica.

Il romanzo, nonostante le criticità rilevate, mi è piaciuto. La scrittura è scorrevole, la trama intrigante condita con una buona dose di suspense. Alcuni colpi di scena finali rendono singolare anche un epilogo non del tutto inaspettato.

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Andrea Santucci


Nato a Milano, classe 1987, ha studiato criminologia e sceneggiatura. Il suo giallo d’esordio, In morte di Anita Garibaldi (Clown Bianco Edizioni, 2021), gli è valso il premio Gialloluna Neronotte per il miglior romanzo inedito. Autore del romanzo fantasy-horror Simulacri dell’Altrove (Dark Abyss Edizioni, 2022) e del thriller MM Silverpine (Quixote Edizioni, 2023), il suo racconto, Investigare il demonio, ha vinto il premio NebbiaGialla 2022 ed è stato pubblicato nella collana “Il Giallo Mondadori” nel febbraio 2023.

A cura di Silvana Meloni

Instagram/silvana.meloni